Volkswagen in crisi: per la prima volta potrebbe chiudere uno stabilimento in Germania

Volkswagen in crisi deve tagliare 10 miliardi di euro entro il 2026. Minacciate le storiche sedi di Brunswick e Wolfsburg

Il colosso automobilistico Volkswagen è in crisi e per rimanere competitivo sul mercato dovrà tagliare i costi, più precisamente 10 miliardi di euro entro il 2026. L’azienda ritiene che potrebbe non sopravvivere altrimenti e la causa risiede sia nel ritardo sulla conversione ai veicoli elettrici, sia della forte concorrenza sul mercato e del calo repentino delle vendite dopo la pandemia.

La crisi dell’omonimo marchio è da ricondurre infatti alle ingenti spese che sono state sostenute per finanziare il passaggio all’elettrico, avvenuto in ritardo per Volkswagen e per la competitività sempre più forte con le società cinesi e con l’omonimo marchio Tesla.

Per far fronte a questi tagli l’unica via sembra essere la chiusura della fabbrica di Brunswick o di Wolfsburg, storici stabilimenti tedeschi, per la prima volta dopo 87 anni di attività dell’azienda. Questo potrebbe far insorgere conflitti con i sindacati data la rinuncia ad un impegno di lunga data: il patto trentennale siglato nel 1994 che prevedeva di interrompere i licenziamenti fino al 2029. Le parole del responsabile finanziario della VW Arno Antilix lasciano spazio a pochi dubbi: “Non si può escludere la chiusura di stabilimenti di produzione di veicoli e componenti. Siamo a corto di circa 500.000 vendite, corrispondenti alla produzione di due stabilimenti”. Queste le parole del responsabile durante un incontro con i sindacati, la cui rappresentante è Daniela Cavallo, 49 enne italiana decisa ad opporre una forte resistenza alla minaccia.

Le cause: Sovrapproduzione e concorrenza

In Europa Volkswagen presenta ad oggi un divario tra produzione e domanda che genera diverse preoccupazioni. Al momento mostra infatti una capacità produttiva in eccesso di circa mezzo milione di vetture.

Come espresso da Arno Antilitz, responsabile finanziario, Volkswagen è a corto di circa 500.000 vendite. Il contesto è evidentemente causato, da un lato, dalle ingenti spese necessarie per finanziare il passaggio all’elettrico (avvenuto con un ritardo che è costato al gruppo la perdita di quasi un terzo del proprio valore in borsa negli ultimi anni). Va ricordato inoltre anche il caso Dieselgate del 2015, dove la società è stata al centro di uno scandalo riguardo la falsificazione dell’emissione di automobili munite di motore diesel. Scandalo al quale ha risposto investendo nelle tecnologie per l’elettrico, investimenti che, però, non hanno dato i risultati sperati.

Dall’altro dagli alti prezzi dell’energia in Europa e dalla perdita di quote di mercato in Cina. L’industria tedesca è infatti in difficoltà sia a causa delle società cinesi, dove i marchi locali sono diventati estremamente competitivi sul piano dei prezzi, ambito in cui Volkswagen non riesce fronteggiare poiché i costi dell’energia restano alti e difficili da abbassare.

La concorrenza permane poi sempre con Tesla, colosso che sta rapidamente conquistando tutto il mercato e sta minacciando tantissime case automobilistiche europee. La chiusura dello stabilimenti di Brunswick e Wolfsburg potrebbe purtroppo essere l’unica soluzione per fronteggiare ai 10 miliardi di euro che è necessario tagliare.

Conseguenze sociali, circa la metà dei lavoratori di Volkswagen sono in Germania

La minaccia della chiusura di una sede in Germania si trascina dietro anche un’altra conseguenza di tipo economico e sociale, ovvero il repentino licenziamento di massa. Questo porterebbe alla rottura del patto trentennale con i sindacati, siglato nel 1994 che prevedeva lo stop ai licenziamenti fino al 2029. Tenendo conto del fatto che Volkswagen impiega in tutto il mondo 680mila lavoratori, di cui 300mila in Germania, il potenziale danno ha una portata enorme.

Daniela Cavallo, è italiana la rappresentante dei 600.000 dipendenti Volkswagen

I sindacati sono guidati da Daniela Cavallo, 49enne italiana, calabrese, presidente del Consiglio di Fabbrica Volkswagen, che si pronuncia così nei confronti del CEO Oliver Blume: “Il consiglio di amministrazione ha fallito. La conseguenza è un attacco ai nostri posti di lavoro, sedi e contratti collettivi. Con me non ci saranno chiusure di stabilimenti!”

Mercoledì 4 settembre i manager hanno incontrato i dipendenti nel quartier generale di Wolfsburg, dove l’obiettivo dei sindacati sembra essere quindi quello di opporre una feroce resistenza alla minaccia.

NON SOLO VOLKSWAGEN. IL MERCATO AUTOMOBILISTICO EUROPEO È IN CRISI

Nel mercato automobilistico la sofferenza della Germania non è un caso isolato ma un problema condiviso da tutta Europa. Nonostante le numerose iniziative le auto elettriche non riescono a decollare e la concorrenza cinese è troppo forte così come la statunitense con Tesla.

Il capo dell’istituto Ifo Timo Wollmershäuser afferma: “La decarbonizzazione, la digitalizzazione, il cambiamento demografico, la pandemia del coronavirus, lo shock dei prezzi dell’energia e il cambiamento del ruolo della Cina nell’economia globale stanno mettendo sotto pressione modelli di business consolidati e costringendo le aziende ad adattare le loro strutture produttive”.

Il passaggio all’elettrico, sinonimo di cambiamento e quindi di un riadattamento necessario, ha messo in seria crisi i colossi automobilistici ormai da tempo consolidati. A partire da Volkswagen ma non solo, innescando a catena una crisi sia sul piano occupazionale che sul piano dell’immaginario sociale.

Volkswagen non è infatti solo un marchio ma ormai una parte fondamentale dell’immaginario collettivo di un’intera nazione, profondamente radicato nel tessuto socio culturale tedesco la cui crisi potenzialmente riflette quella di un intero paese.

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Immagine di copertina: pixabay