screenshot da: https://www.youtube.com/watch?v=kqxMve6x7Uw

Fondamentalisti islamici pianificavano attentato alla moschea liberale e gay friendly di Berlino

Un’indagine della procura rivela come gli integralisti islamici avessero nel mirino quello che è il simbolo dell’Islam moderato

Lo scorso anno, nel luglio 2023, la procura generale federale aveva spiccato un mandato d’arresto nei confronti di 7 uomini di fede islamica, provenienti da Tagikistan, Kirghizistan e Turkmenistan con l’accusa di terrorismo.

In ottobre dall’indagine della procura federale era emerso come questo gruppo terroristico avesse in passato pianificato un attacco contro la moschea Ibn Rushd Goethe di Berlino. La testimonianza che ha fatto scattare l’allarme è stata la diffusione di un’immagine del luogo di culto su una chat di Telegram tra membri di un gruppo. Secondo l’accusa, uno degli esponenti del gruppo aveva accompagnato la diffusione dell’immagine all’esplicita richiesta “Quando faremo un attentato qui?”.

Comunque il procuratore generale ha tenuto a specificare come al momento dell’arresto non vi fossero seri preparativi per l’attacco in corso, facendo emergere la natura preventiva della loro custodia. Tant’è che in molti si chiedono se le prove a disposizione dell’accusa siano sufficienti per una condanna.

Un’indagine che parte da lontano

Letta così, verrebbe da chiedersi come mai la procura federale abbia tratto in arresto questi 7 soggetti senza prove concrete della loro attività terroristica. Tuttavia gli imputati non sono proprio al di sopra di ogni sospetto. Vediamo perché.

A spingere la procura ad agire è stato il fatto che dal giugno 2022 questi 7 uomini avessero costituito un gruppo terroristico, operativo in Germania. Inoltre il pm aveva evidenziato come questo gruppo terroristico avesse stretti contatti con la cellula afghana dell’Isis ISPK (Islamic State Province of Khorasan). Seppur indipendente, il gruppo terroristico agiva nello ‘spirito’ dello Stato Islamico e i suoi membri avevano effettuato donazioni da migliaia di euro all’Isis.

Secondo l’accusa i 7 imputati, di età compresa tra i 21 e i 47 anni, nel prendere in considerazione l’idea di compiere attacchi mirati, avrebbero monitorato la routine quotidiana di alcuni cittadini ebrei. Precedentemente essi avevano considerato anche di compiere un attentato ad una fiera a Colonia.

Come detto in precedenza, ciò che ha allarmato l’autorità giudiziaria è naturalmente la vicinanza al ramo afghano dell’Isis, ritenuto particolarmente violento e pericoloso dalle autorità. E a ragione, se pensiamo che è stata proprio questa cellula afghana dello Stato Islamico ad aver compiuto lo scorso 22 marzo un violentissimo attentato in un auditorium musicale alle porte di Mosca; attentato che è costato la vita a 150 cittadini russi.

La vicinanza all’ISPK non è solo supposta. Difatti l’indagine condotta dalla procura fa emergere l’indiscrezione secondo cui colui che, stando all’accusa, è considerato come il portavoce del gruppetto terroristico in Germania abbia avuto contatti con due membri dell’ISPK che nel dicembre ’22 erano stati arrestati a Strasburgo per sospetta pianificazione di attentato.

Breve storia della moschea

E’ ora il caso di tornare sulla moschea Ibn Rushd Goethe di Berlino che, come abbiamo detto, è stata nel mirino dei terroristi islamici. Per capire il perché è opportuno ricostruirne brevemente la storia.

La moschea, sita nel centralissimo quartiere di Moabit, è nota per essere uno dei pochissimi luoghi di culto islamico aperto alle persone omosessuali e queer. Fatto che le ha fatto guadagnare, in ambito giornalistico, il soprannome di ‘moschea liberale’. Questa stessa postura progressista l’ha però esposta a numerosi e molteplici attacchi da parte del mondo islamico tradizionale, che la considerano come un ‘luogo di culto del diavolo’.

Del resto all’interno della moschea sono consentite alcune pratiche religiose totalmente impossibili nella stragrande maggioranza dei luoghi di culto islamici. Ad esempio, nella moschea di Moabit uomini, donne e persone non binarie pregano insieme; cosa che è invece proibita nelle moschee tradizionali.

Un’altra innovazione proposta dalla moschea liberal berlinese consiste nel divieto di indossare all’interno del luogo di culto il niqab e il burqa. La fondatrice di questa speciale moschea Seyran Ates, la cui figura approfondiremo nel prossimo paragrafo, ha spiegato la ratio di questa misura che a prima vista potrebbe apparire come molto illiberale, ma che in realtà è del tutto sensata. All’inaugurazione della moschea nel giugno 2017, ha concesso un’intervista allo Spiegel spiegando che: “il divieto di ingresso nella moschea con niqab e burqa è stato disposto per ragioni di sicurezza ma anche perché è nostra convinzione che i veli integrali nulla hanno a che fare con la religione e che piuttosto rappresentano un’imposizione politica”. Difficile non darle ragione.

Un’altra posizione che è costata alla Ates il sostanziale isolamento dal resto della comunità islamica fu la scelta di esporre, prima moschea a farlo, una bandiera arcobaleno in supporto alla comunità LGBT.

