Der Spiegel: “Il Sud Italia sta morendo”. Una generazione di giovani è costretta ad emigrare
Disoccupazione alle stelle, scuole fatiscenti, amministrazioni corrotte. Persino le mafie tagliano la corda, perché al Sud non c’è rimasto nulla da depredare. Comincia così il reportage di Der Spiegel Verarmung: Italiens Süden stirbt, che raccoglie il grido d’allarme di Roberto Saviano, espresso in una dura lettera aperta indirizzata al Presidente del Consiglio Matteo Renzi, poi bollata da quest’ultimo come mero piagnisteo.
L’autore di Gomorra aveva fondato la sua requisitoria sulle anticipazioni del Rapporto Svimez, presentate a Roma lo scorso 30 luglio. E in effetti i nudi fatti, sentenzia Hans-Jürgen Schlamp, l’inviato della nota testata tedesca, stanno inoppugnabilmente dalla parte di Saviano. L’indagine sul Mezzogiorno delinea una fotografia impietosa: un paese spaccato in due dalle diseguaglianze, un’economia meridionale cresciuta tra il 2000 e il 2013 a un ritmo del 13 per cento, circa la metà rispetto alla Grecia minacciata dalla bancarotta, assestata pur sempre al 24 per cento.
Una persona su tre è a rischio povertà, mentre al Centro-Nord lo è una su dieci. Nel 2014 il Pil del Mezzogiorno è stato ancora negativo (-1,3 per cento) e il divario di Pil pro capite è ripiombato ai livelli di 15 anni fa. Negli anni neri 2008-2014 « i consumi delle famiglie meridionali sono crollati quasi del 13 per cento e gli investimenti nell’industria in senso stretto addirittura del 59 per cento; nel 2014 quasi il 62 per cento dei meridionali guadagna meno di 12mila euro annui, contro il 28,5 per cento del Centro-Nord». Numeri tragici, che fanno temere la trasformazione della crisi ciclica in un «sottosviluppo permanente», endemico.
La difficile congiuntura economica ha falciato posti di lavoro ovunque, ma è al Sud che si concentra il 70 per cento delle perdite. Gli occupati meridionali sono 5,8 milioni, il livello più basso dal 1977, anno da cui sono disponibili le serie storiche Istat. E ovviamente la precarietà esistenziale ha contribuito a un autentico crollo demografico: nel 2014 si sono registrate 174 mila nascite, un «drammatico minimo storico» che rappresenta il valore più basso dai tempi dell’Unità d’Italia.
Una generazione perduta. Chi sembra aver pagato le conseguenze peggiori di questo disastro economico e sociale sono i giovani del Mezzogiorno: tra i 15 e i 34 anni è occupato solo il 23,9 per cento, mentre i Neet (Not in education, employment or training) sono schizzati al 38,7 per cento, due milioni di ragazzi che hanno perso la speranza, non cercano più lavoro, non si formano e vagano in un purgatorio senza prospettiva fatto di giornate trascorse al bar, paghette dei genitori elargite e accettate nell’imbarazzo, depressione.
Per farsi un’idea della vastità e gravità del fenomeno, si pensi che il tasso di occupazione, per la stessa fascia di età, raggiunge nell’Ue a 28 paesi il 42,1 per cento, in Germania il 45,8 per cento, nel nostro Centro-Nord il 40,6 per cento, in Spagna il 36,6 per cento, persino in Grecia il 35,3 per cento. E altrove i Neet vengono contenuti entro percentuali meno esplosive: 16,5 per cento la media europea, 10,4 per cento in Germania, 20 per cento al Centro-Nord, 22,4 per cento in Spagna.
Questo stato di abbandono e di emarginazione dalle realtà produttive si fa ancora più evidente osservando la condizione delle giovani donne meridionali: tra i 15 e i 34 anni ne è occupata appena una su cinque, il 20,8 per cento. Oltre 20 punti in meno del Centro-Nord e 30 dell’Europa.
Fuggono tutti, mica solo i cervelli. La desertificazione materiale, culturale e demografica spinge sempre più giovani a spostarsi al Nord o a emigrare verso altri paesi. Scappano ricercatori, professionisti, laureati, che in Italia si sentono invisibili e frustrati nelle loro aspirazioni, mentre all’estero vengono spesso valorizzati e adeguatamente retribuiti; ma, spinta dalla necessità o da una prospettiva esistenziale asfittica, decide di andar via anche la forza-lavoro meno qualificata, in cerca di fortuna, come si sarebbe detto una volta, di maggiori opportunità lavorative o, semplicemente, di quell’autonomia finanziaria che dovrebbe costituire la condizione fisiologica dell’età adulta.
