Berlino e quel senso di libertà che è sempre dietro l’angolo
Berlino esulta al ritorno del sole e della primavera. Occhiali da sole e sandali imbarazzanti tirati fuori dai cassetti, braccia scoperte, open air e musica nei parchi, piedi nudi sull’erba, alberi che rinverdiscono, tramonti mozzafiato dai ponti sulla Sprea. La città si scrolla di dosso le lunghe ore di buio e il torpore invernale, trasformandosi in una tavolozza di vitalità variopinta e incredibilmente multiforme.
Anche io attendevo il ritorno della bella stagione, non solo per lo spettacolo di rinascita quasi accecante al quale mi trovo ad assistere per la prima volta da quando sono arrivata. Gongolo perché tra qualche giorno rivedrò il mio vicino un po’ strambo – quello che si nasconde nelle scale al buio nel tentativo di riacchiappare un gatto e di causarti un infarto, tanto per dirne una – tornare alle sane, vecchie abitudini. Come quella di appostarsi sulla panchina in cortile, guardarti di sottecchi e sorseggiare il latte direttamente dal brick nel classico outfit delle belle giornate: mullet stempiato rigorosamente raccolto in un codino, hot pants di jeans sdruciti, anfibi e canotta bianca. E la vista mi strapperà certamente un sorriso, ma non di biasimo. Perché, oltre ad essere il suo personalissimo modo di festeggiare la primavera, è un promemoria piuttosto bizzarro di come in questa città sia possibile sentirsi se stessi e vivere serenamente capricci, stravaganze e piccole follie senza mai incappare nel giudizio degli altri. È un’educazione alla libertà di esprimersi che i bambini apprendono ogni giorno, senza lezioni, una sensazione onnipresente che dà tanta forza e voglia di fare, permettendo di sopperire alle mancanze più ovvie.
Il mio vicino è un originale, e forse in Italia sarebbe stato relegato nella cerchia dei pazzi senz’arte né parte; ma è anche per merito suo che rafforzo ogni giorno la mia convinzione di aver fatto la scelta giusta, è anche grazie a lui che mi sto liberando senza sforzo di quei pochi pregiudizi che mi restavano.
Quindi… grazie, vicino un po’ strambo. E grazie a Berlino, che non ti fa mai dimenticare da dove arrivi ma trasforma la differenza, che un tempo avrei chiamato “diversità”, in un punto di forza.