Crisi Volkswagen: modello industriale tedesco e sindacati

Caso Volkswagen: una chiave di lettura per comprendere il modello industriale tedesco. Nessuna convergenza nei colloqui del 25 settembre

La crisi di Volkswagen è ormai ben nota e sta costringendo l’azienda a un taglio 10 miliardi di euro di spese entro il 2026. Le ragioni della crisi risiedono principalmente nel ritardo alla conversione ai veicoli elettrici e nella crescente concorrenza sul mercato rispetto ai cinesi e al marchio Tesla.

Volkswagen sta ipotizzando misure drastiche, come la chiusura dello storico stabilimento di Wolfsburg, attivo da 87 anni. Il probabile licenziamento di massa a cui si sta sottoponendo la Germania sta facendo insorgere numerosi conflitti e dibattiti, dato che infrangerebbe il patto del 1994 con i sindacati che prevedeva lo stop ai licenziamenti fino al 2029. L’azienda ha rescisso anche altri accordi, tra cui la garanzia del lavoro per i tirocinanti, riducendo le assunzioni promesse (1.400 apprendisti ogni anno). Il contratto scadrà a fine anno e le disdette sono possibili sei mesi dopo. “Il gruppo si vede costretto a fare ciò per effetto delle attuali sfide economiche. Dobbiamo mettere Volkswagen nella posizione di ridurre i costi in Germania a livelli competitivi così da poter investire nelle nuove tecnologie e nei nuovi prodotti con le nostre risorse”. Afferma Gunnar Kilian, capo delle risorse umane Volkswagen.

Volkswagen ha fissato i colloqui con IGMetall per il 25 settembre 2024. Adesso, vista la natura del modello di co-determinazione tedesco, dovrà trovare un equilibrio tra le proprie necessità e le aspettative dei lavoratori. Essi sono rappresentati da IG Metall (sindacato) e Daniela Cavallo, leader del consiglio di fabbrica di Wolfsburg, che si pronuncia con notevole resistenza: “Il consiglio di amministrazione ha fallito. La conseguenza è un attacco ai nostri posti di lavoro. Con me non ci saranno chiusure di stabilimenti!”.

Dai colloqui del 25 settembre non si è giunti a nessuna convergenza, entrambi hanno mantenuto le posizioni iniziali e il gruppo tedesco ha respinto le richieste del sindacato. Il mancato accordo rende ora concreto il rischio sciopero. Il direttore distrettuale dell’IG Metall della Bassa Sassonia, Thorsten Gröger, ha parlato di “un attacco senza precedenti al contratto collettivo comune e storico”. 

Un’opportunità per conoscere: il modello industriale tra sindacati e co-determinazione

Il caso Volkswagen sta accedendo numerosi dibattiti, non solo sul futuro dell’industria automobilistica tedesca e sulla crisi che sta colpendo la Germania, ma anche sul delicato equilibrio tra esigenze aziendali e diritti dei lavoratori. Il caso offre un esempio significativo per comprendere il modello industriale tedesco, il ruolo dei sindacati e il famoso sistema di co-determinazione. L’articolo utilizzerà l’esperienza Volkswagen come punto di partenza per esaminare la struttura aziendale e il sistema lavorativo in Germania, confrontando tali aspetti con la realtà italiana.

Il successo tedesco risiede nella Mitbestimmung, la co-determinazione

Non vi sono dubbi che la Germania abbia ormai raggiunto vette ineguagliate nel panorama europeo e mondiale riguardo alle condizioni dei lavoratori e alla partecipazione di questi nella gestione delle imprese. La Germania risulta essere uno dei paesi con i minori tassi di disoccupazione, maggiore protezione sociale, salari e redditi per i lavoratori.  Si parla molto, soprattutto in Italia, del famoso “modello tedesco” come punto di riferimento di successo esemplare. Le ragioni di questo successo sono molteplici, molte delle quali risiedono nella famosa Mitbestimmung, il sistema di co-determinazione.

