A Tempelhof due volontarie fanno giocare i bimbi migranti: «Eravamo sole, ora siamo 600»
Un aeroporto non è esattamente un posto in cui qualcuno sogna di vivere. Specialmente se hai meno di dieci anni, sei rifugiato e non hai nessuno spazio dove giocare. Stiamo parlando dell’ex Flughafen Tempelhof di Berlino, che da più di un anno è diventato un improvvisato centro di accoglienza che ospita quasi 2000 rifugiati. Tra i tanti che provano a portare il sorriso tra la desolazione degli hangar ci sono anche due donne, l’italo-argentina Maria Paula Fernandez Neglia e la libanese Tanya Mokdad, che da più di un anno dedicano tutti i loro sabato mattina a giocare con i bambini rifugiati. Il progetto, che si chiama Playdates with migrant kids, coinvolge ora tanti altri volontari, attesi con trepidazione da decine di bambini che non vedono l’ora di trascorrere qualche ora di gioco spensierato.
Gli inizi. «È da quasi tre mesi che veniamo a Tempelhof tutte le settimane» raccontano Maria e Tanya a Berlino Magazine. «Abbiamo iniziato nel maggio dell’anno scorso a Schöneberg e, dopo che il centro di quel quartiere è stato chiuso, abbiamo fatto la richiesta per venire qui. Non è stato facile, le pratiche burocratiche sono state lunghe e impegnative ma dopo mesi di lotte finalmente ci hanno dato il permesso. L’idea è semplice: per due ore alla settimana veniamo qui con un gruppo di volontari, dodici al massimo, e organizziamo diversi tipi di attività con i bambini: giochi di gruppo, lavoretti creativi con materiali riciclati. Ogni settimana cerchiamo di pianificare qualcosa di diverso per distrarli dai problemi della vita quotidiana».
Il progetto. «Nell’arco di un anno siamo riusciti ad attrarre un gruppo di più di 600 volontari, e adesso stiamo cercando di raccogliere un po’ di fondi. Fino ad ora tutte le spese sono state pagate di tasca nostra o grazie all’aiuto di amici e volontari, ma speriamo di crescere e avviare una vera e propria raccolta fondi a breve. Il nostro scopo non è comprare una bambola a tutti, biciclette o altri regali costosi ma piuttosto cercare di soddisfare delle esigenze specifiche che possano aiutare questi bambini nel loro futuro. Questa settimana ad esempio siamo finalmente riuscite ad ottenere un tablet per uno dei bambini. Il suo nome è David, un bambino sordomuto di sette anni. La sua famiglia sta da mesi lottando per ottenere l’asilo in Germania che, date le circostanze della crisi rifugiati, difficilmente gli sarà concesso. Né David né i suoi genitori hanno ricevuto un’educazione, nessuno di loro conosce il linguaggio dei segni e lui non ha mai avuto modo di imparare a comunicare. Su questo tablet abbiamo installato un’applicazione specifica per bambini sordomuti che lo aiuterà a comunicare tramite immagini».
Un anno di progressi. «Dopo un anno di esperienza penso che abbiamo fatto dei progressi enormi» ci racconta Tanya. «Le prime volte che arrivavamo al centro con una busta piena di giochi la loro prima reazione era di strapparceli dalle mani e nasconderli all’interno delle loro tende. Bisogna capire che questi bambini vengono da situazioni di miseria assoluta, quando vedono un giocattolo o semplicemente un biscotto il loro istinto gli dice di prenderlo perché non sanno mai quando e se ne rivedranno mai un altro. Con il tempo hanno imparato a condividere quello che hanno, a giocare in una squadra e ad essere pazienti. Ora le bambine ci aiutano a tenere d’occhio i bambini più pestiferi e a sgridarli quando non si comportano bene».
Maria e Tanya. Entrambe le fondatrici di Playdates with migrant kids hanno un passato particolare e sanno cosa vuol dire essere migranti. «Quando ero piccola ho vissuto in un centro di accoglienza anch’io» dice Tanya. «Mio padre è libanese e, quando avevo poco più di tre anni, la guerra civile ci costrinse a scappare. Ci trasferimmo in Svezia e andammo a finire in un centro di accoglienza. Di quei tempi ho solo un ricordo, una bambola che ricevetti da uno dei volontari che veniva a trovarci. È questo ricordo che oggi mi porta a fare quello che faccio. Voglio che questi bambini un giorno si guardino indietro e, nel ricordare questo periodo, possano rievocare almeno un’immagine felice». Anche Maria è sensibile al tema dell’emigrazione, pur non avendo vissuto questa esperienza in prima persona: «I miei nonni erano di origine italiana e andarono via da Bari dopo la seconda guerra mondiale. I campi erano distrutti e della loro terra non rimaneva più nulla. Decisero di emigrare e trasferirsi come molti altri italiani in Argentina. A quei tempi l’Argentina aveva bisogno di lavoratori, e gli italiani distrutti dalla guerra avevano bisogno di un paese in cui poter ricominciare. I problemi che affrontarono furono tanti, e mia nonna me ne parlò fino ai suoi ultimi giorni di vita. La discriminazione, le difficoltà quotidiane con una lingua diversa, una nuova cultura, e la nostalgia del tuo Paese che non avresti mai voluto lasciare. Mia mamma nacque in Argentina in una famiglia povera, ma ciononostante riuscì a studiare e a diventare medico. In questi bambini rivedo lei, il potenziale di farcela, di avere un futuro migliore e di restituire qualcosa al Paese che ha aperto loro le porte».
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Playdate with migrant kids – Berlin
Quando: ogni sabato dalle 11:00 alle 13:00. Per informazioni o eventuali donazioni contattare il gruppo Facebook
Foto di copertina © © Maria Paula Fernandez Neglia