Berlino, la crisi degli alloggi e il sesso degli angeli
Che trovare casa/stanza/alloggio a Berlino sia una cosa difficile, è un fatto noto a tutti.
Trovare a casa a Berlino, alla fine dell’estate è impresa titanica. Trovare casa a Berlino, alla fine dell’estate, a tempo indeterminato, per una cifra proporzionata al valore dell’immobile, evitando contratti capestro o nessun contratto, tentativi di frode di grande o piccolo cabotaggio, zone improbabili, buchi senza finestre o buchi e basta, coinquilini che pretendono di decidere tutto della tua vita, è impresa, per così dire, solo per i più arditi.
Io ho osato.
Vi assicuro che non cercavo niente di assurdo.
Semplicemente, reduce dai mesi estivi trascorsi a due passi dal Berghain, dove ogni weekend era una lunga sequenza di party, preparazioni di party, preparty e postparty (ma no, non vi parlerò per ora di questo…) io desideravo davvero una vita tranquilla. Così cominciai a scrivere a persone tranquille, posate, affidabili e affabili, evitando per l’altro verso tutti quelli che mi sembravano per qualche motivo troppo rigidi – ok, posso anche stancarmi di weekend interminabili, ma non vuol dire che lascerò qualcuno decidere se posso portare qualcuno in casa o mangiare un pezzo di carne, insomma a quelle persone che sembravano amichevoli pur avendo una vita propria.
Tenendo presente una cosa: si può mentire, certo, ma non troppo a lungo. Se vivi con qualcuno il tuo carattere uscirà fuori. Puoi non fumare durante un colloquio ma non puoi nascondere che fumi, per capirci. E se mi dici che posso fumare in balcone, tenendo presente che l’inverno a Berlino è fresco, mi stai dicendo che non posso fumare. Per inciso mi pare ovvio che posso fumare sul balcone, dove non ti dò nessun fastidio, non ho bisogno che tu me ne dia il permesso.
Se questo fosse un vademecum su come trovare alloggio a Berlino inizierebbe con un: non preoccuparti solo di cosa il tuo intervistatore possa pensare di te.
Potresti anche essere un genio del travestimento e della recitazione ma non ti servirebbe a niente. E in effetti è addirittura più probabile che lui possa vederti come coinquilino se anche tu puoi vederlo come tale.
I primi a rispondermi sono stati uomini agés, che vuol dire anche meno di quarant’anni se ti vedi come tale, padri single di figli ancora piccoli che, come me, cercavano persone tranquille. Ho fatto delle splendide, cortesissime e amichevoli chiacchierate con costoro.Gemütlichkeit e tè, Gemütlichkeit e sigarette (- «ma non si può fumare quando c’è il bambino» – «certo, capisco») intrattenuti e parlare di noi e dell’argomento che a Berlino ha preso il posto della guerra, del dopoguerra, della caduta del muro, e cioè dei topic che erano d’obbligo fino a pochi anni fa, ma che tutti li raccoglie e li compendia: e cioè come Berlino sia diventata la meta privilegiata di tutta la gioventù tedesca, del resto d’Europa e del mondo, il fascino dei primi anni e lo sputtanamento, la gentrificazione e la speculazione, il timore della fine di un’epoca.
Chiunque abiti a Berlino sa di cosa parlo.
Tutto molto bello, ma nessuno di loro mi ha dato la stanza. Sono stati cortesissimi anche nel negarla, mi hanno sempre detto che gli aveva fatto davvero piacere conoscermi, e io pensavo addirittura che fosse vero.
Una mia amica mi ha detto: – Prova a spacciarti per lesbica. Questa non è gente che vuole donne per casa ancora potenzialmente attraenti.
– Ma io sono lungi dall’ammiccare. Sai come la penso. Non c’è niente di peggio che allacciare una relazione sessuale o erotica col proprio coinquilino. Il coinquilino ideale ha il sesso degli angeli.
– Peggio. Perché lui magari neanche la vuole una relazione, però se ti trova attraente, il suo orgoglio maschile potrebbe soffrire del fatto che tu inveci non mostri nessuna attrazione, e viverlo come un segno della sua decadenza sessuale.
– E allora non c’è scampo.
– Prova con gli appartamenti con più inquilini. Non è detto che siano peggio, e poi così non si crea un rapporto troppo stretto. Potrebbe essere una soluzione.
Ho cambiato strategia: ho deciso di non avere nessuna strategia.
Ho incontrato Mo. Inquietante nella sua mancanza di espressione facciale che già mi chiedevo cosa avesse fino a che non mi sono accorta che nel tempo in cui io fumavo una sigaretta lui aveva finito due birre. Casa fatiscente, ci abitava da anni, sembrava esservi appena entrato per rovesciarvi un tappeto di bottiglie, una casa in cui nessuno sembrava aver mai pensato all’opportunità non dico di cucinare, ma anche solo di sedersi a un tavolo.
Mi sforzavo di fargli domande simulando un interesse che non avevo perché provavo pena per lui. Mi avrebbe dato chiavi in mano perché gli servivano i soldi mi disse. Mi pareva una richiesta di aiuto oltre che di soldi, e me ne uscii con il pietoso «Devo vedere un’altra stanza che è in una zona più comoda per me». Il giorno dopo mi scrisse che la stanza non era più in affitto.
