«La techno di Berlino? E’ arrivata dopo. Io l’ho imparata da Detroit»
Francesco Tristano, 33 anni, originario del Lussemburgo, è un personaggio davvero particolare. Pianista di talento da quando era un ragazzino, di giorno suona musica classica d’autore e pezzi originali di fronte a migliaia di persone. DJ richiesto ed ammirato per il suo lavoro, di notte riempe i club con la sua techno che mixa suoni elettronici al sintetizzatore e basi al pianoforte suonate da lui stesso (spesso dal vivo). Questo suo dividersi tra due mondi così apparentemente lontani tra loro lo ha reso una figura molto discussa. Ma lui non si preoccupa delle critiche e va avanti per la sua strada: il primo maggio verrà lanciato il suo nuovo e quinto album Body Language Volume 16, che si rivela ancora più techno dei precedenti. Lo abbiamo incontrato a negli studi della casa discografica berlinese che produrrà l’album – la Get Physical – poco prima di un suo concerto a Mitte. La carnagione chiara, gli occhi azzurri e i riccioli biondi si contrappongono ad un abbigliamento total black. Pacato, ma sicuro di sé e di quello che dice, ci racconta come è arrivato fino a questo punto. E non risparmia commenti sui colleghi che non apprezza.
Hai iniziato a suonare il piano a 5 anni. Come è nata questa passione così presto?
Il merito è di mia madre: lei aveva comprato un piano e ascoltava musica tutto il giorno, classica come Vivaldi e Bach, ma anche i Pink Floyd. A 5 anni ho iniziato a prendere lezioni di pianoforte. Subito però è iniziata la mia passione per le tastiere e i sintetizzatori: a 7 anni ho avuto la mia prima tastiera e ho iniziato a divertirmi a giocare coi diversi suoni che vi si potevano produrre. Praticamente facevo già allora quello che faccio oggi.
Sei cresciuto sentendo le tue radici italiane?
Mia madre è nata in Lussemburgo ma è come se fosse italiana perché la mia nonna materna è completamente italiana. Ci sono tanti italiani in Lussemburgo: il 20% della popolazione. Io sono cresciuto a casa di mia nonna che mi cucinava la pasta e la pizza, quindi è normale che sia legato alla cultura italiana. Quando sono in Italia sto bene.
Come ti ha influenzato l’esperienza a New York?
New York non mi ha dato solo gli insegnamenti di musica della Juliard. Il conservatorio come dice il nome stesso serve a conservare qualcosa, rappresenta la tradizione, ma questa è stata solo una piccola parte della mia esperienza perché a New York c’è tutto: c’è musica classica, jazz, la scena club, tutte le sperimentazioni possibili. Io avevo 17 anni quando sono arrivato ed ero aperto a tutto. Poi quando ho scoperto la eletronic dance music con i Daft Punk per me si è aperto un mondo. E’ stata Around the world: la canzone in particolare non mi piaceva tanto ma il tipo di musica mi attraeva, volevo sapere come si faceva. Erano gli anni 1998-2000, allora con la musica elettronica facevi quello che volevi: adesso anche la house e la tecno sono state “codificate” e hanno concetti fissi. Ma 15 anni fa la musica elettronica si poteva inventare liberamente.
Foto © Paolo Lafratta Photography
E l’elettronica di Berlino invece non ti ha condizionato?
No, perché Berlino è arrivata dopo. Il Berghain è un fenomeno recente. La Detroit techno è arrivata prima o almeno io l’ho sentita di più perché stavo lì.
Quando hai pensato la prima volta di mixare musica classica con quella elettronica?
Non ho mai avuto l’idea di combinare questi due tipi di musica, almeno non consciamente. La musica classica era già lì, perché ci sono cresciuto, è il mio bagaglio e la mia formazione. A questa si sono aggiunti gli altri tipi di musica che mi piacevano e il mix è nato automaticamente. Avevo fondato un gruppo che si chiamava “The New Bach Players” con i quali ho fatto vari progetti. Il primo era 100% Bach, suonato con una certa serietà storica. Poi abbiamo fatto Le quattro stagioni di Vivaldi con passaggi esterni, escursioni dal testo originale, in cui si suonava una specie di musica elettronica. Una sorta di Vivaldi ricomposed. E’ così che le due cose per me hanno trovato un’unione.
Adesso la tua discografia è molto particolare perché presenta album editi con con Deutsche Grammophon, la più grande etichetta tedesca di musica classica, e album editi con etichette di musica elettronica.
Il mio prossimo album è molto techno e per questo sono felice di produrlo con la berlinese Get Physical, una casa discografica specializzata in musica elettronica. La cosa bella è che anche la Deutsche Grammophon sta a Berlino, a soli cento metri da qua. Secondo me è il timing che determina tutto. Io 10 anni fa compravo i vinili della Get Physical e mai avrei pensato di fare un giorno un album con loro. Poi un manager dell’etichetta mi ha scoperto sentendomi su RTL e mi ha detto che erano interessati alla mia musica. Con loro mi trovo molto bene ma con Deutsche Grammophon ho ancora l’esclusiva per la musica classica. L’anno prossimo probabilmente pubblicherò per loro un disco di musica originale per pianoforte. Molti non hanno capito questo mio passaggio, non accettano che un pianista che suona Bach possa incidere dischi techno.
Conosci Giovanni Allevi?
Sì, l’ho sentito, ma non mi piace tanto. È positivo che riesca a portare i giovani ad ascoltare la musica classica, ma non mi sembra niente di eccezionale. C’è un altro che mi piace, Ludovico Einaudi. Credo che lui abbia davvero un potenziale e se volesse potrebbe fare lo stesso. E la sua mi sembra buona musica, davvero di qualità e con una profondità.
Tu che vivi sia il mondo della musica classica che quello della techno potrai dire meglio di chiunque altro se sia vero lo stereotipo che normalmente si ha del primo come serio e tranquillo mentre del secondo come quello degli eccessi. Al quale pensi di appartenere di più?
Gli stereotipi in questo caso sono abbastanza veri. Però conosco anche musicisti classici che non hanno una vita molto regolare e dj che invece sono molto tranquilli. Quindi diciamo che ognuno è un caso a sé. Io mi trovo tra questi due mondi, e in questo senso posso fare festa, andare un after, ma alla fine vado a dormire perché il giorno successivo magari dovrò studiare pianoforte per 6 ore. Perché se ho un concerto in cui dovrò suonare Bach di fronte a duemila persone di certo non posso permettermi di sbagliare. Ultimamente, con 115 date all’anno, gli eccessi non me li posso permettere e sono diventato più stabile. La settimana scorsa per esempio ero a Milano, ho suonato in un club dalle 4 alle 5, poi dopo la chiusura degli amici mi hanno chiesto di uscire: mi è dispiaciuto ma ho dovuto dire no. Ognuno ha il suo equilibrio, e io adesso o trovato il mio.
Francesco Tristano
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