Germania, confermata la firma dell’ISIS dietro l’attentato a Solingen

Attentato a Solingen, arrestato il responsabile: legato all’IS e l’estrema destra tedesca gongola in vista delle elezioni

Si chiama Issa Al Hasan il responsabile dell’attentato avvenuto venerdì 23 agosto 2024 a Solingen, città ad ovest della Germania. I. Al Hasan si è consegnato alle autorità tedesche il giorno successivo, sabato 24 agosto, verso sera. Il sospetto era di un legame con l’IS (Stato Islamico), poi confermato dalle rivendicazioni dello stesso gruppo terroristico. Issa Al Hasan è siriano, ha 26 anni e si suppone si sia unito all’organizzazione terroristica prima del 23 agosto. Oltre a lui è stato arrestato un complice che si presume fosse al corrente della vicenda. I due avrebbero lavorato a stretto contatto per preparare l’attacco.

I. Al Hasan non risulta nella lista dei soggetti pericolosi nonostante il suo rapporto con la burocrazia tedesca non sia stato rose e fiori.

L’attentato ha colpito undici persone delle quali tre sono morte e otto sono state ferite. Secondo gli ultimi aggiornamenti gli otto feriti sono fuori pericolo. I tre rimasti uccisi nell’attentato sono due uomini rispettivamente di 56 e 67 anni e una donna di 56.

Il responsabile dell’attentato era arrivato a Bielefeld, nell’ovest della Germania, dalla Bulgaria nel 2022. Aveva fatto richiesta d’asilo senza però ottenerlo. Sarebbe dovuto ritornare in Bulgaria nel 2023 secondo gli accordi di Dublino, ma l’ente che doveva reperirlo, riporta Ansa, “avrebbe bussato alla sua porta una volta sola”. A quanto pare non ha aperto nessuno e chi lo cercava non si è premurato di approfondire. Nonostante non risultasse tra i soggetti pericolosi, si era radicalizzato negli ultimi tempi.

L’attentato a Solingen di venerdì ha creato, adesso, terreno fertile, in vista delle elezioni di domenica in Turingia e Sassonia, per la retorica allarmista e anti-migrante dell’estrema destra in chiave campagna elettorale. L’estrema destra (AfD) è attualmente in vantaggio nei sondaggi.

Cosa è successo nell’attentato a Solingen e chi è il responsabile

È il 23 agosto, un venerdì di festa per  Solingen. Per il 650esimo anniversario della città, infatti, Solingen festeggia con la Festa delle Diversità che attendeva quasi 80 mila persone. Un contesto che, agli occhi di Issa Al Hasan, poteva rappresentare una cosa sola: la “Réunion” degli infedeli. Si presenta, così, alla festa con un coltello di 15 centimetri, unica arma usata nell’attacco, e alle 21.30 accoltella alla schiena 11 persone presenti sotto il palco. Dopo essersi dato alla fuga, il fautore dell’antenato, si consegna alla polizia la sera del giorno dopo. La storia, però, va contestualizzata per evitare discorsi da bar con argomentazioni generaliste.

Issa Al Hasan è arrivato i Germania nel 2022. Dopo aver attraversato la rotta balcanica arriva in Bulgaria dove vengono prese le impronte digitali secondo i trattati di Dublino. Lo stato di arrivo, all’interno dell’Unione Europea, è quello che si premura di prendere le impronte digitali della persona in movimento. In questo caso, lo stato è la Bulgaria.

Arrivato in Germania, I. Al Hasan fa richiesta di Asilo che, però, viene respinta. Nel 2023 lo stato tedesco avrebbe dovuto espellerlo secondo i trattati di Dublino, rimandandolo in Bulgaria. Il Bild lo descrive come “lassismo degli enti addetti” ma, sta di fatto, che a bussare alla porta di Al Hasan qualcuno ci è andato, ma non ha ricevuto nessuna risposta, come riporta Ansa. Il problema però, a quanto pare, è che la la visita si sia fermata ad una e nessuno ha più cercato Al Hasan. Questa vicenda è caduta sotto silenzio nonostante il ragazzo siriano avesse presentato ricorso rispetto alla procedura di espulsione.

Non confondiamo causa ed effetto.

Dalla storia di I. Al Hasan sappiamo che è arrivato in Europa attraverso la rotta Balcanica. Il Game, termine più o meno conosciuto, è il nome del purgatorio affrontato da giovani, famiglie, anziani e bambini che cercano di superare i respingimenti disumani da parte di forze legate più o meno ufficialmente all’Europa. Parliamo di polizia, forze paramilitari private, come quelle interne agli stati di passaggio, e Frontex, finanziata direttamente dall’Ue.

Il gioco dei Balcani uccide ogni anno centinaia di persone in modi disumani e diversi. Lo stesso giorno dell’attentato, ad esempio, sono morte dieci persone sul confine tra la Serbia e  la Bosnia Erzegovina, su di una imbarcazione lungo il fiume Drina. È morto un bambino di nove mesi con la madre, come riporta il ministro dell’Interno serbo, Ivica Dačić, senza menzionare le politiche repressive e razziste nei confronti dei migranti che ne stanno a monte.

Un contesto dato per scontato che pochi leggono

Saltando da una Jungle all’altra, rifugi improvvisati nascosti tra i boschi, le “persone in movimento” pagano cifre impressionanti per passare i confini nei modi più disparati. Le violenze che subiscono non sono da meno. Dalle percosse agli abusi, le umiliazioni sociali alle quali sono sottoposti, di sicuro, non costruiscono una buona base per un processo di integrazione virtuoso.

