«L’Istituto Italiano di Cultura a Berlino non deve essere ghetto per italiani nostalgici»
«Berlino è una città estremamente attraente per i giovani, soprattutto per la grande sensazione di libertà che trasmette. Il ruolo dell’Istituto italiano di cultura deve essere sicuramente quello di diventare un punto di riferimento per loro, ma non deve essere lo spunto per una ghettizzazione. Non voglio che si trasformi in un rifugio dove si possono ritrovare tutte quelle cose che ci mancano dell’Italia». Ha le idee chiare Luigi Reitani, da settembre 2015 nuovo direttore dell‘Istituto italiano di cultura di Berlino, basta qualche minuto per rendersi conto che non si trova nella capitale tedesca per caso, nominato dal Ministero degli Esteri come “omaggio” ad una grande carriera e motivato dalla voglia di portare avanti un progetto che ha ben chiaro in mente. «Fino al 2014 c’erano sette istituti nel mondo, New York, Londra, Mosca, Tokyo, Berlino, Pechino, Parigi, per i quali il direttore veniva scelto dal Ministro, i cosiddetti nomina per chiara fama. Quest’anno per la prima volta c’è stata una selezione. Vale a dire è apparso un bando del Ministero nel quale si invitava a manifestare il proprio interesse per diventare direttore dell’Istituto di Berlino. Io ho mandato il mio curriculum motivato e poi sono stato invtiato insieme ad altri ad un colloquio a Roma. Una commissione mi ha chiesto di spiegare quale fosse il mio progetto per l’Istituto di Berlino ed evidentemente le cose che ho detto sono piaciute. Sono contento quindi che la mia nomina non sia avvenuta per una scelta squisitamente politica ma che sia passata per una sorta di selezione che ha tenuto conto del mio progetto». Luigi Reitani, classe 1959, originario di Cerignola, provincia di Foggia, è uno dei più grandi germanisti italiani contemporanei con una particolare passione per la letteratura austriaca del Novecento. Nel 2001 ha realizzato un’ edizione commentata di tutta la lirica del poeta tedesco Hölderlin mentre nel 2014 ha firmato, da saggista, Germania europea, Europa tedesca, in cui si interroga sul ruolo dello Stato della Merkel all’interno del panorama europeo. Dal 2005 fino all’incarico berlinese è stato professore ordinario all’Università di Udine. I suoi meriti non si limitano alla letteratura: a Udine è stato anche assessore alla cultura nominato all’interno di una lista indipendente. Lo incontriamo nel suo ufficio su Hildebrandstraße 2, all’interno dello stesso edificio che ospita anche l’ambasciata italiana. Seduti sul divano, con la sua ricca libreria alle spalle (dove in alto si staglia una nota traduzione tedesca della Divina Commedia), Reitani ci fa il punto della situazione sui progetti futuri e sulle funzioni dell’Istituto nonché sul suo percorso professionale.
Come si immagina che debba lavorare l’Istituto di Cultura italiano?
Prima di tutto è importante creare una rete con gli altri istituti culturali della città, non solo quelli incentrati sulla cultura italiana come l’Italienzentrum. Faccio l’esempio della mostra di Botticelli: l’evento è organizzato dal Kulturforum e dalla Gemäldegalerie, ma se un’istituzione tedesca organizza una mostra del genere l’Istituto di cultura italiana non può negare il suo appoggio. Costruire una rete di contatti è quindi importantissimo. Lavorare da soli sarebbe un suicidio. Bisogna poi che diverse forme di cultura interagiscano fra loro. Voglio che ci sia pianificazione nell’offerta che proponiamo. L’Istituto deve diventare veicolo di integrazione tra la cultura italiana e quella tedesca, non solo esaltazione di quella italiana. Se invitiamo un autore tedesco e uno italiano per metterli a confronto, allo stesso tempo mettiamo a confronto anche il pubblico italo-tedesco. Inoltre sono contrario all’evento singolo che gira intorno a un grande nome. Ogni evento dovrebbe rientrare all’interno di un progetto più ampio e che poggia su una base interdisciplinare. Un esempio è il progetto su Pasolini realizzato dal mio predecessore dove la retrospettiva sul cinema era unita ad una mostra. Questi secondo me sono i progetti vincenti. La terza cosa è la ciclicità: gli eventi dovrebbero essere riproposti regolarmente come succede per il CinemAperitivo: il pubblico sa che ogni domenica pomeriggio con lo stesso formato c’è un film italiano al cinema Babylon. Non bisogna poi scordarsi che con cultura non si intende solo una cultura alta, come la letteratura o il teatro. Quando si parla di Italian lifestyle il tedesco probabilmente per prima cosa non pensa a Dante, ma alla giacca di pelle realizzata artigianalmente, al Brunello di Montalcino e alla dieta mediterranea… Insomma, anche la cultura enogastronomica, lo stile, il comportamento hanno la loro importanza. Ed è anche per questo che, per promuovere la nostra cultura, bisogna trovare risorse che non siano solo quelle pubbliche perché queste purtroppo come si sa scarseggiano. I contribuiti pubblici devono essere integrati da quelli privati.
C’è un progetto al quale tiene particolarmente o un personaggio particolare che vorrebbe invitare?
