Ho passato il giovedì sera al Tresor
Tresor, mi ricordi di una discoteca Italiana: un pubblico giovanissimo, che distrae con i troppi cellulari in mano. Quando il pubblico può rovinarti una serata
Il giovedì sera è difficile da riempire a Berlino. È un martedì del fine settimana: non capisci se è il caso di iniziare a far festa, oppure se aspettare il venerdì. Nel caso mio e di Lorenzo, la decisione di andare al Tresor è stata presa sull’onda di una rivalsa e di un vorace appetito di Techno. Come la voglia di biscotti delle due di notte.
La serata precedente dello stesso evento, sembrava interessante: Villa Kilo era il curatore artistico, un artista dai colori e forme tra lo psichedelico e l’impressionismo, con una forte tendenza agli scenari da videogioco. La line-up, sia del mercoledì che del giovedì, aveva qualche sentore di Drum-and-base, che noi però abbiamo ingenuamente sottovalutato.
Collutorio, sigarette industriali e italiani al guardaroba
Un pre-serata all’insegna del “collutorio”, con una bottiglia che ho visto tanto in giro, che sprigiona menta fino al disgusto. Da casa di Lorenzo ci dirigiamo a piedi verso il Tresor, passando davanti all’imponente ambasciata Cinese. Ne nasce una discussione sugli spazi e di quanti cecchini ci potessero essere sul tetto di quell’edificio, che incuteva un politico reverenziale timore. Decidiamo di dividerci un pacchetto di sigarette in due. La spesa più onerosa della serata. A Berlino le sigarette industriali costano come un pieno al motorino, ma la loro comodità in pista è indiscutibile.
Passiamo la cancellata esterna del Tresor, finiamo la sigaretta, e ci avviamo con la faccia rigorosamente seria e composta, all’ingresso, come se al club dovessimo farci assumere. Al cospetto dei bouncer, ormai, la scioltezza prende il sopravvento, e alla domanda in tedesco su quanti siamo, rispondo disinvolto in tedesco, con lo stupore mio e dello stesso Lorenzo. Entriamo, adesivo, biglietto e perquisa. L’ingresso a 13 euro ci rincuora non poco, anche perché è un prezzo fuori mercato (al ribasso) per la scena Club a Berlino.
Il guardaroba è a offerta libera. Lasciamo le giacche e ci accorgiamo che i ragazzi al guardaroba sono italiani. Questo solo dopo averci interloquito in inglese. Non approfondiamo e lasciamo tra di noi il silenzio, come se fossimo tutti sotto copertura.
La sala chiusa, quella fumatori ed uno strano mood da festa di fine anno scolastico
Al Tresor le sale sono due: il Tresor che sta nei sotterranei, e il Globus al piano di sopra, che sembra riprendere le sembianze dell’Ohm.
Al nostro arrivo la pista di Globus è vuota: sono tutti intorno al bancone circolare del bar ad aspettare quelli con l’MD. Sembrano tutti troppo stranamente giovani. Con Lorenzo ci sentiamo un po’ spaesati, ma ci “spaesiamo” ancora di più quando ci rendiamo conto che nessuno, ancora, stava fumando, che quindi c’era una sala fumatori e che, di conseguenza, si prospettava un sali e scendi dalla pista alla sala per fumare. Nelle condizioni attuali, quelle in cui erano tutti al bar e nessuno in pista, abbiamo deciso di non forzare e aspettare, magari, che davanti alla station si ammassasse un po’ più di gente.
L’ennesima delusione arriva quando capiamo che, la sala del Tresor che a detta di Lorenzo era il piatto forte del club, non avrebbe mai aperto quella notte.
La sala fumatori era una piccola sala apparentemente dismessa, con nessun impianto di ventilazione che ne giustificasse la funzione. Alla prima sigaretta eravamo in cinque, alla seconda in sessanta. Sembrava tutto sbagliato, ma a confermarcelo sarebbe stata poi la la situazione sotto cassa.
La musica che non parte, il pubblico che non quaglia e troppi cellulari
Sotto cassa, solitamente, tutto assume senso. Come una trincea in cui tutti spingono dallo stesso lato, l’esercito della techno non lascia spazio a nessuno ma trasporta tutti.
Percorriamo la pista del Globus come una superficie a spirale, migrando dove intuiamo lo spazio. L’intuito, però, ci porta a fraintendere sia il pubblico che i Dj.
Dopo un’iniziale dissonanza tra noi, chi ballava intorno a noi e la musica che suonava senza esplodere, ci rendiamo conto che la situazione era simile ad un coro in cui, però, ognuno canta una canzone diversa.
La line-up, composta da Lily Haz, Reptant e Poly Chain, aveva lo stesso effetto dei vigli urbani nelle situazioni di traffico: caos. Lily Haz ha aperto con la stessa flemma con cui si cucina un minestrone il 15 di agosto all’ora di pranzo. Sembrava estranea rispetto a ciò che succedeva di fronte a lei e, viceversa, il pubblico sembrava ignorare la presenza di Lily.
La parentesi Reptant ha un po’ mosso le acque, rimestando tra il pubblico qualche clubber più navigato.
Verso le 3:30, la sala sembra ridisegnarsi intorno al ricambio di gente che, dal KitKat, migrava verso la sala del Globus. Il Club si riempie a dismisura e le file per i bagni iniziano ad aumentare all’inverosimile. In pista con Lorenzo, a conferma del nostro disagio, vediamo un’evento quasi utopico nei club berlinesi. Una cospicua percentuale di persone teneva in mano il cellulare, ballava in gruppi e urlava, parlava e urlava ancora. A Berlino, solitamente, quando si balla, si balla, come se si pregasse, dentro una sacralità che lega tutti senza escludere nessuno. Quel giovedì, al Globus del Tresor, erano tutti ammassati, agglomerati senza un senso come lenzuola in lavatrice, solo che, la sensazione, era di divisoria incomprensione.
Il lucchetto che chiude la nottata e apre le porte del mattino, è stata la Dj ucraina Poly Chain. Poly fa ballare, ha delle cascate di bassi che ti sommergono come la risacca. Gli mancano solo i vuoti, risultando monotona alla lunga, perché i silenzi non saltavano, ma si riempivano gradualmente. Nessuno dei tre amava troppo il rilancio del drop, come se avessero bisogno di essere un tappeto più che una marea.
Una coraggiosa colazione vista Sprea al cospetto della Cina
Berlino lascia sempre la bocca amara, ma un gusto dolce. Ci si sente bambini al parco senza genitori, che piano piano capiscono di stare invecchiando. Il cielo di Berlino ci accompagna, nell’ora migliore in cui uscire dai club, 6:30, per i colori che ci offre, riflessi nello Sprea che, la mattina, sembra sempre più pulito di quanto non sia.
Ad accogliere i due pellegrini della notte è il panificio self-service della stazione di Jannowitzbrücke. Io prendo un “schoko brotchen”, un würstel “rollato” nella sfoglia, un cornetto al cioccolato e un caffè. Lorenzo acciuffa un panino e un paio di würstel e ci sediamo sui tavoli fuori, vista fiume, nella calma silenziosa della mattina, che faceva eco sulle imponenti pareti dell’ambasciata Cinese.
La disapprovazione logistica verso la serata era evidente, come la fame che ci attanagliava. Ci sentivamo sazi di una metaforica cena, che non era completamente necessaria. Nessun rancore verso il Tresor, per carità, ma il vuoto del giovedì sera, sembra, a quanto pare, dovesse rimanere tale. Questa volta il nostro grazie va alla bäckerei di Jannowitzbrücke; scusa Tresor.
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