Cinque ragioni per cui io e mio nonno Claudio Abbado ci siamo innamorati di Berlino
Claudio amava Berlino. E Berlino, a suo modo, ha amato lui
Non a caso il suo archivio musicale, composto da appunti, registrazioni, libri e partiture sulle quali studiava e scribacchiava segni variopinti per facilitarne l’assimilazione di intere opere e sinfonie a memoria, è custodito proprio qui. Si tratta del lavoro di un uomo che credeva fondamentalmente e semplicemente nell’educazione, nella musica, nella cultura, come beni comuni e primari, prime forze motrici del crescere umano in società. Come mai Berlino e non l’Italia?
Perché il suo archivio musicale sta a Berlino e come la sua conservazione dimostra l’importanza che la città dà alla cultura
Non avendo lasciato disposizioni precise su come e dove dovesse essere custodito il suo archivio, tre istituzioni proposero alla Fondazione Abbado di prenderlo in custodia: l’Accademia di Santa Cecilia di Roma, il Teatro Comunale Claudio Abbado di Ferrara e i Berliner Philarmoniker. Fu da Berlino che arrivò la proposta più motivata, Claudio era parte della loro identità e della loro storia e il loro obiettivo era di mantenere viva la sua eredità musicale. La proposta fu accettata senza indugi, con i Berliner Claudio aveva un rapporto di profonda complicità ed eravamo certi che con le capacità finanziarie, tecniche ed organizzative che hanno a disposizione sarebbero riusciti a prendersi cura del lascito del suo lavoro. Da lì le due istituzioni culturali cittadine più significative, i Berliner Philarmoniker e la Staatsbibliothek, diedero vita ad un’unica collaborazione mirata alla realizzazione di un archivio accessibile a tutti. Al momento questo è custodito in un caveaux della Staatsbibliothek della Unter den Linden, dove un team di esperti si sta occupando del recupero del materiale più usurato, avviando in parallelo un lungo processo di digitalizzazione. A tempo debito verrà posto in una sala di lettura intitolata a suo nome, e per chi invece non potesse recarsi fisicamente a Berlino potrà accede al materiale musicale di studio online. L’Accademia di Santa Cecilia di Roma è diventata recentemente partner dei Berliner Philarmoniker e della Staatsbibliothek nella donazione dell’Archivio Claudio Abbado.
Grazie a questo lavoro giovani musicisti, studiosi di musicologia e anche chi è semplicemente incuriosito dal suo lavoro e la sua persona possono ora a leggere, ascoltare e studiare il suo lavoro. L’archivio comprende infatti un migliaio di partiture, alcune usurate da segni a matita e riprese ai lati da piccoli pezzi di scotch, altre appartenute dal padre Michelangelo e che ora hanno un secolo di vita, ma non solo. Ci sono anche le registrazioni audio e video che lui usava per studiare, testi di musicologia e altri contenuti più personali, quali lettere, appunti. Ricerca e domande che scavavano e scavano tuttora nel linguaggio musicale e che delineano l’evoluzione del suo pensiero artistico e umano. Il fatto che i Berliner e la Staatsbibliothek stiano collaborando per mantenere in vita l’eredità musicale di mio nonno è un fatto bellissimo. Mette in luce i rapporti e le collaborazioni che le istituzioni culturali di una città e un Paese potrebbero e dovrebbero avere, per portare, riportare e tutelare la musica, la cultura, la ricerca e lo studio ai cittadini. Una sensibilità dello Stato che non ha riscontro in Italia, ultimo paese Europeo per spese in istruzione e penultimo in cultura. Una triste classifica che passa quasi inosservata, in un paese sempre più diviso da pregiudizi politici e sociali che la nostra politica è stata in grado di acuire ancora di più. Orami sono le fondazioni private da cui dipende la tutela e la valorizzazione del nostro patrimonio culturale e artistico. Cosa dobbiamo aspettare prima la cultura e l’educazione vengano messe in prima linea nelle politiche italiane?
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Le splendide stagioni dei Cicli Berlinesi, percorsi artistici capaci di creare un nuovo volto alla Berlino riunificata
Direttore artistico della Berliner Philarmoniker dal 1990 al 2002, in quegli anni si instaurò un profondo rapporto di complicità tra l’orchestra e il nuovo eletto italiano. Eletto perché fu proprio l’orchestra a votare e scegliere il direttore che sarebbe succeduto a Herbert von Karajan e fu il primo non di lingua tedesca ad essere scelto dagli orchestrali della leggendaria fondazione. In quegli anni nella capitale tedesca Claudio si dedicò alla creazione dei “cicli Berlinesi”, stagioni tematiche che riflettevano il clima sociale e politico che stavano attraversando la città. I temi furono accolti da altre istituzioni culturali che, in quel clima di effervescente caos successivo alla caduta del Muro, davano vita a mostre, spettacoli teatrali, eventi cinematografici, di poesia e letteratura coordinandosi con i concerti dei Berliner Philarmoniker. Ci furono cicli a tema sui grandi della letteratura, come Hölderlin e Shakespeare, su personaggi emblematici come Prometeo e i Miti, ma anche temi universali quali Amore e Morte. Ai berlinesi fu offerto un vero e proprio viaggio attraverso l’arte in tutte le sue sfaccettature, un modo per creare una nuova identità comune, quella di una città finalmente riunificata.
