Berlino e l’ansia da Job Center
Il primo racconto della rubrica “cronache berlinesi” di Ismaele Rossi
Mi do malato. Che palle svegliarsi alle tre di notte e dover attendere le otto del mattino per farsi una birra. Il Job Center mi ha telefonato ieri e mi ha dato sei mesi di tempo per fare qualcosa e io comincio coll’aspettare; un po’ è abitudine, un po’ mi piace: se c’è qualcosa che so fare bene nella vita è attendere, mi viene naturale.
Sono malato per lo stato tedesco, incapace di lavorare, e ho diverse sindromi che attestano la mia perfetta inutilità alla società odierna, non lo nascondo e anzi cerco di stare al passo il più possibile con questa definizione di malato assumendo le più svariate sostanze a casaccio, a seconda dell’estro e della disponibilità.
Anche in ciò sono d’esempio e passo dall’infilarmi un panino al prosciutto in gola, all’annaffiarmi il gargarozzo con petrolio diluito, oppure cucino qualche meta-anfetamina, oppure sfumacchio oppi ed erbette, e poi magari ingerisco peli di cane, o sostanze chimiche delle più svariate scarsamente psicoattive come i residui di cherosene sul manto stradale, il monossido di carbonio e molecole liberamente associate di idrogeno, ossigeno, robe azotate, calci in culo, potassi, arsenici, urani impoveriti, diossine: è normale che uno si ammali.
Una persona in salute oggidì è il vero psicopatico, e anche questo vecchio trucco da filosofi di fingersi pazzi è divenuto una triste realtà.
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Foto di copertina: © Shayne House ,Brandenburg Gate , BY-SA CC 0.0