La co-determinazione è la forma di governance più diffusa tra le aziende tedesche. Con il termine ci si riferisce alla partecipazione paritaria di dipendenti, azionisti e dirigenti alla politica aziendale. È una forma di partecipazione che garantisce ai dipendenti (tramite rappresentanti), la possibilità di esercitare un importante potere decisionale e di consultazione. Tra questi il diritto di veto in decisioni aziendali quali localizzazioni all’estero, chiusure di impianti, fusioni e acquisizioni aziendali, processi lavorativi e ambienti di lavoro.

Le società in Germania sono legalmente soggette alla co-determinazione se impiegano più di 500 dipendenti. I lavoratori partecipano alle decisioni della società attraverso due organi: il Consiglio di Fabbrica e il Consiglio di Sorveglianza. Il primo rappresenta i lavoratori nelle singole sedi aziendali ed è formato interamente da dipendenti, nel caso di Volkswagen quello rappresentato da Daniela Cavallo. Il secondo è un organo aziendale che fa capo alla sede centrale, composto per metà dai rappresentanti dei lavoratori e per metà dagli azionisti.

Le società in Germania, una composizione mista

Da un punto di vista strutturale in Germania esistono due tipi di società: AG o GmbH, analoghe alle italiane S.p.a e S.r.l.

Le GmbH sono società a responsabilità limitata non quotate in borsa, con un massimo 50 soci un capitale minimo di 25.000 euro.

Le AG sono invece società per azioni, un esempio di queste è Volkswagen. Possono possedere un numero illimitato di azionisti e un capitale sociale minimo di 50.000 euro. Queste aziende si strutturano al loro interno tramite una composizione mista, funzionale al bilanciamento degli interessi degli azionisti e dei dipendenti. Il modello gestionale è basato sulla co-determinazione, che mira a conciliare gli obiettivi economici e sociali di tutti per un successo a lungo termine e più sostenibile.

Per composizione mista le aziende sono composte da un Consiglio di Gestione, un Consiglio di Sorveglianza, l’Assemblea degli Azionisti e il Consiglio di Fabbrica. Il Consiglio di Gestione è il fulcro dirigenziale dell’azienda, mentre il Consiglio di Sorveglianza ne monitora l’operato e nomina i membri. Questo organo è composto da una combinazione di rappresentanti degli azionisti e dei lavoratori, presiedendo alla determinazione delle linee strategiche delle società.

Il Consiglio di Fabbrica è un organo rappresenta i lavoratori e collabora con i sindacati, supervisionando le questioni relative alle condizioni dei dipendenti. È presente in ogni sede aziendale ed è essenziale per il sistema di co-determinazione. Se i sindacati rappresentano i lavoratori nazionali a livello di settore negoziando contratti collettivi, il Consiglio di Fabbrica rappresenta i lavoratori a livello aziendale e si occupa solo di questioni interne all’azienda.

In Italia non esiste l’equivalente del Consiglio di Fabbrica, la rappresentanza dei lavoratori avviene attraverso sindacati e le loro strutture interne (RSA). I lavoratori godono di una grande tutela dei propri diritti ma non si tratta della stessa forma di partecipazione diretta e democratica presente in Germania.

I sindacati

Analogamente all’Italia esistono numerosi sindacati in Germania la cui funzione è quella di rappresentare e tutelare gli interessi dei lavoratori partecipando attivamente alle politiche di lavoro.

In Italia il sistema sindacale è pluralistico, con diverse confederazioni nazionali e sindacati di categoria. Questi negoziano i contratti collettivi nazionali di lavoro e forniscono assistenza legale. Esistono anche sindacati interni alle aziende, le RSA (Rappresentanze Sindacali Aziendali), simili ai consigli di fabbrica tedeschi. Queste rappresentanze interagiscono con la dirigenza su negoziazioni e consultazioni.

In Germania i sindacati svolgono un ruolo analogo all’Italia. La maggior parte dei sindacati  è affiliata alla Confederazione Tedesca dei Sindacati, all’interno del quale si dividono per settori industriali. Tra i principali IG Metall (lavoratori dei settori metalmeccanico, automobilistico e ingegneria elettrica), Ver.di (lavoratori del settore terziario), IG BCE (lavoratori del settore minerario, chimico ed energetico), EVG (lavoratori dei trasporti ferroviari e pubblici).

