Hanno fatto bene a sgomberare la favela di Cuvrystrasse a Berlino. Ecco perché
Poco più di un anno fa, al mio arrivo a Berlino, l’area sita all’incrocio tra Schlesischestrasse e Cuvrystrasse e nota come Camp Cuvry, mi era stata presentata come un esempio di vita alternativa. Una sorta di esperimento sociale riuscito. La zona, abitata da qualche “viaggiatore itinerante”, sarebbe dovuta essere un luogo in cui poter partecipare a feste, organizzare eventi culturali, leggere libri o semplicemente farsi due chiacchiere e una birra con gli amici in riva al fiume. Una settimana dopo, il caso ha voluto che trovassi casa proprio nel palazzo adiacente, quello con gli affreschi dal famoso street artist italiano Blu. Da quel momento non sono passate molte notti prima che potessi farmi una personale opinione a riguardo, basandomi su quanto vedevo e non su quanto mi veniva raccontato. E il mio pensiero in merito è risultato tutt’altro che positivo.
Per questa ragione non ho provato gran dispiacere quando qualche giorno addietro, a causa di un incendio (pare che un gruppo di polacchi abbia dato fuoco a una tenda di africani in seguito a un litigio), l’area è stata prima sgomberata e poi recintata dalla polizia. In quel campo non c’era infatti nulla di affascianante se non l’idea di base: quella che voleva un mondo idilliaco nel bel mezzo della città, in cui la gente poteva vivere felice, libera da regole e stupide convenzioni sociali. La realtà invece era fatta di metri quadrati di fatiscenza, sporcizia, baracche, ratti ed escrementi. Niente elettricità, niente acqua e, ovviamente, niente bagni. Le condizioni igieniche degli inquilini ve le lascio quindi immaginare. L’area veniva anche chiamata “la “favela di Berlino” o Cuvrybrache e ancora sto cercando di capire come si potesse vedere una qualche sorta di accezione positiva nella parola “favela”. Certo, si può contestare il modo e la tempistica in cui è avvenuto lo sfollamento (l’incendio sa molto di pretesto colto ad hoc), ma questo, in fondo, è un altro discorso.
Sul marciapiede, all’esterno della zona autogestita e praticamente ad ogni ora del giorno, sedevano a turno gruppetti di occupanti del campo per fare l’elemosina. Spesso ubriachi e talvolta molesti. Al Cake, il pub di fianco, molti clienti hanno denunciato furti di cellulari e portafogli negli ultimi mesi. La biblioteca costruita all’interno di Camp Cuvry, e situata proprio a un paio di metri dall’entrata, era pura facciata. Lì dentro i libri sevivano al massimo per alimentare i fuochi di bivacco notturni e dei cui fumi si sono più volte lamentati gli abitanti del quartiere. L’esperimento, a mio avviso, è quindi miseramente fallito. Quando ora esco la mattina o torno a casa la sera dal lavoro e vedo il campo recintato e controllato a vista dalla polizia per evitare che qualcuno tenti di riprenderne il possesso mentre le ruspe fanno il loro lavoro, beh, non posso che sentirmi sollevato. E questo non perchè sia stato contrario all’idea iniziale, anzi, ma perchè ritengo sia giusto porre fine a una nobile ed interessante iniziativa quando purtoppo ci si rende conto che la stessa è degenerata fino a implodere. Come la comunità del film “The Beach” del giovane Di Caprio.
Emblematico è il fatto che persino i berlinesi, e nello specifico gli abitanti di Kreuzberg (il quartiere alternativo e permissivo per eccellenza), non si siano ribellati allo sgombero. Gli stessi che un paio di anni fa hanno voluto che Camp Cuvry rimanesse a disposizione di tutti facendo saltare il progetto di un laboratorio artistico ideato in congiunta da BMW e Guggenheim. Nonostante ciò, sono consapevole del fatto che ci sarà sicuramente chi leggendo queste righe non condividerà la mia visione, soprattutto chi dalle parti di Schlesischestrasse ci passa solo nei weekend per fare baldoria con gli amici o chi a prescindere vuole alimentare il suo ego sovversivo.
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