Non si può giustificare un attacco terroristico, in nessun caso, ma si deve contestualizzare per arrivare alla radice del problema. Il sistema migratorio attuale fa leva sul traffico illegale di persone. Questo perché le istituzioni europee non sono in grado di affrontare, quindi gestire, umanamente e correttamente il fenomeno. Non accorgersi delle violenze perpetrate da figure che l’Europa paga, non la rende meno responsabile. Quello di adesso è un processo di integrazione divisivo, che porta un migrante a identificarsi di più con la realtà di partenza dalla quale è scappato più tosto che con quella di arrivo che non lo vuole. Nonostante, magari, alla partenza ci fossero gli stessi “terroristi” dai quali stava scappando.

In questo modo il legame che si crea con la propria cultura si estremizza, identificandosi nell’odio dogmatico della cultura di partenza, in questo caso l’Islam, perché odiati dalla cultura di arrivo: l’Europa. Se tratto un ospite come un ladro è normale che, ad un certo punto, questo, non vedendo alternative sociali, inizia a rubarti in casa.  Non è nuovo né il fenomeno migratorio né quello del terrorismo stocastico. Il collegamento logico tra migranti e terrorismo è legato a quello dell’estrema destra che, per principio, non mette a sistema niente se questo crea un contraddittorio.

Il terrorismo stocastico di matrice Islamista: una stortura del sistema che si rivolta contro l’Europa

Sviluppatosi nell’ultimo decennio, il terrorismo stocastico è un sistema di cellule autonome, lupi solitari, che agiscono supportati da un organizzazione terroristica “centrale” che non li controlla. Questo consente ai terroristi di muoversi nel silenzio, agendo indisturbati e di propria iniziativa, sia per quanto riguarda le modalità sia per la tempistica. In poche parole, non devono chiedere il permesso a nessuno prima di fare qualcosa. Ad attacco avvenuto, l’organizzazione terroristica di turno rivendica l’attentato. Gli esempi sono stati molti in Europa come accaduto per l’attacco al Bataclan e, adesso, l’attentato a Solingen.

È il risultato di una politica europea repressiva (non per forza direttamente violenta). Quella che non tiene conto del background migratorio delle persone che deve integrare, che asseconda un sistema di disumanizzazione come avviene sui Balcani o criminalizza i salvataggi in mare, verte in una roulette russa in cui a radicalizzarsi possono essere tutti. La radicalizzazione di cittadini europei con background migratorio, diretto o indiretto, è una conseguenza sociale al ruolo da clandestino che subiscono. In questo modo, l’estrema destra, può liberamente dar voce alle sue argomentazioni assiomatiche in cui il migrante è mussulmano quindi è un terrorista ergo un pericolo per la nazione.

L’attacco a Solingen evidenzia un secondo problema: l’AfD.

L’entusiasmo neanche troppo celato dall’estrema destra dopo l’attentato a Solingen non tarda ad arrivare. In risposta all’accaduto, non risparmiano nessuno le perle dell’AfD che, pronta a cavalcare l’onda di odio e paura, chiama alla manifestazione sotto il motto di “la remigrazione salva le vite”. Una risposta arriva dalla sinistra che si mobilita immediatamente con 4 mila persone.

La citazione a Sellner sarà solo l’inizio considerando che domenica 1 settembre, in Sassonia e Turingia, stati dove l’AfD è data per vincitrice, si andrà a votare per eleggere i parlamentari. Nonostante l’Alternativa abbia difficoltà a trovare alleati per formare un governo, non sembra per niente timida nell’accusare i suoi colleghi al governo di aver ignorato le falle nella sicurezza. Questo è quello che l’estrema destra fa da anni, in Germania come in Italia. Prima fomenta all’odio sociale costruendo un discorso violento. Poi la risposta violenta da parte di chi è odiato arriva e, a questo punto, l’estrema destra fa quadrato gridando al pericolo invasione e “facendo di tutta l’erba un terrorista islamico”, anche perché i “fasci” sono loro.

Conclusioni difficili: la responsabilità è anche un po’ nostra

L’America insegna una cosa: se un ragazzino entra in una scuola e fa una strage, la colpa è dei comunisti che non vogliono armare gli insegnanti. Allora non dobbiamo stupirci se, quando una persona si radicalizza senza un apparente motivo e attua un attacco terroristico in Europa, la risposta è quella di chiudersi a riccio e alzare muri. Se il problema terroristico spaventa tanto l’Europa la soluzione dovrebbe essere creare un’alternativa all’odio. La rabbia sociale, di cui siamo anche responsabili, che attanaglia il migrante non può essere l’unico abito nel quale releghiamo chi non siamo in grado di comprendere. Sarà interessante vedere se, dell’attentato a Solingen, è stata più la o la comprensione ad averci insegnato qualcosa.

In Europa il discorso sull’integrazione ha creato divisone interna ed esterna, nonostante si parli di città multiculturali, nonostante si assecondi la gentrificazione sognando quartieri multietnici dove un caffè costa 5€ e si può mangiare sia Sudanese che molecolare. Abbiamo assecondando in Europa un’idea deformata di multiculturalità, in cui questa va bene se è folcloristica ma non deve fare i conti né con i nostri peccati storici né con il razzismo. Lo stesso che, nonostante la guerra, non siamo riusciti a superare.

Ci piace andare a mangiare il kebab, sopratutto qua a Berlino, salutando con un plateale “al-salām-u ʿalaykum” perché siamo internazionali e poi non ci chiediamo da dove nasca l’odio che porta una persona a fare un attentato. Non lo facciamo perché dovremmo fare i conti con noi stessi, ed il nostro essere Europa. La contraddizione di essere un porto di democrazia in cui, se sei musulmano, non è detto tu possa attraccare.

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Immagine di copertina: Screenshot da YouTube