Un secolo fa Einstein abbandonava la Germania nazista, storia di una fuga
Nel 1923 Albert Einstein lasciava la Germania a seguito del dilagante antisemitismo. Poco dopo avrebbe rinunciato per sempre alla cittadinanza tedesca, trovando rifugio negli USA
Il 24 giugno 1922 Walter Rathenau, ministro degli esteri della Repubblica di Weimar e figlio del fondatore della AEG, nota marca di elettrodomestici tuttora esistente, venne ucciso da due terroristi di estrema destra. La sua colpa? Essere ebreo. A fare le spese di quel rampante antisemitismo che imperversava in Europa, in modo inquietantemente simile a ciò che sta accadendo oggi, sarebbe stato di lì a poco un’altra figura cardine del ‘900: Albert Einstein.
L’incontro mancato
La storia ci racconta che quel 9 novembre 1923 Einstein si sarebbe dovuto incontrare nella sua abitazione di Berlino con Max Plank, padre della fisica quantistica nonché amico di Einstein. Nel devastante quadro economico della Germania di Weimar i prezzi dei generi alimentari erano saliti alle stelle. Moti popolari e rivolte di piazza scuotevano nel profondo la città e gli ebrei erano, indovinate un po’, il capro espiatorio.
Plank e Einstein non si incontrarono mai. Senza avvisare nessuno, Einstein decise di fuggire alla volta dell’Olanda, precisamente a Leida. Poco prima Einstein venne a conoscenza di un piano per ucciderlo. Così Plank, all’indomani del mancato incontro, stupito di aver trovato solo la moglie di Einstein in casa, scrisse: “Mi ha detto della tua dipartita e degli spregevoli eventi che l’hanno causata. Sono fuori di me dalla rabbia verso quei loschi e infami personaggi che sono riusciti a strapparti dalla tua casa e dal tuo lavoro. Farò tutto il possibile per portare all luce questi sordidi affari e consegnare alla giustizia questi individui.”
La persecuzione nell’ambiente accademico
La vita di quello che è forse lo scienziato più famoso di sempre sarebbe solo diventata più difficile negli anni seguenti. Prima che la teoria della relatività venisse provata, cento scienziati pubblicarono insieme un libro che screditava il lavoro di Einstein. Poi, ad un evento organizzato alla Filarmonica di Berlino appositamente per gettare fango su di lui, a tutti i partecipanti vennero distribuiti volantini che schernivano lo scienziato tedesco. In poche parole: la teoria della relatività era una bufala, e qualora non lo fosse stata non era farina del suo sacco.
La rinuncia alla cittadinanza
A ridosso della salita di Hitler al potere Einstein divenne definitivamente persona non grata, vero e proprio nemico dello stato. Nel ’32, ad esempio, fu spogliato della sua cattedra alla Accademica delle Scienze Prussiana. Pacifista e vocale critico del nazismo, nel dicembre 1932 lasciò definitivamente la Germania. Trovò rifugio negli Stati Uniti grazie all’EB-1, il visto rilasciato dagli USA ad immigrati dal “talento straordinario”. Quel visto oggi è noto come Einstein Visa, ed è lo stesso ottenuto nel 2001 dall’ex first lady Melania Trump.
Nonostante la sua dichiarazione di auto esilio dalla Germania nel marzo ’33, Einstein decise di tornare in Germania insieme alla moglie per passare l’estate nella loro casa di campagna a Caputh. Durante il viaggio appresero però che la casa era stata appena saccheggiata e distrutta dai nazisti. Fu così che allora Einstein, una volta arrivato al porto di Anversa, si recò al consolato tedesco e, consegnando il suo passaporto ai funzionari, rinunciò alla cittadinanza.
Il manifesto Russell-Einstein
Einstein, che si definiva un “pacifista militante”, sperimentò sulla propria pelle gli effetti del nativismo lasciato incontrollato. Una settimana prima della sua morte, nell’aprile 1955, nel pieno della minaccia nucleare, insieme a Bertrand Russell fu autore del celebre “manifesto Russell-Einstein“, dove i due dicevano di scrivere “in quanto membri non di questa o quella nazione, continente o credo, ma in quanto esseri umani“. Parole che oggi risuonano più che mai attuali.
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