E la Germania è una delle mete privilegiate dell’emigrazione giovanile italiana. Tornano in mente i tempi, nota Der Spiegel, in cui la Volkswagen a Wolfsburg e la Ford a Köln attiravano migliaia di lavoratori dalla Campania, dalla Calabria, dalla Sicilia. Gli stessi accenti che si ascoltano oggi a Berlino tra i camerieri delle pizzerie di Neukölln o dei caffè di Prenzlauer Berg. E, al netto di tagli hipster e velleità creative, sempre più spesso la mobilità internazionale è percepita come necessità dolorosa anziché come scelta libera.
Persino le mafie – Der Spiegel riprende la provocazione di Saviano – abbandonano il Meridione, dopo averlo spolpato fino all’osso: diversificano gli investimenti, indossano giacca e cravatta e si ramificano al Nord-Est o all’estero. Nel Mezzogiorno, tra deindustrializzazione, crollo demografico, burocrazia ipertrofica e classe politica corrotta, restano ormai quasi solo le macerie: stabilimenti abbandonati, ecomostri, strade stremate, trasporti da romanzo di Carlo Levi e ospedali al collasso, tra cui però, nonostante tutto, resistono ancora paesaggi commoventi, borghi fantasma dalla bellezza malinconica, patrimoni artistici inestimabili e una ricchezza enogastronomica apprezzata in tutto il mondo.
Saviano ha ragione, quando si dice addolorato perché il Presidente del Consiglio derubrica a piagnisteo il grido di dolore di una terra che, tra le sue mille contraddizioni, conserva invece sempre forte una propensione alla dignità e all’umanità. Al Sud non servono le purghe di vuoto ottimismo renziane o gli spottoni di Federica Guidi e Graziano Delrio, se le scuole continuano a crollare sulle teste dei bambini. Non serve, come spiega molto bene Christian Raimo riferendosi alla realtà romana, la coppia categoriale degrado-decoro, foglia di fico volta a occultare, con la sua retorica delle ramazze, la natura profonda dei problemi meridionali. Non servono prebende, relazioni clientelari, interventi emergenziali e nuove Casse del Mezzogiorno. Non servono fondi europei a pioggia, destinati a perdersi in mille rivoli tra mini-progetti, malversazione e incapacità di progettazione, almeno finché non si mostri la ferma volontà di spezzare l’intreccio perverso di mafia e Stato. Non servono, a dirla tutta, nemmeno rigurgiti neoborbonici, elegie dei Lazzaroni o nostalgie reazionarie.
Il Sud dovrebbe piuttosto essere messo in condizione di aiutarsi da solo, di uscire kantianamente con le proprie forze dallo stato di minorità in cui è stato sprofondato. Avrebbe tutte le capacità per farlo, valorizzando le proprie eccellenze, i propri talenti, la sua diversità ontologica e – perché no – la sua lentezza. Si tratterebbe però di rifiutare per sempre mostruosità come l’Ilva e l’Italsider, di opporsi con forza al depredamento delle risorse e alla devastazione ambientale, di favorire modelli di sviluppo alternativi ed ecosostenibili che concilino vocazione agricola, rispetto dei territori e tradizioni antiche con forme di turismo intelligente e di imprenditoria illuminata.
A Torre del Greco, con gli occhi rivolti al Golfo di Napoli, Giacomo Leopardi compose La Ginestra, sorta di testamento filosofico che simboleggia la volontà dell’umanità di lottare anche nelle condizioni più disperate. Come la ginestra, contenta dei deserti, resiste e diffonde il suo profumo sulle aride pendici del Vesuvio, così molti uomini del Sud provano a non arrendersi anche quando tutto fa pensare che sia troppo tardi, che ogni sforzo sia inutile. Lo fanno tutti i giorni le fondazioni antiusura siciliane, i cittadini e gli imprenditori che non si lasciano intimidire dalle minacce della criminalità organizzata, i comitati anti-trivellazione che difendono la loro terra dalla sete di petrolio. Lo fa l’avvocato Gerardo Marotta, che da anni combatte e si indebita personalmente, pur di salvare il prestigioso Istituto italiano per gli studi filosofici, o il compianto Tommaso Cestrone, custode volontario della Reggia borbonica di Carditello, altrimenti destinata all’abbandono. Parlare di piagnistei di fronte a questi piccoli eroi del quotidiano, probabilmente, restituisce la cifra della levatura morale della nostra classe dirigente.
Tutte le foto presenti nell’articolo sono state realizzate da © Federica Zampognaro