I sindacati sono organizzati su base settoriale e regionale. Operano attraverso una rete di rappresentanti sindacali e di Consigli di Fabbrica, che lavorano direttamente con i membri delle aziende per affrontare questioni specifiche sulle condizioni di lavoro. Essi ad esempio negoziano contratti collettivi per applicarli a livello aziendale o nazionale stabilendo standard per interi settori economici e partecipano ai processi decisionali attraverso il sistema di cogestione. I membri dei sindacati possono infatti occupare fino alla metà dei seggi nei Consigli di Sorveglianza delle grandi imprese, garantendo una notevole influenza sulle decisioni.

Lavoratori italiani e tedeschi: un confronto

I lavoratori italiani godono di ampie tutele, ma non partecipano direttamente alla gestione aziendale. L’Italia non prevede la co-determinazione, quindi non vi è l’obbligo di includere i rappresentanti dei lavoratori nei consigli di amministrazione. La loro rappresentanza è affidata i sindacati, che possono influenzare indirettamente alcune politiche aziendali tramite dialoghi sindacali e negoziazioni, ma senza partecipare alla direttamente alla governance.

Marie Seyboth, dirigente della Lega dei sindacati tedeschi, in un’ intervista riguardante il confronto tra sindacati tedeschi e italiani ha dichiarato: “Esistono due culture sindacali diverse. Nel Nord Europa prevale la consensualità, mentre nel Sud Europa, come in Italia, è più comune un modello basato sul conflitto. Gli italiani scioperano più spesso dei tedeschi e hanno un diritto più ampio allo sciopero, ma i sindacati hanno meno strumenti per partecipare alle decisioni aziendali”.

Questo perchè la risoluzione delle controversie in Germania avviene principalmente attraverso il modello del dialogo, che si pone l’obiettivo di arrivare al raggiungimento di una convergenza tra le parti.

In Italia infatti esiste un più ampio diritto allo sciopero poiché non si segue il modello del dialogo come base di risoluzione delle controversie. Per questo motivo gli scioperi come forma di opposizione sono piuttosto frequenti ma meno incisivi in termini di durata e negoziazione rispetto ai tedeschi. In Germania non avvengono spesso, ma solo in extremis, ultimo mezzo dopo il fallimento dei negoziati. Un esempio è il maxi sciopero ferroviario, annunciato come “sciopero ad oltranza”, durato poi 6 giorni, nel gennaio 2024 dopo lo stallo sulle richieste fra i sindacati GDL ed EVG contro Deutsche Bahn sul tema salari e orari di lavoro.

Il tasso di sindacalizzazione in Germania è tra i più bassi d’Europa

Nonostante l’altissima tutela di cui godono i lavoratori tedeschi, è curioso come i sindacati in Germania perdano iscritti ormai da almeno due decenni e il tasso di sindacalizzazione sia piuttosto basso, attestandosi ormai sulla metà di quello italiano. I dati attuali in Germania presentano circa il 17% della forza lavoro iscritta a un sindacato, secondo i dati dell’ OCSE. Molto basso se rapportato ad altri paesi come la Svezia, dove il tasso di sindacalizzazione si aggira intorno al 66%, o l’Italia, intorno al 34%.

Le ragioni di questo calo sono molteplici. Citando lo studio del Centre for European Economic Research, questo viene ricondotto agli strutturali cambiamenti dell’economia. Settori come l’industria manifatturiera, storicamente forti in termini di sindacalizzazione, hanno visto una diminuzione dell’occupazione e quindi di membri sindacali. Al contrario mostra invece un aumento dell’occupazione atipica, di lavoro temporaneo e part-time o autonomo come freelance. Inoltre lo studio tratta il tema dell’estensione dei contratti collettivi ai non iscritti ai sindacati, il che riduce l’incentivo ad aderire. I Consigli di Fabbrica inoltre sono molto forti, rappresentano tutti i lavoratori indipendentemente dall’adesione sindacale, offrendo una forma alternativa ma comunque forte di rappresentanza.

