Ciò che ricordano i militari italiani internati in Germania
È l’8 Settembre 1943 quando il Maresciallo Badoglio annuncia l’armistizio fra l’Italia e le Forze Alleate; la guerra sembra finita, ma per molti italiani quel momento segna l’inizio di un nuovo capitolo tragico della loro vita.
Nel 1943 sono 640 mila i soldati italiani che stanno combattendo in giro per l’Europa; da un giorno all’altro vedono ribaltato quello che per loro era l’ordine delle cose. Gli alleati diventano nemici e i nemici si trasformano in alleati. L’esercito tedesco riceve l’ordine di disarmarli e li pone davanti ad una scelta: continuare a combattere al fianco del Terzo Reich o essere trasferiti nei campi di detenzione in Germania come lavoratori. Continuare a combattere significa ricevere un trattamento da soldato, rifiutare invece è una condanna alla schiavitù.
Solo il dieci percento accetta di essere arruolato, il resto di questa moltitudine si trasforma in resistenza: il loro no è un rifiuto alla dittatura e alla prosecuzione della guerra.
Per loro iniziano due anni di stenti, privazioni, fame e lavoro massacrante con la morte come unica possibilità di fuga: sono diventati IMI (Italienische Militär-Internierte – Internati militari Italiani), una sigla che li ha trasformati in oggetti da utilizzare ai quali non viene applicata la convenzione di Ginevra. Non sono prigionieri di guerra, non hanno diritto a ricevere aiuti e visite dalla Croce Rossa ma sono solo una serie di numeri, costretti a lavorare dalla Germania nazista e disprezzati dai loro ex alleati come traditori e vigliacchi.
Il film “24 e 1 – Prigionieri resistenti. Racconti di militari italiani internati in Germania” ci ricorda che non è mai troppo tardi per raccontare una storia: 24 testimonianze di internati più una, quella di Daniela Jannace, voce narrante e nata dopo di loro. 24 persone che ricordano dopo anni i loro giorni da prigionieri, mai risarciti dallo stato tedesco per il lavoro fornito.
Thomas Radigk, regista tedesco del film, ha voluto dare a queste 24 persone la possibilità di ricordare e di raccontare a chi vede quello che è successo agli IMI; l’idea gli è venuta parlando con un suo caro amico di Roma, anch’egli internato in Germania ai tempi della seconda guerra mondiale.
Il film, un’unione amichevole tra Italia e Germania anche nella produzione e realizzazione, è stato presentato a Berlino grazie alla collaborazione tra la Società Dante Alighieri ( nella cui sede è avvenuta la proiezione), il ComitEs (Comitato degli italiani all’estero, rappresentato per l’occasione dalla Presidente Simonetta Donà) e il giornalista Guido Ambrosino, portavoce in Germania dell’ANRP (Associazione Nazionale Reduci Prigionia).
Per il momento, purtroppo, il film non ha distribuzione né in Germania né in Italia, ma varrebbe sicuramente la pena che entrasse a far parte almeno delle proiezioni che si fanno nelle scuole (sia tedesche che italiane) per raccontare con esperienze di vita le vicende di questi uomini, spesso dimenticate o raccontate velocemente tra le righe dei comuni manuali scolastici di storia. Unita a questo documento visivo c’è l’esperienza fisica del ricordo, che ogni anno ad Aprile viene ripetuta dai sopravvissuti con una cerimonia a Treuenbrietzen (nei pressi di Berlino), dove nel 1945 furono uccisi 127 militari italiani, “colpevoli” di essere traditori badogliani agli occhi dell’esercito tedesco.
Sia il ComitEs che le comunità locali tedesche sono sempre disponibili e in prima fila per promuovere a sviluppare l’organizzazione di queste iniziative: gli internati italiani sopravvissuti sono sempre meno ogni anno che passa, cosa rimarrà del ricordo quando se ne saranno tutti andati? Il racconto di quegli anni deve rimanere sempre vivo perché, come dice Daniela Jannace nel film di Radigk, “dimenticare è ferire un’altra volta”. E gli IMI di ferite aperte con cui fare i conti ne hanno già avute fin troppe.