I 10 shock di quando torni in Italia dopo aver vissuto a Berlino
E’ vero, non bisogna mai generalizzare. Ma è altrettanto vero che, quando torniamo in Italia dopo aver vissuto in Germania per un po’, non possiamo fare a meno di notare delle differenze.
Di solito si tratta di quei comportamenti così tipicamente italiani che quasi ce li eravamo dimenticati durante il soggiorno in terra tedesca. E come ritrovarne alcuni può farci estremamente piacere, altri risultano semplicemente irritanti… Ecco una breve lista delle caratteristiche della nostra vita in Italia che avevamo rimosso (e forse era meglio così).
1. L’umidità
Non ho ancora messo entrambi i piedi fuori dall’aereo che già sento scendere un’enorme cappa d’umido sulla mia testa: i primi ad accorgersene sono i miei capelli, che iniziano a gonfiarsi esponenzialmente. Ora che fa caldo e il tasso dell’umidità nell’aria è del 200%, portandoti a sudare anche se stai fermo senza fare niente, rimpiangi quel gelido e pungente vento berlinese. Se sei un allergico alla polvere come me poi, e sai quanto gli acari stanno bene nell’aria umida che impedisce alla polvere di posarsi, sarai felicissimo di aver ritrovato questa simpatica caratteristica del clima italiano.
2. Le strisce pedonali
Ogni volta che torno in Italia rischio la morte certa perché quando mi trovo davanti a un attraversamento pedonale mi butto incautamente nel mezzo di strada, essendo ormai abituata ai prudenti autisti berlinesi che iniziano a rallentare anche se vedono un pedone a 250 metri di distanza. Qui non bisogna scordarsi che le strisce sono più un monito, non un vero e proprio obbligo per le auto a fermarsi: se si ha fortuna, la terza-quarta deciderà di farci passare, altrimenti meglio aspettare di non scorgere alcuna macchina all’orizzonte.
3. Guidare
L’idea di tornare e potersi spostare di nuovo in auto ci dà una certa idea di libertà: non dover più aspettare, sebbene per poco, la metro, e non dover percorrere a piedi i tratti che i mezzi non coprono. Tuttavia dopo pochi minuti l’idillio è già terminato: basta dare uno sguardo ai prezzi della benzina (che per la prima volta da quando vivo a Berlino non ho trovato aumentati esponenzialmente rispetto alla mia visita precedente, ma sono comunque alti) e confrontarsi con la realtà onnipresente della mancanza di parcheggi. Oltre a scontrarsi col problema del non poter bere quando si guida, cosa di cui a Berlino ci eravamo completamente dimenticati. Dopo aver poi lasciato la macchina in un posto che reputavo sicuro e aver ritrovato una multa da 40 euro perché non avevo notato che ci fosse una sosta massima, la mia nostalgia per la u-bahn raggiunge i massimi livelli e lo shock tocca anche il mio portafoglio.
4. Andare a ballare
A Berlino ogni tanto (sottolineo, ogni tanto) sento la mancanza del tipico locale fighetto italiano: quindi quando torno sono ben felice di andare a ballare a Firenze con le amiche come una volta. La coda davanti al locale non spaventa, e qui, a differenza del Berghain che mi rifiuta, c’è un ometto che quando vede un gruppo di 5 ragazze ci fa saltare completamente la fila indicandoci l’entrata e facendo crescere l’odio in chi invece sta aspettando da almeno mezz’ora. Mica male. Ma alla cassa all’entrata non si paga: mi danno piuttosto una schedina nella quale saranno registrate tutte le mie consumazioni e eventuali servizi aggiuntivi come il guardaroba = non puoi sapere in partenza a quanto ammonti ogni spesa che effettuerai nel locale e, nel disgraziatissimo caso in cui tu la perda, pagherai l’importo massimo previsto su tale scheda (pari a circa 14 bevute e 7 posti nel guardaroba). Mi ero dimenticata di questa usanza.
