Café Strauss Berlino: là dove prende vita l’altra faccia della morte
Alle nove del mattino dell’ultima domenica di marzo anche Bergmannstraße, la via più vivace di Kreuzberg, sonnecchia silenziosa e semideserta. Sulle finestre che vi si affacciano, riverberano i raggi del sole già alto e i passi dei rari signori a passeggio riecheggiano timidi l’uno sull’altro.
Le due anime di questa strada si incontrano nella graziosa Marheinekeplatz per poi separarsi: ad ovest il paese dei balocchi, fra pasticcerie, bar, ristoranti turchi, giapponesi e italiani, ad est una quiete che diremmo innaturale, non fosse per quei 600 metri di muricciolo in mattoni rossi oltre il quale si estendono, su una superficie di 21 ettari, i Friedhöfe an der Bergmannstraße o “cortili della pace”. I tedeschi li chiamano così, i cimiteri.
Il binomio marmo e fiori dei cimiteri italiani lascia qui spazio al verde dell’erba, ad alberi grandi e a tombe su cui figurano nomi e date, ma nessuna foto. Entro dal cancello del camposanto più antico, il Dreifaltigkeitsgemeinde (1825), e percorro i sentieri tranquilli del parco, sulle cui panchine si legge, ci si abbronza o si sta con gli occhi chiusi in silenzio, in una quiete che ama farsi trovare. Ci sono signori a passeggio, genitori al seguito di figli che in primavera rincorrono scoiattoli e d’inverno fanno i pupazzi di neve e pure qualche tedesca che in fondo in fondo, dove l’erba è alta e incolta, prende il sole in topless, disinvolta.
Come mi affaccio al secondo cimitero, il Friedrich-Werderschen Gemeinde (1844), trovo Martin Strauss e la moglie Olga a sistemare i tavoli del loro piccolo bar, aperto da appena un anno. Mentre i clienti più mattutini leggono il giornale con una coperta sulle ginocchia, Martin si perde nel raccontarmi le idee, e a tratti gli ideali, che si nascondono dietro ad un bar così speciale. “A me e mia moglie i cimiteri piacciono, ci andiamo spesso quando visitiamo posti nuovi. Nella società di oggi la morte viene tenuta nascosta col risultato di fare ancora più paura, ma qui a Berlino, in questo cimitero, i bambini giocano fra le tombe, come se la vita e la morte non fossero poi così distanti”.
Come dargli torto. Il Café Strauss abbatte quell’impalcatura di preconcetti che vede i cimiteri come luoghi tetri, in cui il silenzio più che pace è sofferenza e l’aurea sacra che avvolge i morti, semmai, è lontananza. Martin è un architetto originario di Stoccarda, ha lavorato negli Stati Uniti e più tardi con la moglie ha trovato casa a Kreuzberg, quartiere di cui parla con affetto, pur mantenendosi a distanza da certi suoi eccessi.
Ci è voluto un anno perché ottenessero il permesso di aprire l’attività. Pensavano volessero farne un Biergarten e quindi musica, chiasso… Ma al signor Strauss sembra che non sia stata l’apertura del caffè a creare l’atmosfera così serena che le persone respirano al cimitero – quella, c’era da prima. Piuttosto ha dovuto delimitare l’area di sua responsabilità da quella del cimiteriale per non rispondere di chi si stende con gli asciugamani al sole come fosse a bordo largo. L’anno scorso è successo e la Chiesa non ha visto questa disinvoltura di buon occhio.
Ottenuti i permessi, è cominciata la costruzione del Café Strauss, che marito e moglie hanno portato avanti autonomamente, fino all’apertura del maggio scorso. Quel che è interessante tuttavia è la storia antica di quest’angolo di Bergmannstrasse.
Ci alziamo da tavola e Martin apre una porta che dà accesso a una saletta d’attesa inondata di luce: il soffitto è in vetro, come una delle quattro pareti, così che sopra alle teste si ha l’azzurro del cielo e oltre la vetrata il verde del prato. Il pavimento in marmo bianco luccica sotto al sole a suggellare un’atmosfera atemporale. Qui solitamente le famiglie dei defunti si riparano in caso di pioggia prima della cerimonia che si celebra nella cappella adiacente, un ambiente essenziale e raccolto. La saletta è al contempo la via d’accesso per i disabili – Martin ci tiene a sottolinearlo: “Abbiamo voluto un locale senza barriere architettoniche e, a proposito, la toilette ha un passato interessante”. Vengo a scoprire infatti che dove ci troviamo, un tempo i morti aspettavano stesi dai tre ai sette giorni prima di essere messi nella bara; ai loro piedi venivano legati dei campanelli e nel gabbiotto che è ora il bagno stava in ascolto il custode, col compito di sincerarsi che non venisse sepolto qualcuno di… non propriamente morto. Le bare, prima d’essere abitate, si trovavano nell’attuale saletta del caffè, che con il profumo di croissant, torte e caffè è passata a miglior vita.
Complici gli uccellini che cantano, le comparsate imprevedibili degli scoiattoli, i riflessi del sole sulle foglie, Martin ne vede tanti di signori e signore che ogni giorno fanno visita ai loro cari e poi si siedono al bar e stringono amicizia. Si parlano come se si conoscessero, li unisce l’assenza di qualcuno di importante e questo è sufficiente. Quando si alzano, hanno sul volto un’espressione più dolce di quando sono arrivati.
Il Café Strauss è un bar carino come a Berlino ce ne sono tanti, ma come pochi modella le percezioni di chi vi passa le ore o giusto qualche minuto. Sorge in un posto comunemente associato “alla fine” e questa fine la avvicina, così che sfiori i momenti di relax della vita di quartiere.
Come auspicato da Martin e Olga, la morte entra così dolcemente nei pensieri di chi beve un caffè, sgranocchia un biscotto e ascolta la natura tutt’intorno. Questo è uno spazio che smussa i pregiudizi, lascia spaesati e tranquillizza al contempo. Fateci un salto: alcune sensazioni, per fortuna, non trapassano lo schermo.