Ce n’è uno sull’Italia come luogo di immigrazione e integrazione, l’Italia quindi non vista come luogo da cui la gente fugge e emigra, ma come luogo verso cui la gente emigra e nel quale si integra. Sarebbe un progetto, come quello passato su Pasolini, che unisce più sfere, sicuramente il cinema e la letteratura. E poi un’idea generale a cui tengo molto è quella di unire nei progetti personalità italiane e tedesche, in modo da creare un vero dialogo tra le due culture. Per il 21 marzo per esempio, Giornata Mondiale della Poesia, abbiamo pensato di invitare la poetessa italiana Anna Maria Carpi e il poeta tedesco Durs Gruenbein, per fare una lettura congiunta. In questo modo l’evento arriverà sia al pubblico tedesco che quello italiano. Sulla stessa falsariga vorrei organizzare progetti sul cinema o sul teatro che mettano a confronto in un’ottica comparatistica e di dialogo i più promettenti personaggi italiani e tedeschi.
A Berlino ormai ci sono tantissimi italiani, molti di questi giovani. Perché così tanti abbandonano l’Italia? Cosa può fare l’Istituto per loro?
I motivi per cui tanti giovani abbandonano l’Italia sono certamente da ricercare negli alti tassi di disoccupazione giovanile, ma forse ancora di più in un atteggiamento generale di mancanza di fiducia verso i giovani: a loro non vengono mai affidate posizioni di responsabilità. A Berlino la vita è abbastanza economica e ci sono possibilità di lavoro, anche se non infinite, qui non è certo il paradiso. Ma senza dubbio c’è una maggiore fiducia nei giovani, non si ha paura di investire in loro.
Come è nata la sua passione per la letteratura tedesca e austriaca?
E’ nata per caso, come tutte le cose importanti, o meglio per una serie di coincidenze che poi mi hanno fatto maturare delle scelte. Mi ero iscritto a lettere senza avere le idee molto chiare su quello che avrei fatto. A vent’anni avevo anche una grande passione per la musica, facevo il conservatorio ed ero interessato all’interazione tra musica, filosofia e letteratura. Nel mio percorso di studi erano previsti due esami di lingue e letterature e straniere e nella mia presunzione giovanile di conoscere già l’inglese decisi di frequentare corsi di francese e tedesco. Mi sono quindi ritrovato in un piccolissimo corso di letteratura tedesca, frequentato solo da 7-8 studenti, con un programma sull’autore austriaco Schnitzler, che allora era quasi sconosciuto in Italia. Il docente era proprio il traduttore di Schnitzler e questo ha fatto scattare in me un interesse che nel corso degli anni si è intensificato e mi ha portato a scrivere la tesi su di lui, e poi a Vienna con una borsa di studio. In seguito ho vinto il concorso per insegnare nelle scuole a Milano e penso di essere stato uno dei pochi in Italia a rifiutare una cattedra, perché allora pensavo che per me fosse ancora più importante fare ricerca. Un posto come ricercatore lo ottenni all’Università di Udine dopo aver iniziato a tradurre e scrivere articoli, e così è iniziato il mio percorso accademico in Italia.
Parallelamente a questa passione c’è sempre stato un interesse per la politica…
Appartengo a una generazione in cui l’impegno politico era normale, si passava attraverso associazioni giovanili che erano anche politiche. Ho partecipato alla vita politica universitaria, ma quando poi ho lasciato l’Italia questo impegno è finito da sé e non mi sono più occupato di politica attiva per moltissimi anni, circa 20. Dopodiché il Rettore della nostra Università a Udine si è candidato a sindaco con una lista indipendente, e dopo aver vinto le elezioni mi ha chiesto di entrare in giunta come tecnico in qualità di assessore alla cultura. Io mi sono sentito obbligato ad accettare: non avrei più potuto parlare male dei politici se non mi fossi messo in gioco in prima persona e se non mi fossi messo al servizio della comunità. Non è stato un compito facile, mi ha preso sicuramente molto tempo, ma si è rivelata un’esperienza importante, che mi ha permesso di conoscere meglio la città e avere un’impressione diretta di cosa vuol dire amministrate una città oggi. Dopo i 5 anni di mandato mi sono fermato perché mi sembrava giusto così. Ero stato un intellettuale al servizio della politica per un periodo di tempo, ma il mio ruolo si era concluso, altrimenti sarei diventato politico di professione e non era quello che volevo. Se sono riuscito nel compito dovreste chiederlo agli abitanti di Udine.
Quali sono i suoi luoghi preferiti di Berlino e quali le attività che preferisce all’interno dell’enorme offerta culturale di questa città?
Può sembrare un paradosso ma posso parlare meglio del passato che del presente. Sono qui da due mesi e il lavoro da fare è stato tanto, quindi la maggior parte del mio tempo l’ho passato qua, a Hildebrandtstrasse 2. Ci sono molte cose che avrei voluto vedere ma non ho ancora visto. E’ la prima volta, ad esempio, che rimango a Berlino per un po’ e non vado a teatro, se non per rappresentazioni organizzate direttamente da noi. Questa città la frequento da prima della caduta del muro, motivo per cui conosco meglio i quartieri dell’ex Ovest e subisco un po’ il fascino della vecchia Westberlin. Anche Prenzlauer Berg mi piace molto, ma ho scelto Charlottenburg per vivere, che ha degli angoli bellissimi a mio parere, come Savignyplatz. Per il momento quindi sono un po’ tradizionalista verso Berlino, devo ancora informarmi meglio sui nuovi quartieri in voga come Nuekoelln. Magari fra qualche anno potrò esprimermi diversamente.