L’alternativa è quella dei locali in cui si paga davvero all’entrata… ma, attenzione: le bevute non certo al barista che-già-deve-servire-poverino-non-può-prendere-anche-i-soldi, e quindi prima fila alla cassa per pagare, poi fila a bar per prendere il drink. Il risultato è un moltiplicarsi incredibile di code da fare, quindi non c’è da sorprendersi se a fine serata l’80% del tempo si sia passato aspettando qualcosa. Ma il peggio deve ancora arrivare. Ad un certo punto ti troverai a chiederti chi sia quell’idiota che urla cose inutili e fastidiose al microfono incitando ossessivamente ad “alzare le mani al cielo” (ma perché dovrei poi??) oppure perché il dj si ostini a seguire la moda di mettere pezzi a capitoli che prevedono, purtroppo ancora, il capitolo Carrà con a seguire quello Grease con a seguire quello Vasco ecc… E soprattutto, perché c’è un tipo che pensa di potermi mettere le mani addosso senza che io reagisca prendendolo a schiaffi? Mi fa piacere sentirmi apprezzata, in un club di Berlino nessuno mi ha mai guardata come se fossi una donna, ma questo è decisamente eccessivo… vorrei consolarmi con un cocktail ma, ahimè, stasera la macchina è toccato prenderla a me, per cui vedere il punto 3.
5. I prezzi
Appena arrivata a Berlino mi ero stupita di come con 20 euro potessi fare la spesa per un’intera settimana, ora ogni volta che torno mi trovo quasi a piangere alla cassa quando gli stessi 20 euro li spendo comprando tre cavolate. La differenza più grande si nota nei prezzi degli articoli da bagno&co: lo shampoo meno caro nella coop del mio paese costa ben 3,80 euro. E quanto mi manca Rossmann…
6. Il bancomat
Sorvolando sul fatto che anche nei luoghi più trafficati ogni banca ha uno e un solo sportello per prelevare, generando file inconcepibili anche in orari non sospetti (cosa che può farci cadere nelle tipiche lamentele da immigrato italiano in Germania “queste cose a Berlino non esistono!”), il procedimento mi richiede sempre almeno il doppio del tempo in Italia. La mia cara Berliner Bank, almeno, si limita a dirmi “Benvenuto!, Auszahlung? Digiti il codice segreto”. Fatto. La mia banca italiana mi chiede di aspettare prima ancora di aver inserito la carta, mi fa inserire il codice senza darmi possibilità di confermare alla fine quindi se-hai-sbagliato-sono-cavolacci-tuoi, mi chiede in compenso almeno 50 volte se l’importo che ho selezionato è effettivamente quello che intendo prelevare. La cosa più eclatante e che lo sportello chiede a me se si tratti di carta o bancomat, dopo averla inserita: una sorta di test dell’attenzione al cliente, che se non viene superato porterà al rifiuto immediato della carta e, in casi non rari, anche a una bella pernacchia da parte dell’apparecchio.
7. La gente che ti guarda
È risaputo che a Berlino puoi andare in giro completamente nudo in pieno inverno oppure indossando una tutina da tigrotto di venerdì sera sulla strada per l’About Blank, tanto nessuno si preoccuperà di girarsi a guardarti. Tutto normale. Ti abitui a considerare con la massima indifferenza la signora di 60 anni con i capelli verdi e a ricevere lo stesso trattamento quando ti presenti sulla u-bahn con la pelle a strisce di vari colori perché stai tornando da un holi festival.
Quindi sarà per questo che ogni volta che torno al mio paesino, ma in realtà anche quando faccio un giro in città, rimango sconvolta dal fatto che la genti mi guardi: vuole solo vedere chi sei, come sei vestito o nel peggiore dei casi ti conosce alla lontana, sai che sei quella-che-è-andata-a-Berlino (quindi una sorta di esemplare di una razza rara), e ti osserva. La prima volta che mi è capitato mi sono infilata nel camerino di un negozio per controllare allo specchio se avessi addosso qualcosa di strano. Appurato che non è questo il problema, ora ogni volta avrei voglia solo di girarmi e rispondere in malo modo: “C… hai da guardare??”.
