«Baceresti qualcuno con l’HIV? Certo, se è il mio tipo!». La campagna tedesca contro i pregiudizi
Ogni anno, il primo dicembre, si tiene il World AIDS Day, la Giornata mondiale contro l’AIDS dedicata ad accrescere la consapevolezza su una delle pandemie più letali della storia, con 35 milioni di vittime e 34 milioni di persone che ancora convivono con l’HIV. L’idea di fondo dell’iniziativa, inaugurata nel 1988, è di compattare l’opinione pubblica mondiale nella lotta all’AIDS, mostrando supporto alle persone sieropositive e commemorando coloro che non ce l’hanno fatta. Infatti, nonostante dal 1984, anno di identificazione del virus, siano stati fatti enormi progressi medici e l’accesso a terapie e farmaci retrovirali si sia notevolmente allargato, l’HIV non può affatto dirsi vinto. In migliaia ogni anno lo contraggono, molti ignorano la reale entità dei rischi e le protezioni più elementari da adottare. E – cosa forse ancora più grave – lo stigma legato alla sieropositività resta forte, causando spesso la morte sociale di chi ne è affetto.
Su quest’ultimo aspetto si concentra in particolar modo la campagna di comunicazione del Bundesministerium für Gesundheit (il Ministero della Salute tedesco), che nei giorni scorsi ha tappezzato strade e stazioni metro di Berlino ed è ancora reperibile alla pagina web Welt-Aids-Tag. Una colorata invasione di manifesti che mirano a depotenziare con l’arma dell’ironia la lunga serie di pregiudizi e luoghi comuni ancora esistenti in fatto di AIDS. Strategia comunicativa raffinata e grande empatia caratterizzano tutta la campagna, a partire dal suo motto, Positiv zusammen leben, («vivere insieme positivi»), che gioca sul doppio senso insito nell’aggettivo positiv per promuovere la coesistenza serena e informata con le persone sieropositive.
Gli slogan dei singoli manifesti sono strutturati in maniera semplice e uniforme ma, proprio per questo, sono ancora più di impatto: allegro sfondo monocolore, domanda secca che esprime alcuni dei timori più comuni legati all’HIV, spesso frutto di disinformazione o di un’ancestrale paura del contagio, e risposta totalmente spiazzante, che sposta il focus dalla domanda con candore quasi infantile e in tal modo la svuota completamente di senso.
Relazioni sentimentali, convivenza, amicizia: tutte le possibili declinazioni delle questioni inerenti la sfera privata dell’individuo vengono affrontate con la stessa ironia e leggerezza (che, come diceva Italo Calvino, non va mai scambiata per superficialità). Così, il cartellone che vedete in copertina e quello seguente invitano a non precludere (e precludersi) la meravigliosa esperienza dell’amore, solo perchè c’è l’HIV di mezzo: «che fai se la persona con cui esci ha l’HIV? Continuo a riempirla di complimenti»; «baceresti qualcuno con l’HIV? Certo, se è il mio tipo!».
Discorso analogo vale per l’amicizia: non si dovrebbe mai guardare con occhi diversi a un amico solo perchè sieropositivo, ma continuare ad apprezzare la ricchezza inestimabile del tempo trascorso insieme («che fai se il tuo migliore amico ha l’HIV? Tutto quello che facciamo sempre»).
Un quarto manifesto («andresti a vivere con un sieropositivo? Certo, se sa cucinare bene!») invita a scegliere con cura il proprio coinquilino: non in base a motivazioni discriminatorie, ma alle sue abilità in cucina.
Anche in un ambito apparentemente più delicato come l’interazione tra bambini, l’invito è a non lasciarsi prendere da angosce irrazionali: «tuo figlio dovrebbe giocare con bambini sieropositivi? Certo, ma alle sette si cena».
Uno degli aspetti più significativi dell’intera campagna è che l’impegno per l’inclusione non viene limitato alla sfera privata di cui parlavamo, ma esteso anche all’ambito pubblico e istituzionale, dove il metro regolatore non è più la decisione dei singoli, bensì la legge. Due manifesti molto eloquenti («e se la maestra ha l’HIV? L’importante è che abbia nervi saldi» e «cosa diresti a un fornaio sieropositivo? Due panini, grazie!») si riferiscono infatti a scuola dell’infanzia ed esercizi pubblici, come a sottolineare un assioma insindacabile: che un docente o un commerciante sieropositivo abbiano diritto a svolgere il loro lavoro non lo stabilisce il giudizio (potenzialmente umorale) della società, ma lo garantisce innanzitutto lo Stato. Poi, naturalmente, il superamento sociale del pregiudizio è l’optimum cui aspirare. Ma quello, chiaramente, non lo si può imporre per decreto e richiede invece un lungo lavorio culturale.
La bocca che baciamo. L’amico che abbracciamo. Il cibo che mangiamo e il bagno che condividiamo. La salute dei nostri figli. Le mani che toccano il nostro pane. Il coraggio di innamorarsi di chi è più esposto alla malattia e alla morte. Sono temi forti, in cui è sempre in gioco la nostra irriducibile corporeità e il nostro terrore della finitezza. Sono anche temi tabu, specialmente in paesi come l’Italia, dove spesso non si riesce nemmeno a chiamare le cose con il loro nome, e le si elude con eufemismi, accorte perifrasi o, semplicemente, voltando la testa dall’altra parte.
Per questo, una campagna cosi intelligente e coraggiosa difficilmente l’avremmo vista sui nostri teleschermi o nelle nostre strade, dato che fino al 2013 ci si arrabbattava ancora con un edulcorato video del buon Raoul Bova, che la parola preservativo è stata bandita in tv fino all’altroieri e che persino reperire un sito internet ufficiale dedicato alla Giornata mondiale contro l’AIDS è impresa ardua. Si deve invece scartabellare un po’ sul sito del Ministero della Salute per scoprire che l’ultima campagna promossa risale proprio al 2013, poi il buio. Ma niente paura: sull’impegno profuso dal Governo in occasione del 1 dicembre, ci rassicura un alquanto arido comunicato del Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin. Non vogliamo sottrarvi il piacere di leggere questo mix di burocratichese e supercazzole, cifra distintiva di tanta comunicazione dell’era Renzi. Vi anticipiamo soltanto che, in due righe, subito dopo aver assicurato alle persone sieropositive e alle loro famiglie «impegno per una sanità più vicina e presente», la prode Lorenzin si smarca con abilità dai vincoli del principio di contraddizione: «avrei voluto essere presente oggi a questa Conferenza che si tiene in occasione della Giornata mondiale contro l’Aids. Purtroppo impegni istituzionali non me lo hanno consentito». Siamo in buone mani.
Foto di copertina © Elisa Cilento («Che fai se la persona con cui esci ha l’HIV? Continuo a riempirla di complimenti»)