La storia speciale di Claudio e i Berliner Philarmoniker
Sarà che con i Berliner Philarmoniker Claudio ha diretto il maggior numero di concerti. Sarà che il momento storico in cui fu chiamato a Berlino si prestò come un’irripetibile opportunità per mettere in pratica le sue idee di democrazia e partecipazione, di coinvolgimento di nuovi giovani musicisti, di perenne ricerca e scoperta artistica. Dopo essersi dimesso nel 2002 ogni anno Claudio si rincontrava in primavera con i Berliner per dirigere nuovi concerti, rafforzando così il rapporto di complicità che si era instaurato durante i suoi anni a Berlino. C’è un bellissimo documentario che racconta l’inizio di questa nuova era e vita dei Berliner Philarmoniker e della città stessa, una storia intrinsecamente sociale e politica, di nuove aperture e scoperte. Tramite le testimonianze dei musicisti dell’orchestra si rivive il periodo difficile degli ultimi anni della direzione di Karajan, la rivendicazione delle fondamenta democratiche dell’orchestra, per la quale ogni membro, incluso il direttore, è uguale con gli altri: “We must work together. The conductor does not stand alone. Without us, he cannot be heard. And we need the conductor, obviously. So why shouldn’t we dare to try democracy?” e ancora “Some people believe that a system like a dictatoriship, like fascim, might work. We believe that democracy must be fought for every single day” riafferma un musicista. Si rivive l’arrivo a Potsdammer Pltaz di nuovi giovanissimi musicisti dalla Berlino Est, si condividono con loro quelle che erano le loro aspettative fino a pochi mesi prima: “In the GDR we always lived under stress. Whenever we tried to accomplish something we reached a dead end. Now everything has become much easier. For gifted young musicians, there were hardly any opportunities in the GDR… suddenly opportunities to play with orchestras in the GDR are opening up”. Questo documentario ha immortalato nel tempo gli attimi che seguirono la caduta del muro e la rinascita di una nuova orchestra, di una nuova città.
Il legame indissolubile tra Arte e politica
Quel che più risuona dal documentario e dal lascito di Claudio è l’impegno politico e sociale che viaggia attraverso la musica e che prende suono nelle nuovi voci e menti artistiche che ancora oggi a Berlino si fanno sentire in ogni angolo di ogni quartiere. A Milano quando era il direttore della Scala portò l’orchestra nelle fabbriche, aprì i battenti del sacro teatro agli studenti e gli operai. Quando la Scala lo invitò nel 2009 a tornare a dirigere la sua orchestra lui rispose che al posto del cachet voleva vedere più alberi a Milano. E con Renzo Piano fecero un progetto per piantarne 90.000. Mentre a Bologna continua il suo lavoro nel portare la musica nei carceri. Questi sono due dei tanti gesti che hanno delineato il suo pensiero politico e umano nel corso della sua vita e carriera: più musica, più scuole, più natura, più giovani. In Italia questa visione è vergognosamente ed inspiegabilmente lontana dalla nostra politica, mentre a Berlino la si vive e la si sente ogni giorno.
Berlino: una città di alberi e di musica
In un certo senso è anche per questo che anche io ho ‘scelto’ Berlino. O meglio, sento in un modo strano e impercettibile che Berlino abbia scelto me. E’ stata in occasione della firma dell’accordo per il passaggio dell’archivio ai Berliner Philarmoniker che ho avuto l’opportunità di scoprire quella che ora considero la mia seconda casa. Il nonno non si sprecava con le parole, ma in qualche occasione mi parlava di Berlino, una città di alberi e di musica. Incuriosita ma al tempo stesso freddamente ed ingenuamente indifferente, mi veniva naturale fare un confronto con l’Italia, con le mie due città, Milano e Roma. Un confronto che fa indefinibilmente male ora che ho avuto l’opportunità di conoscere e vivere Berlino. Passeggiando per Tiergarden il vento tra gli alberi suona le sinfonie di Beethoven, passeggiando per Villa Sciarra guardo gli alberi che muoiono e sto attenta a dove metto i piedi. Un paragone banale, ma per me emblema di due mondi e due vite parallelamente opposti. Purtroppo troppo tardi, adesso capisco cosa intendeva quando sorridendo mi raccontava di questa città dai mille volti e mille suoni, del suo piccolo bosco a due passi dalla Philarmonie, delle sue tante, difficili, storie. Berlino è una città viva e chi la tiene in vita sono le voci di comunità da ogni angolo del mondo, di giovani studenti e lavoratori, una città di arte e musica. E non c’è modo più bello e giusto per onorarlo sapendo che lì, custodito dai suoni e dagli alberi, si trova il suo lavoro di una vita.
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Photo Cover: Francesca Abbado con suo nonno Claudio @Francesca Abbado