Un’indagine svela perché è “più etico” acquistare da H&M che da Dior
Un’indagine ha stilato una classifica delle condizioni lavorative nella produzione dei capi d’abbigliamento dei grandi marchi e delle grandi distribuzioni e i risultati sono sorprendenti.
Il mercato dell’abbigliamento è senza dubbio uno dei più fruttuosi. E come potrebbe essere altrimenti? Ci troviamo quotidianamente di fronte a centinaia di messaggi pubblicitari dove grandi e piccoli marchi si contendono la nostra attenzione. In questo contesto, lo scandalo del 2014 riguardante le presunte richieste di aiuto rinvenute in alcuni capi della catena Primark ha sollevato negli ultimi anni diverse questioni di tipo etico. Chi c’è dietro la produzione dei nostri vestiti? Quali sono le condizioni di lavoro degli impiegati che producono i capi in questione? Si tende spesso a pensare che i grandi marchi che costituiscono l’impero dell’alta moda siano quelli che tutelano maggiormente i loro lavoratori. Il progetto del portale “Rank A Brand” ha tuttavia dimostrato che non c’è niente di più falso.
Il portale “Rank A Brand”
“Rank A Brand” è una ONG che ha come obiettivo quello di promuovere un acquisto eticamente ed ecologicamente sostenibile. Con sede legale registrata nei Paesi Bassi, porta avanti il suo lavoro grazie a volontari da tutto il mondo. Questi si occupano di effettuare continue ricerche riguardo le politiche e le attività dei diversi marchi, sulla base dati resi pubblici proprio dai marchi stessi. Le tipologie di beni di consumo interessate non concernono esclusivamente il mondo della moda. Vengono presi sotto analisi anche i grandi distributori di cibi e bevande, di elettronica e di prodotti di bellezza, così come gli operatori delle telecomunicazioni.
Come è stata svolta l’indagine
L’ambito della tutela dei lavoratori fa parte di un quadro più grande, che comprende anche il grado di rispetto dell’ambiente da parte dei marchi in questione. Sulla base di questo, l’indagine svolta da “Rank A Brand” ha preso come riferimento 14 criteri. Tra questi troviamo: la presenza di un ambiente di lavoro sano ed adeguato e l’esistenza di un Codice di Condotta che escluda qualsiasi forma di sfruttamento e di discriminazione nei confronti degli impiegati. A questi si aggiunge la stipulazione di un limite di ore lavorative settimanali di 48 ore, con un massimo di 12 ore supplementari (pagate). La paga in questione deve essere adatta al tenore di vita medio di una famiglia nel Paese nel quale viene a trovarsi. La possibilità dei lavoratori di riunirsi per eventuali contrattazioni riguardo le loro condizioni lavorative è un altro criterio importante per determinare un buon ambiente di lavoro. Altri aspetti dell’indagine toccano l’impegno riguardo il miglioramento continuo delle condizioni lavorative e la trasparenza nei confronti dei fornitori di tessuti.
Dei risultati inaspettati
I risultati dell’indagine smentiscono l’idea comune secondo la quale il prezzo di un prodotto sia proporzionale alle condizioni lavorative che il marchio offre ai propri lavoratori. Marchi di alta moda come Dior, Louis Vuitton o Gucci rientrano difatti tra quelli che più mancano di trasparenza. L’analisi dei dati resi pubblici, infatti, ha mostrato che i primi due marchi soddisfano solo 2 dei 14 criteri, mentre Gucci solo 4 su 14. Al contrario, marchi low-cost come Zara o H&M hanno totalizzato 7 punti su 14. Primark ne rispetta attualmente 6 su 14.
Foto di Copertina: ©Wpcpey, H&M Gala Place 201607, CC BY 4.0