Per una volta l’Italia è avanti di vent’anni
Era il 26 gennaio 1994 quando un imprenditore milanese, diventato miliardario con l‘edilizia e le televisioni, stravolse il panorama politico d’Italia con la sua discesa in campo. Quell’imprenditore si chiamava Silvio Berlusconi e, per vent’anni, ha dominato la scena rivoluzionando il modo di fare politica nel Belpaese. Comunicazione mutuata dal marketing e tarata «su un bambino di undici anni», nessun rispetto per gli avversari, scarsissimo senso delle istituzioni, ridicola ossessione per la propria immagine, continue esternazioni sessiste e razziste, propensione all’eversione. Una cifra politica che, a distanza di due decenni, sembra nuovamente incarnata dal fresco presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Che, dopo lo storico doppio mandato di Barack Obama, primo presidente nero della storia del Paese, sembra precipitare l’America agli anni Novanta italiani.
Due figure simili. Anche Trump, come Silvio Berlusconi, è un tycoon che si è fatto strada con l’edilizia e che ha il pallino delle televisioni. Come l’ex cavaliere, nella sua campagna elettorale ha trasformato gli avversari in nemici non disdegnando uscite volgari e offensive, non ha mai nascosto la sua visione del mondo maschilista e razzista, ha minacciato di non riconoscere un eventuale esito elettorale negativo, ha solleticato i bassi istinti di un popolo americano deluso e arrabbiato promettendo di rendere il Paese “di nuovo grande”. Ma soprattutto, con la sua discesa in campo, ha sollevato analoghe accuse di conflitto di interessi (per quanto la legislazione americana sia più rigorosa di quella italiana al riguardo) e ha scatenato un meccanismo psicologico di emulazione non troppo dissimile dal sogno berlusconiano: “È ricco, di successo, ha tante donne. Vuoi vedere che riesce a trasmettere questa mentalità vincente dalle sue aziende a noi cittadini impoveriti?”.
Prospettive. In Italia sappiamo bene a cosa hanno condotto due disastrosi decenni spesi tra berlusconismo dilagante e antiberlusconismo sterile. Trump, questa la grande differenza col suo gemello italiano, è a capo della democrazia più potente al mondo, un Paese dotato di un impressionante arsenale atomico e capace di influenzare i destini geopolitici dell’intero pianeta. C’è da augurarsi che l’opposizione democratica non si limiti all’antitrumpismo, ma che elabori nuovi modi di fare politica e di intercettare il malessere degli americani, scongiurando la febbre populista e aggressiva di cui l’America sembra essersi ammalata. Subito, prima che sia troppo tardi.
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