Esportabilità del modello

Il modello industriale tedesco ad oggi sembra essere vincente, esso è imperniato sulla media e grande impresa e la co-determinazione sembra aver favorito un buon compromesso tra il miglioramento delle condizioni di lavoro e redditività delle imprese. Sembra infatti il modello ideale a cui aspirare anche in Italia, invocato anche da molti politici (es. Renzi, 2014),  ma senza ricordare che la chiave di quel sistema risiede proprio nella co-determinazione, inapplicabile in Italia.

Riguardo all’esportazione del modello, si tratta di un sistema così peculiare e radicato nella storia e nella tradizione della Germania che una sua introduzione nel nostro paese potrebbe arrecare soltanto danni, senza apportare i vantaggi sperati.

Il Prof. Matteo Corti, in un articolo per Lavoro Diritti Europa, afferma: “Paiono ormai maturi i tempi per sperimentare nel nostro paese meccanismi co-gestionali che tengano conto del nostro tessuto economico e di relazioni sindacali, cercando di replicare gli effetti benefici che la cogestione ha prodotto in Germania”.

Essendo che il modello industriale tedesco possiede il suo punto di forza sulla cogestione, l’introduzione di questa richiederebbe delle riforme significative e molti datori di lavoro e dirigenti in Italia sarebbero riluttanti nel condividere il potere decisionale. Inoltre l’economia italiana è caratterizzata da piccole e medie imprese, l’applicazione della cogestione potrebbe essere meno pratica o efficace.

Nonostante la sostanziale inapplicabilità del modello in Italia, molti ritengono comunque, quasi nostalgicamente, che la democrazia dal basso sia essenziale non solo in politica ma soprattutto in economia. Senza un potere reale dei lavoratori sulle strategie delle imprese diviene difficile difendere l’occupazione e modificare l’economia e la politica della società. Senza che i lavoratori partecipino direttamente negli organi direttivi degli enti di servizio pubblico è impossibile che gli interessi del pubblico stesso siano effettivamente rappresentati. 

Qualche riflessione critica sulla co-gestione nel caso Volkswagen

Come già accennato, il rapporto tra datore di lavoro e lavoratori nelle aziende tedesche si basa sul dialogo consensuale e co-gestione. In questo contesto, licenziamenti o chiusure di stabilimenti devono essere discussi con il Consiglio di Fabbrica che può pronunciarsi contro la scelta, opponendosi duramente, anche se la decisione finale spetta al datore di lavoro.

Proprio perchè la co-determinazione evita le scelte unilaterali, Volkswagen ha deciso di anticipare di un mese i colloqui con il sindacato, per trovare un compromesso tra le diverse esigenze.

L’opposizione, composta dalla collaborazione tra il Consiglio di Fabbrica di Wolfsburg e il sindacato IG Metall, dimostra come la sinergia tra rappresentanza interna ed esterna possa risultare più forte, efficiente ed influente nelle negoziazioni. Queste, basate sul dialogo consensuale tipico del modello tedesco, garantiscono sostenibilità a lungo termine dell’azienda. È evidente che le trattative saranno lunghe e complesse, con impatto significativo sull’industria automobilistica tedesca.

Nel frattempo, Daniela Cavallo, rappresentante del consiglio di fabbrica di Wolsfburg, si oppone con determinazione alle minacce di licenziamenti. Molto attiva anche sui social network e in numerose interviste.

Il caso Volkswagen evidenzia come la co-determinazione possa essere efficace nel gestire situazioni di crisi, bilanciando esigenze aziendali e tutela dei lavoratori. Nonostante il modello sia vincente, il caso Volkswagen dimostra che non può  garantire la completa protezione dei lavoratori in tutte le circostanze. Questo perchè anche di fronte a una forte opposizione, l’azienda può comunque decidere unilateralmente. Un limite del modello è proprio il fatto che la possibilità dei lavoratori di influenzare le decisioni strategiche viene significativamente ridotta in momenti di forte pressione economica, poiché si creano conflitti di interesse difficili da risolvere. Il Consiglio di Fabbrica può esprimere opposizione e avviare azioni legali ma ciò non impedisce all’azienda di attuare le proprie strategie autonomamente, sempre a discapito dei lavoratori.

 

Leggi anche: Volkswagen in crisi: per la prima volta potrebbe chiudere uno stabilimento in Germania

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