«Berlino cade a pezzi, ma non ha bisogno d’essere bella per farsi amare»

«Quando sono arrivato a Berlino nel 1990, la gente qui non conosceva nemmeno il tè verde! Il caffè per giunta era cattivo. Lo stadio laggiù (Friedrich-Ludwig-Jahn-Sportpark, n.d.r.) non era ancora stato costruito. L’unica cosa che da allora non è cambiata è questo bar». Nonostante sia nato e cresciuto a Mosca, Wladimir Kaminer è a tutti gli effetti un simbolo di Berlino. Non per niente si definisce «russo nel privato, scrittore tedesco di professione»: arrivato a Berlino il giorno della finale di Italia ’90 con il contingente di profughi ebrei dell’Unione Sovietica, Kaminer riceve dapprima asilo umanitario nella DDR e successivamente la cittadinanza della Repubblica Federale Tedesca. Oggi è uno degli scrittori contemporanei più celebri in Germania. Ma non è tutto: Kaminer nasce come DJ. A Berlino, tra il 1996 e il 1997, fonda Russendisko, la serata disco russa del club Kaffee Burger, che tuttora spopola in città e cui l’autore ha intitolato la sua prima raccolta di racconti, diventata un bestseller.

[adrotate banner=”34″]

Kaminer ci dà appuntamento al Café Meta di Prenzlauer Berg, poco lontano dal Mauerpark e appena dietro il complesso sportivo Friedrich-Ludwig-Jahn-Sportpark: «qui ci vengo quando devo rilasciare interviste perché è un posto tranquillo e abito a due passi.» Da subito vuole che ci si dia del tu. È immediatamente evidente quanto Kaminer sia un gran comunicatore, o una «persona della parola» (Mensch des Gesprächs, n.d.r.), come si definisce lui stesso: «Chiacchierare e scambiarsi opinioni è la mia occupazione preferita».

Wladimir Kaminer. Classe 1967, originario di Mosca ma naturalizzato tedesco, Wladimir Kaminer è scrittore, attore, giornalista e disc jockey. Kaminer pubblica testi e articoli per diversi giornali tedeschi, da due anni conduce la trasmissione televisiva Kulturlandschaften (“paesaggi culturali”, n.d.r.) per l’emittente tedesca 3sat e gira la Germania e il mondo con le sue opere letterarie e la serata Russendisko, portando con sé la sua comicità. Martedì 12 aprile 2016 l’abbiamo visto esibirsi al TIPI am Kanzleramt di Berlino. Alla lettura di passi delle sue opere, Kaminer alterna racconti improvvisati, assecondando i gusti del suo pubblico. Intrattiene gli spettatori narrando aneddoti esilaranti della sua vita privata, divertenti spaccati del quotidiano berlinese e barzellette russe dell’epoca sovietica: con spiccata cadenza russa, una presenza scenica da grande esperto e senza un briciolo di political correctness, Kaminer riesce a fare centro nel cuore del pubblico berlinese, che ride a crepapelle sebbene sia solitamente poco avvezzo a questo tipo di ironia.

Il primo ricordo di Berlino. «Sono arrivato qui l’8 luglio del 1990, insieme a un amico. Ricordo gente che esultava per strada e che in macchina suonava il clacson in continuazione. Noi pensavamo che si festeggiasse ancora la caduta del Muro, ma il motivo dell’esultanza era ben diverso: quel giorno la Germania vinse i mondiali di calcio contro l’Argentina, in Italia. Noi eravamo allibiti: conoscevamo il calcio, ma non avevamo idea di quanto fosse importante qui. Il mio amico mi disse: “se i tedeschi sono persone così gioiose e divertenti, allora dobbiamo rimanere”. Ovviamente il giorno dopo era tutta un’altra storia, ma siamo rimasti lo stesso».

Da Mosca a Berlino. «Allora avevo una gran voglia di lasciare il mio Paese. Dove andare non aveva alcuna importanza. Berlino era la meta più vicina, la più economica e la più facilmente raggiungibile per noi cittadini dell’Unione Sovietica. La DDR era per tanti cittadini dell’URSS una sorta di trampolino verso il mondo intero. La decisione è venuta da sé. Il mio piano iniziale era proseguire per la Danimarca e così è stato: a luglio sono arrivato a Berlino e ad agosto sono partito per Christiania, una piccola località fuori Copenhagen, perché all’epoca ero un hippie e lì avevo diversi amici russi che vivevano nella famosa comune. La Danimarca è un Paese piccolo e accogliente, molto più ammodo della Germania, o perlomeno della Berlino di allora. La compagnia era molto piacevole, ma non c’era nulla da fare salvo spaccare legna, costruire bici e fumare spinelli. Così dopo due mesi di Danimarca me ne sono tornato a Berlino».

