Germania, il salario minimo di 8,50 € all’ora sempre più spesso aggirato da furbi datori di lavoro. Ecco come.
Articolo precedentemente pubblicato su Wired.it
Dal primo gennaio 2015 la Germania ha introdotto il salario minimo orario di 8,50 € per tutti i lavoratori. La sua approvazione era alla base dell’accordo di governo tra il centrodestra di Angela Merkel ed i socialdemocratici, promotori di un provvedimento analogo a quello in vigore in quasi tutta l’Unione Europea ad esclusione di Italia, Austria, Danimarca, Finlandia, Svezia e Cipro (ne parlammo già qui) . Doveva essere la base di partenza per regolamentare un mercato del lavoro reso oltremodo flessibile nel 2003 dall’Agenda 2010 di Gerhard Schröder (con casi limite come una retribuzione di soli 2,84 € l’ora), ma si sta rivelando un boomerang.
La legge al momento in vigore non è dettagliata, lascia molte zone grigie dove poter speculare e così il suo aggiramento è sempre più frequente. Allo stesso tempo, come riporta la Welt, seppure i controlli siano già attivi, mancano i controllori. Sono pochi e non sufficientemente preparati. Anche se è già attivo un centralino messo a dispoiszione dal sindacato Deutscher Gewerkschaftsbund (Dgb) per denunciare i casi di abuso della legge, si parla del 2019 come data in cui il sistema sarà veramente vigilato da professionisti.
Fatta la legge, trovato l’inganno. Mettete da parte l’idea che i tedeschi non aggirano le leggi: lo fanno anche loro. La differenza è che qui lo Stato non se lo aspetta, o meglio, non se lo aspettava con così tanta frequenza. Il caso più comune di aggiramento del salario minimo orario è quello che riguarda lavoratori impiegati per più ore di quelle che poi vengono ufficialmente segnate. Il lavoratore non dice nulla per evitare di essere licenziato da un datore che, verità o bugia che sia, si giustifica dicendo che se dovesse pagarlo il giusto quel lavoro non esisterebbe più.
Un lungo articolo della Zeit ha raccolto vari casi di aggiramento “estremo”. Si va dal gestore di cinema che avrebbe voluto (ma gli è stato negato) continuare a pagare i suoi dipendenti 7,06 € l’ora a cui aggiungere però bibite, popcorn ed ingressi gratuiti in sala, al distributore di giornali Zdh Zustelldienst della zona Renania settentrionale-Vestfalia che ha spostato l’uscita di uno dei suoi settimanali dalla domenica al sabato per poter ingaggiare solo corrieri minorenni, ovvero lavoratori per cui non è obbligatorio il salario minimo orario (ma che hanno il limite di non poter lavorare l’ultimo giorno della settimana). Sempre i minorenni sono al centro di casi di trasferimenti – anche solo nominali – di contratti di lavori spot o part-time da genitori a figli.
C’è chi ha deciso invece di provare a distinguere tra reperibilità ed effettivo lavoro, pagando il primo in maniera forfettaria e solo il secondo con il salario minimo orario. È il caso dell’azienda di servizi di accoglienza specializzata in eventi Eventteam. E sia chiaro, non si parla di reperibilità a casa come per un medico, ma di reperibilità di un addetto al guardaroba che probabilmente durante lo spettacolo non starà ad impilare giacche e borse tutto il tempo, ma che si trova comunque sul posto, dietro il bancone.
Molti tassisti invece sono stati costretti a licenziarsi e a cominciare a fatturare come liberi professionisti verso quella stessa azienda di cui prima erano dipendenti. Per i freelancer non c’è minimo garantito. Altro problema è quello delle retribuzioni di chi lavora anche solo parzialmente in Germania, come ad esempio i camionisti polacchi che, d’ora in poi, quando passeranno per il confine tedesco, dovranno essere pagati almeno 8,50 € l’ora ben di più di quanto accada da loro dove il salario minimo orario è di 2,10 €. Per evitare quest’aumento dei costi, i loro datori potrebbero obbligarli a transitare per l’Austria o ad inventare nuove modalità di spedizione. Non si lamentano infatti solo i lavoratori, ma anche i datori di lavoro. Tante professioni, se pagate con il salario minimo orario, rischiano di scomparire soprattutto nel settore turistico.
“Al momento sia il tasso di disoccupazione che l’inflazione in Germania non sembrano aver subito il contraccolpo, ma è passato troppo poco tempo per i bilanci” afferma l’analista finanziario Luca Pietrovanni, da 5 anni a Berlino, “È indubbio però che al momento il provvedimento abbia più un valore formale che sostanziale, dovrà essere rivisto al più presto se si vogliono davvero cambiare le cose e contrastare quel dumping salariale di cui la Germania ha abusato negli ultimi anni e che è stata una delle ragioni alla base del suo successo economico”.
Al momento la ministra del lavoro Andrea Nahles gira per i salotti televisivi tedeschi invitando alla calma e descrivendo l’attuale situazione come “una fase di transizione”. Sarà, ma chissà se i lavoratori tedeschi avranno la pazienza necessaria…
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