Germania, tre anni (e qualche mese) più tardi: nessun posto è come casa, ma casa mia dov’è?
di Sabrina Putignano*
Ho seguito una TED talk in cui l’esperto spiegava che per stare bene dobbiamo tenere conto dei nostri Bisogni Mentali Naturali. Il primo è il senso di appartenenza, il secondo è la soddisfazione e l’apprezzamento, e il terzo è la proiezione verso un futuro che abbia valore per noi.
Io punto tutto sul terzo aspetto, ma una media del 33% di bisogni soddisfatti non può propriamente considerarsi favorevole al benessere mentale. Oppure sì?
Forse il tempo, lo spirito di adattamento e la crescita—quindi il ridimensionamento delle proprie aspettative—ti portano a “sentirti un po’ più a casa”, ad accogliere i consigli e i punti di vista degli altri, senza necessariamente accusare certi commenti come offese personali.
Parentesi: avrei un intero paragrafo da dedicare al senso del tempo, ma rinuncio allo sproloquio. Propongo solo una considerazione: la lingua italiana permette di riferirsi con “tempo” anche alle condizioni meteorologiche: e lì, giù con i commenti. Non mi dilungo neanche sull’adattamento e sulla crescita, visto che siamo in uno stato di tenace work in progress per entrambe le cose.
Insomma, questa tolleranza acquisita, sommata senza dubbio a una condizione economica favorevole, pone davvero le basi per una vita sicura e tranquilla qui, tra qualche anno? Sicuramente no. Perché? Risposta breve: perché qui, al di là del posto nel cuore della persona che amo, non sono felice.
Risposta elaborata: perché sono stanca. Soprattutto di dover costantemente dimostrare di non star facendo nulla di sbagliato. Quello che fatico a contrastare è questo scudo di falsa virtù che protegge lo spirito di condanna, dove sei colpevole fino a prova contraria. Come a dire: “Sei molto carina, ma non sai cosa stai facendo. Spostati.” E certe volte non dicono neanche “Spostati”, semplicemente ti fissano male, come quando stai scegliendo lo yogurt dal frigo al supermercato e loro aspettano che tu abbia finito prima di passare dietro di te. Micropressione. Ma ti pare?
La presunzione di sapere fare meglio degli altri non è una prerogativa tedesca, bensì globale. Tuttavia, in molti credono che in Germania i cittadini e i lavoratori siano più efficienti e smart di tutti gli altri. Questo non è vero. Ciò che è vero è che lavorano: il lavoro è il loro motto. Il problema sta nel come lo fanno. Punto primo, spirito di collaborazione, teamwork, ascolto e supporto reciproco: non pervenuti, almeno in accademia. Secondo, conseguenza del punto primo: è impossibile proporre qualcosa di nuovo. Il fattore di rischio nelle cose non può essere parte del bilancio; ci si attiene al protocollo “Perché si fa così”. È molto raro incontrare uno scienziato che non sia rinchiuso nelle sei facce cubiche della sua conoscenza, che si spinga un po’ oltre i limiti della sua rigorosa, spigolosa, presuntuosa personalità.
Ma io. Come posso sentirmi a casa in un posto in cui sono in ritardo anche quando sono in orario, perché gli altri arrivano in anticipo? O dove devo fare un passo indietro sul marciapiede pedonale, perché se sono sul bordo con la via ciclabile, le bici devono rallentare per non portarsi via un mio braccio. Un posto in cui non pranzano e cenano alle 5 (Il discorso cibo non lo affronto per una questione di dignità, perché alla fine ho sempre scelto IO di venire in Germania; quindi certe cose me le sono cercate da sola, questo è da dire.)
La mia mamma mi ha insegnato a non “fare di tutta l’erba un fascio”. Infatti, accanto alla fetta di popolazione che non sa dove stia la spensieratezza, esiste un’altra fetta di popolazione estremista progressista che manifesta nuda in prima fila qualsiasi principio per cui si sta combattendo. Di per sé, la libertà di espressione sarebbe un rispettabilissimo diritto da difendere con le unghie e con i denti. Ma il mio augurio personale è che una democrazia sana possa risolversi in una gara a chi è un po’ meno irrazionale, ideologico, ipocrita e narcisista degli altri.
Il segreto sta nell’avere una pelle spessa e un cuore elastico. Siamo diversi, e faremmo un passo avanti nel renderci conto che questo non è un reale problema—anche se i tedeschi sono noti ai più come quelli precisi-puntuali-laboriosi, mentre gli italiani sono i simpatici ritardatari nullafacenti—ma un’occasione di equilibrio. È una lezione che imparo ogni giorno a casa, accanto al mio berlinese preferito. Esempio: io che esulto urlando quando l’Italia segna al 99′ agli europei, lui che si preoccupa per i vicini. Ha ragione lui, solo che io mi diverto di più.
* Sabrina Putignano è studentessa di dottorato alla Freie Universität e vive a Berlino da quasi quattro anni