8. La gente che ti si avvicina
È risaputo che i tedeschi non amano il contatto fisico. E’ uno di quelli stereotipi tristemente veri. Quindi a meno che non ti trovi sulla loro traiettoria di camminata, caso in cui non si preoccupano di prenderti anche a spallate, la loro capacità di non avvicinarsi troppo alle altre persone per strada, in una fila, o anche in luoghi affollati è magistrale: una sorta di rispetto per il diritto di ogni essere umano ad avere almeno un metro quadrato di spazio tutto per sé. Noi italiani invece non temiamo le distanze ravvicinate nei luoghi pubblici, ma vivendo in Germania avevo scordato questo piccolo dettaglio: così la prima volta che qualcuno mi è passato accanto a 2 centimetri mi sono scansata come se pensassi che mi volesse picchiare. Una volta capito che non ci sono istinti di violenza alla base, questi vengono piuttosto a me ogni volta che qualcuno mi si appiccica addosso avendo tutto lo spazio del mondo.
9. U.C.A.S.
Così mi chiamavano alle medie, acronimo di Ufficio Complicazioni Affari Semplici. In effetti un po’ UCAS lo sono sempre stata. Da quando sto a Berlino, però, apprezzo a non finire l’efficienza e la semplicità tedesche nel realizzare alcuni servizi e ogni volta che torno devo scontarmi con la nostra innata capacità di complicare ogni cosa. Il biglietto sull’autobus non si può fare e se si può fare costa di più, “mi faccia prima lo scontrino alla cassa per favore” e “no qui non si può sedere, è solo per il servizio al tavolo”, oppure “come non lo sa? questo sconto c’è solo se si effettua la prenotazione online”. Tornano gli istinti di violenza. Pochi giorni fa ho dovuto sottopormi a una visita con la mutua e, sebbene mi fossi dotata in anticipo di una buona dose di pazienza, non ho potuto non infastidirmi all’inverosimile quando, dopo aver fatto tutta la procedura alla reception, la signora mi ha detto che dovevo andare a pagare alla macchinetta. “Scusi ma non posso pagare a lei?” Assolutamente no. Per motivi a me ignoti tale signora non si occupa della cassa e tu devi andare a litigare con un simpatico Automat nel quale, nonostante tu inserisca la tua tessera sanitaria, non ha idea dell’importo da pagare, che devi quindi pure digitare tu stesso. Se hai malauguratamente dimenticato tale importo, credo che la signora alla cassa reagisca come il bancomat del punto 6.
10. Le file
Un’altra caratteristica dei tedeschi che colpisce non appena ci si trasferisce a Berlino è la loro capacità innata di creare file perfettamente ordinate, con persone equidistanti tra loro, che curvano per evitare di ostruire strade e passaggi. Con la massima pazienza ognuno aspetta il suo turno. Abituati a questa tranquillità tornare a fare una qualunque fila in Italia è un vero trauma: gente che si ammassa senza senso da ogni lato, spinge, cerca di passare avanti in ogni modo possibile, come se fosse una questione di vita o di morte arrivare al traguardo nel minor tempo possibile, una gara a eliminare gli avversari meno svegli e sfacciati. Io, che non sono mai stata particolarmente aggressiva, ormai non ho più speranze nell’impresa; e i miei amici, che ormai mi conoscono, ogni volta che c’è da aspettare per qualcosa mi dicono rassegnati: “Tu aspetta qui, ci penso io”.
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La foto di copertina è © gpcolorado.
La prima foto dell’articolo è presa dal film © La grande bellezza.
La seconda è © Ale Corsini (per altre foto assurde di situazioni che si possono incontrare solo a Berlino clicca qui.)
L’ultima è presa dal video Differenze tra un italiano e un europeo.