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Avevo pensato di abbandonare il trend dell’uomo posato che evidentemente non faceva per me
T., almeno dalla descrizione, sembrava sehr unkompliziert, giovanilmente privo di strutture e amichevole. Mi aprì la porta un uomo di almeno 40 anni, o meglio di età indefinita, con qualcosa nel suo aspetto di artefatto, qualcosa tra il trucco cosmetico e il ritocco, o almeno ho pensato così perché mi ricordava vagamente Renato Balestra. Luci soffuse, mi mostra gaiamente la casa e la stanza. Tutto è meravigliosamente arredato, il tipo di posto in cui anche l’effetto muro incrostato è ottimamente integrato con la decorazione in perfetto e misurato stile Berlino-retrò, una casa che è come una barba finto-trascurata.
Non mento quando gli dico che è un uomo di gusto e che quella è la stanza più bella che abbia visto fino a quel momento, che mi piace tutto, anche il sistema di luci proiettate sulla parete coi giochi di fuochi e sfumature. È entusiasta. Seduti sul suo divano discutiamo (anche con lui) di gentrificazione e del caro-prezzi, ma il tono è spiritoso, ci scambiamo osservazioni argute, risate e battute. Vorrei veramente discutere con lui di arredamento invece che di me. La stanza è in affitto per due mesi, e poi si vedrà, prima ci stava la sua ragazza.
-Oh sì, certo che mi interessa la stanza, quando avrò una risposta?
– Ho altri appuntamenti – precisa
– Sicuro di doverci ancora pensare – gli chiedo io?
– Oh sì devo, ma hai urgenza?
– Il mio contratto è in scadenza – gli dico – sì certo posso andare da amici, ma presto non avrò ufficialmente un tetto sopra la testa.
– È che non amo avere pressioni, non ho veramente deciso la data, ma ti darò una risposta presto.
Qualche giorno dopo mi dice che sebbene il nostro incontro sia stato molto divertente ha dovuto dare la stanza a qualcuno che ne aveva più bisogno di me.
Non che avessi davvero creduto che me la avrebbe data, ma solo allora mi è venuto in mente che quando mi ha chiesto se avevo urgenza forse era quello il momento per mostrargli i miei mezzi di emergenza nei casi di urgenza. Per i prossimi due mesi del resto si può fare, no? e poi si vedrà… Non ho avuto la prontezza, a me pareva semplicemente di stare a chiacchierare sul divano con un amico gay. Sarò una vittima dei miei stessi pregiudizi, si vede.
Ero giunta alla conclusione di evitare gli appartamenti a due stanze. Non è che sia virtuosa, è che sono pigra: io voglio una vita la più semplice possibile, o almeno la meno inutilmente complicata. L’appartamento era in verità una casa a due piani per 4 persone un po’ fuori mano ma era l’annuncio più carino che avessi mai letto. All’inizio desisto, ma poi ci ripenso e scrivo: «Ho molto apprezzato il tuo stile di scrittura, ma non posso risponderti ad armi pari. In italiano potrei, in tedesco no, e quindi non avrebbe senso. Comunque ti scrivo perché mi interessa la stanza».
«Questo appartamento è pieno di problemi, ma questi sono gli orari di visita.»
Questa è la sua risposta scontrosa. Penso che abbia pensato che stessi cercando di lusingarlo per arrivare alla stanza, e decido da quel momento di parlare solo della casa. «Fammi vedere la stanza e decidere se fa per me», gli dico. «Su questo posso essere solo del tutto onesta».
La casa mi piace. Ha un giardino piuttosto grande, la stanza è bella, il posto è appena fuori dal Ring, ma ben collegato. Lui si piazza lì seduto di fronte a me, mi spiega i non del tutto insormontabili problemi della casa, chi sono gli altri inquilini, mi fa vedere tutta casa, chi è lui, cosa si aspetta e soprattutto mi guarda e parla con un sorriso appena percettibile, come uno che in fondo si stia divertendo. Mi sto divertendo anche io a dire il vero, e se non fosse per il fatto che non posso fare gaffe, che non posso dare a intendere di volerlo sedurre per avere la stanza e che questo non ha niente di T. che fa il pagliaccio sul divano ma ha decisamente un contegno, anche se leggero e ironico, e soprattutto che in ogni caso i futuri coinquilini hanno il sesso degli angeli, credo che flirterei apertamente, ma proprio no, non posso. La stanza prima di tutto, sono ufficialmente senza tetto ormai.
Al «Ti faccio sapere» provo a forzare, «sicuro di non potermelo dire subito?» «No, ho sette appuntamenti oggi, altri domani e fino alla prossima settimana».
Gli scrivo dopo due giorni: per favore, cerca di farmi sapere al più presto.
Non mi risponde. Devo arrendermi all’evidenza, per quanto avrei detto il contrario, per quanto mi sembrasse di essergli simpatica almeno quanto lui lo era a me, neanche lui mi darà la stanza, e anche se questa volta è più incomprensibile del solito ho imparato l’arte del fatalismo: troppo di tutto quello che è accaduto in questo periodo di affannosa ricerca di casa ha più a che fare col fortuito caso che con me. Si vede che non era destino.
Mi scrive una settimana dopo: «Hast du noch Bock?» Hai ancora voglia? Scusa per il ritardo, la concorrenza è stata spietata 🙂
Ma come si permette questo cafone, penso? «oh ma come sono orgogliosa» gli rispondo. «Sì, ne ho ancora voglia 🙂 ».
Non suona del tutto angelico, lo so. Ma ho la stanza, un coinquilino potenzialmente pericoloso, e poi si vedrà.
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