L’incredibile storia di Seyran Ates, attivista scomoda

La fondatrice di questo luogo meraviglioso, unica moschea liberale in Europa – dunque vero e proprio simbolo dell’incontro tra la tradizione religiosa islamica e la modernità, laica e secolarizzata, tipicamente europea – si chiama Seyran Ates.

La Ates, nata a Istanbul ma cresciuta a Berlino, è un’attivista che si batte da sempre per i diritti delle donne musulmane. Le sue posizioni femministe le hanno fatto guadagnare l’ostilità delle fasce più tradizionaliste e retrive del mondo religioso islamico. Anni fa fu costretta a chiudere il suo studio legale a Kreuzberg, quartiere di Berlino dove c’è una folta presenza turca, e a sospendere la collaborazione con due consultori che offrivano assistenza alle donne musulmane dopo che venne travolta dal marito di una donna, a cui stava prestando assistenza legale per divorziare. Fu apostrofata come “hure”, ossia ‘puttana’.

Dal momento in cui ha dato vita a questo esperimento è definitivamente entrata nel mirino delle autorità religiose islamiche. Letteralmente nel mirino, se pensiamo che Ates anni fa è stata vittima di un attentato da parte dei Lupi grigi turchi, formazione nazionalista estremista turca. Fortunatamente il proiettile si è fermato tra la quarta e la quinta vertebra e non è andato a segno, tuttavia questo episodio ha profondamente segnato la Ates, che ha impiegato ben 5 anni per riprendersi dall’attentato.

Nei suoi confronti sono state lanciate svariate fatwa (la fatwa consiste in un pronunciamento ufficiale da parte di un giudice coranico su alcuni aspetti della vita collettiva ma anche individuale) dall’Egitto e dalla Turchia. La frase “ricevo trecento lettere di sostegno al giorno ma tremila di minacce” riassume bene la complessità della situazione che vive la Ates.

Chi sostiene Seyran Ates?

In base a quanto detto finora ci si aspetterebbe che la Ates per il suo attivismo femminista sia stata osteggiata dai tradizionalisti islamici ma abbia trovato sostegno nel mondo progressista. E invece non è così. Ma perché? Per comprendere la ragione di questa scollatura tra Ates e mondo progressista è bene ricostruire una storia che ha radice nel 2021.

Nel 2021 il Soura Film Festival, festival berlinese dedicato al cinema LGBT, aveva in programma un documentario sulla moschea Ibn-Rushd Goethe. Tuttavia qualche giorno dopo gli organizzatori telefonarono alla fondatrice di questo luogo di culto islamico così diverso dagli altri per comunicarle che la proiezione sulla moschea era stata annullata. Ma come mai? A spingere gli organizzatori del Festival a questo dietrofront è stato il pervenire di accuse di “islamofobia” nei confronti della Ates. Accuse particolarmente strane per una donna musulmana, che rivendica con fierezza la sua fede islamica ma che con altrettanta fierezza intende distaccare la religione da certe convenzioni sociali che di religioso hanno ben poco e che rivelano chiaramente finalità patriarcali.

Il Soura Film Festival, non contento di aver annullato la proiezione, ha anche emesso un comunicato in cui “prendeva le distanze dalle sue dichiarazioni islamofobe”. La Ates ha prontamente risposto: “L’incidente è un esempio di come parti della sinistra siano cieche di fronte al pericolo rappresentato dagli islamisti. Combattono le strutture patriarcali e le chiese. Ma quando si tratta di musulmani, improvvisamente diventano difensori di un islam conservatore, patriarcale e politico. Gli attacchi lgbt sono vergognosi”.

Una riflessione finale

Parole molto nette, parole che chi scrive sente di condividere pienamente. Non si comprende esattamente in che modo le posizioni della Ates contro le pratiche più retrive e conservatrici dell’Islam politico possano considerarsi ‘islamofobe’.

E’ forse islamofobo il divieto di indossare in una moschea il velo integrale, vero e proprio simbolo della sottomissione delle donne nelle società islamiche? E’ forse islamofobo contestare il fatto che in molte nazioni islamiche la vita politica non sia regolata da un testo costituzionale ma bensì dalla Sharia, cioè dalla legge islamica??

Verrebbe da chiedere ai sedicenti progressisti se è islamofobo impedire quella pratica vergognosa che stabilisce che nelle moschee donne e uomini debbano pregare separati. E a chi rispondesse di no, giustificando questa pratica come parte della “loro cultura”, verrebbe da chiedere come reagirebbero se domani la Chiesa cattolica ingiungesse ai fedeli di separarsi tra i banchi delle chiese e di dividersi in base al genere. Uomini da una parte e donne dall’altra. Si ha come l’impressione che non la giustificherebbero come ‘parte della cultura cattolica’ e che con ogni probabilità griderebbero al ritorno del clerical-fascismo. A ragione, tra l’altro.

La verità è che il mondo progressista, quello LGBT in particolare, risulta prigioniero di un’enorme contraddizione per quanto riguarda il rapporto tra religione e diritti. Nel caso delle società occidentali, dove la secolarizzazione è per fortuna una realtà consolidata, i progressisti sono estremamente rigidi e assai poco tolleranti verso ogni tentativo della religione di imporre la propria scala valoriale alla società. Mentre nel caso delle società islamiche, laddove la secolarizzazione è un miraggio e dove la morale imposta dalla religione permea e domina ogni aspetto della vita collettiva, le battaglie per i diritti si fanno sempre più sfumate, fino quasi a scomparire.

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