Wladimir17

© Giulia Filippi

Simbolo di Berlino in Germania, emblema di slavità a Berlino. «Mi sento onorato se posso essere considerato un ambasciatore di Berlino. Questa città è molto cambiata negli ultimi 20 anni, è diventata più cosmopolita e ormai non rappresenta più soltanto la capitale tedesca, ma un vero e proprio pezzo di questo pianeta. Io stesso sono cambiato molto da quando sono arrivato. Si potrebbe dire che Berlino ed io abbiamo vissuto questa fase di metamorfosi insieme. E come parte integrante dei cambiamenti che hanno investito questa città, ho il dovere di presentarli attraverso la mia attività di scrittore che mi porta a essere una sorta di “ambasciatore di Berlino”. D’altra parte sono consapevole e orgoglioso del fatto che qui la mia persona viene associata all’immagine della Russia e dei russi e di conseguenza a un certo esotismo. Il miglioramento dell’idea che l’Europa ha della Russia è uno degli obiettivi che mi pongo con Russendisko. Voglio far sapere all’Europa e al mondo che i russi non sono cannibali provenienti da un Paese che vuole trascinare l’intero pianeta in guerra. Sono persone normalissime, come me e te, persone fantastiche, che tra le altre cose sanno fare anche buona musica. Hanno sfortuna con il governo, composto da ex agenti del KGB che manipolano in modo subdolo l’opinione pubblica, ma non durerà ancora molto. Questi trucchetti verranno smascherati prima o poi. E tutto andrà bene: questo è il messaggio di Russendisko».

La genesi di Russendisko. «I miei amici ed io abbiamo fondato Russendisko tra il 1996 e il 1997. A quel tempo non ero nemmeno uno scrittore. Ho iniziato come disc jockey. Russendisko è nata come festa privata, ma a porte aperte. Chiunque poteva partecipare. Spesso ci capitavano dei tedeschi che dicevano “ma che succede qui?” “ah, è una Russendisko!”. L’ho sentito diverse volte, mi è piaciuto e ho pensato che fosse il nome giusto per il nostro evento. La cosa divertente è che soltanto qualche giorno fa ho scoperto la vera origine di questa parola. Jurij (Jurij Guržy, frontman della band Rotfront nonché co-fondatore di Russendisko, n.d.r.) mi ha raccontato che “Russendisko” era un termine diffuso nel linguaggio popolare della DDR e indicava le discoteche finanziate dallo Stato, in cui almeno il 70% della musica selezionata doveva provenire dall’area socialista».

Dj, scrittore, attore e imprenditore mancato. «Prima di venire a Berlino ho lavorato in un teatro di Mosca. Lì ho frequentato l’accademia d’arte drammatica, poi ho fatto il militare e dopo altri due anni di lavoro sono venuto in Germania. Qui ho dovuto innanzitutto studiare tedesco, è stato parecchio faticoso. Ho anche lavorato per una raccolta di vestiti usati e incartato calendari per una società nel quartiere di Kreuzberg. Dopo i primi dieci anni di Russendisko al Kaffee Burger, ho fondato il mio club vicino alla fermata U-Bahn di Jannowitzbrücke. Il club si chiamava Rodina, che in russo significa “patria”. Per la scelta del nome ho discusso a lungo con i miei soci, un ragazzo tedesco e un ragazzo turco. Il nome Rodina è stata una mia proposta: volevo che il nostro locale offrisse un programma culturale molto elaborato e fungesse da punto di riferimento proprio come una patria, che rappresenta le radici di ogni essere umano. Purtroppo con il locale non abbiamo avuto fortuna. Per la verità è andata proprio male. Abbiamo perso un sacco di soldi. Non sono nato per fare l’uomo d’affari. Per me sarebbe una catastrofe totale dover gestire un caffè o un locale. E quella di Rodina è stata una vera catastrofe. Quando si gestisce un club, bisogna lavorarci 24 ore al giorno, preoccuparsi di offrire costantemente alle persone qualcosa di desiderabile. Non potevamo proporre tutti i giorni la Russendisko. Ci abbiamo provato per qualche mese, la gente adorava Rodina, ma il progetto non era finanziariamente sostenibile».

La Berlino di allora e la Berlino di oggi. «Nei primi anni Novanta Berlino era davvero qualcosa di speciale, soprattutto Berlino Est. Come una calamita attirava creativi da est e da ovest. La caduta del Muro aveva creato una specie di vuoto che chiedeva di essere colmato: quando lo Stato si congeda dalla vita dei cittadini, si aprono sempre spazi liberi in cui le persone possono esprimere la propria creatività e realizzare progetti di vita alternativi. Questo è quello che successe a Berlino dopo il 1989: il vecchio Stato DDR era in ritirata, il nuovo Stato BRD non si era ancora realmente insediato. In questa spaccatura affluirono artisti da tutto il mondo che occuparono le tante case abbandonate da chi era fuggito a ovest. Oggi come allora Berlino rimane un punto di riferimento per l’arte e i creativi. Questa città ha tantissimo da offrire. Ce n’è davvero per tutti i gusti. In questo senso Berlino è una sorta di Arca di Noè. Qui anche l’animaletto più esotico trova il suo posticino. Ciononostante Berlino non si dà affatto delle arie e in questo è una vera metropoli: non si tratta del numero di abitanti o dell’estensione, bensì dell’atmosfera. La gente qui non pretende di sapere come deve essere il mondo e dimostra una maggiore consapevolezza di sé e degli altri. Ci sono tante città che si danno arie, ma che in realtà sono soltanto province con complessi di inferiorità. Prendiamo a esempio Dortmund con il suo albero di Natale più grande del mondo. Una vera metropoli non ha bisogno presentarsi come la migliore, la più grande e la più formidabile. A Berlino tutto cade a pezzi, eppure è una città rilassata e incredibilmente dinamica, una città che fa della diversità il suo punto di forza».

HEADER-SCUOLA-DI-TEDESCO

Foto di copertina © Jan Kopetzky

Galleria fotografica © Giulia Filippi