Addio a Dario Fo, giullare contro il potere più amato all’estero che in Italia
È morto stamattina all’ospedale Sacco di Milano, all’età di 90 anni, proprio nel giorno della consegna di quel premio Nobel per la Letteratura da lui vinto nel 1997, e che oggi va a un altro cantastorie fuori dagli schemi. Ma, nella sua straordinaria e lunghissima carriera, Dario Fo è stato troppe cose per poter essere ridotto a santino da cerimonia ufficiale: attore sublime, drammaturgo, regista teatrale, scrittore, pittore, militante, giullare contro tutti i poteri. Lo straordinario talento e il suo teatro di impegno politico e sociale ne avevano fatto uno dei simboli della cultura italiana nel mondo. Con Franca Rame, compagna di sempre scomparsa tre anni fa, aveva dato vita a uno dei sodalizi artistici più fruttuosi di sempre. Geniale innovatore della commedia dell’arte, debitore di Ruzante e Molière, aveva fatto dello sberleffo e del grammelot, il folle linguaggio da lui valorizzato in un capolavoro come Mistero Buffo, la sua cifra stilistica, apprezzata forse più all’estero che in Italia.
Un artista globale. E sì, perché inevitabilmente i nemici di questo irripetibile artista, nato nel 1926 in un paesino sul Lago Maggiore e figlio di un capostazione, in patria erano almeno pari ai suoi ammiratori: bandito per anni dalla Rai democristiana, criticato duramente dalle gerarchie ecclesiastiche, avversato a teatro, dove non di rado i suoi spettacoli degli anni ’60-’70 venivano interrotti dalla polizia, si fece beffe di ogni forma di autorità e, «seguendo la tradizione dei giullari medioevali» dileggiò il potere «restituendo dignità agli oppressi», come recita la motivazione di quel Nobel ricevuto ormai 19 anni fa – e sempre contestato – che lui amava definire «il nostro Nobel», riferendosi a Franca. Fu una voce sempre lucida e libera anche nei momenti più plumbei della nostra storia recente e il suo impegno politico rimase costante, dagli anni nel Soccorso Rosso Militante alla candidatura (senza successo) a sindaco di Milano, fino alle recenti simpatie per il Movimento 5 Stelle.
In Germania era molto amato e apprezzato: oltre trenta sue opere erano state tradotte in tedesco e solo due anni fa a Stoccarda una mostra dei suoi quadri (Fo aveva frequentato l’Accademia di Brera e negli ultimi anni amava scrivere e dipingere) era stato un successo. Una storia, quella tedesca, che lo affascinava e lo riguardava da vicino: non ancora ventenne aveva dovuto indossare la divisa dei repubblichini «per non finire deportato in Germania». A gennaio scorso, per Chiarelettere, usciva Razza di zingaro, suo romanzo sulla terribile storia di Johann Trollman, pugile sinti a cui il regime nazista sbarrò la strada verso il titolo olimpico. Nel suo poliedrico impegno culturale, Fo si era occupato fino in fondo delle storie dimenticate degli ultimi. Con lui se ne va un cantore, un intellettuale, un giullare critico che mancherà all’Italia e al mondo.
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