A touch of playfulness: l’esposizione in cui “i bambini sono responsabili per i genitori”

Sono stata all’anteprima dell’esposizione “a touch of playfulness”, che sarà ospitata dalla Fondazione Reinbeckhallen dall’8 settembre all’11 novembre

La Fondazione Reinbeckhallen a Berlino ospita la mostra “a touch of playfulness”, il cui sottotitolo è “i bambini sono responsabili per i genitori”. Le opere d’arte esposte cercano di coinvolgere tutti, dagli adulti ai bambini. Sono opere di vario tipo, dai dipinti alle fotografie, dalle sculture alle foto. L’esposizione ha a che fare con il nostro modo di vedere e percepire il mondo, la realtà che ci circonda ed il concetto di tempo.

L’esposizione “a touch of playfulness” vuole essere inclusiva verso i bambini

La Fondazione Reinbeckhallen a Berlino ospita la mostra “a touch of playfulness” dall’8 settembre all’11 novembre. La mostra è stata presentata alla stampa il 6 settembre dalla direttrice Jana Sperling e dalla direttrice artistica Candice M. Hamelin. L’esibizione prevede vari tipi di opere, film e proiezioni video, dipinti, fotografie, sculture, realizzate da ventuno artisti tedeschi e internazionali tra la fine degli anni ’80 ed il 2020. Queste opere stimolano a pensare a come vediamo ed affrontiamo il mondo come realtà che ci circonda.

Candice M. Hamelin mi ha raccontato che lo scorso dicembre alla Fondazione hanno iniziato a pensare a che cosa esporre quest’anno. Riflettendo sull’inclusività che la Fondazione si propone di avere, si sono resi conto che la maggior parte delle esibizioni erano create da adulti e pensate per adulti. Dunque hanno deciso di essere più inclusivi nei confronti nei bambini. Da qui deriva il sottotitolo dell’esibizione “Kinder haften für ihre Eltern”, ovvero “i bambini sono responsabili per i genitori”. Ciò non significa che le opere d’arte esposte siano per bambini, ma per tutti, con un’attenzione particolare a coinvolgere i più piccoli. I bambini, i giovani e gli adulti sono invitati ad adottare l’approccio ludico alla mostra come stimolo e a diventare creativi, perciò sono offerti anche diversi workshop ai visitatori.

L’approccio ludico alla mostra si vede fin dalla sua struttura. Questa è infatti ispirata all’antico gioco cinese del tangram. Candice M. Hamelin ne ha narrato la leggenda. Un giovane aveva viaggiato e dipinto la bellezza del mondo su una tavola di ceramica, come lo aveva incaricato a fare il suo maestro. Ma al suo ritorno, quella tavola gli cadde a terra e si ruppe in sette parti. Per giorni lo studente provò a ricomporre le parti in un quadrato, fino a capire che quelle parti si potevano ricongiungere in molti modi diversi, creando varie forme. Quella era la vera bellezza variegata del mondo. Per questo motivo, le opere sono esposte in tre gruppi tematici creati da dei tubi metallici che visti dall’alto ricordano le forme che si possono comporre con un tangram.

I gruppi tematici dell’esposizione creano le forme di un tangram

Il bello della mostra, sottolinea Candice M. Hamelin, è che questi gruppi tematici possono essere visti da diverse angolature e prospettive, in base a come ci si lascia ispirare. Ciò ha a che fare, secondo la direttrice artistica, con la realtà e l’identità. L’esibizione affronta il modo in cui vediamo e percepiamo il mondo che ci circonda. Ad esempio, tra le opere del primo gruppo, troviamo tre fotografie di Miklos Gaál. Si tratta di fotografie che riprendono scene reali da una posizione distante ed elevata. In esse il fotografo gioca con la messa a fuoco, sfocando casualmente alcuni punti per confondere lo spettatore.

La maggior parte delle opere prevede un’intersezione tra media diversi, in particolare il gruppo centrale si concentra sull’intreccio tra fotografia e linguaggio. Il concetto di stratificazione è ben esposto in diverse opere. Troviamo qui degli acquerelli di Isca Greenfield-Sanders realizzati con una tecnica molto particolare: l’artista ha trovato delle foto di famiglia degli anni ’50 e ’60, vi ha disegnato sopra una griglia per costruirvi graficamente l’immagine intera, poi dipingerla e colorarla. Anche i lavori di Sam Grigorian esprimono bene il concetto di stratificazione. Essi sono infatti realizzati con la tecnica del décollage, che prevede di sovrapporre vari tipi di carta.

Nel terzo gruppo di opere l’attenzione è stata focalizzata in particolare sulle fotografie di Peter Funch, che hanno una storia interessante. Per un decennio il fotografo si è posizionato nello stesso angolo di New York a fotografare i passanti. Poi ha raccolto le immagini e si è reso conto che aveva fotografato alcune persone più volte, a mesi o addirittura anni di distanza. Questo, secondo Candice M. Hamelin, può dirci qualcosa a proposito del nostro modo di concepire il tempo e di organizzare le nostre routine.

42nd and Vanderbilt, 2007-2016 – Peter Funch

Le opere che circondano i gruppi tematici

Alcune opere si trovano fuori da gruppi tematici. All’inizio dell’esposizione c’è una scultura di Marilène Oliver. Essa rappresenta l’intero corpo dell’artista, scansionato con una risonanza magnetica poi tradotta e stampata su lastre acriliche. Le lastre sono state assemblate per formare un corpo a grandezza naturale che evidenzia la relazione tra arte e scienza, tra identità umana e dati creati dalla tecnologia.

In fondo all’esposizione troviamo poi un tavolo bianco, su cui è posta una tela bianca e di fronte al quale si trova uno sgabello bianco. Si tratta di un’opera di Rei Naito. Candice M. Hamelin mi ha spiegato che in realtà la tela è bianca solo in apparenza. Infatti, sedendoci sullo sgabello vedremo il colore della tela variare tra l’arancione ed il rosso in base alle ore del giorno. Ciò ha nuovamente a che fare con la nostra concezione del tempo, ed infatti l’opera è posta di fronte alle fotografie di Peter Funch. L’installazione include anche una seconda opera di Rei Naito, che consiste in due vasetti di vetro posti l’uno sull’altro. Quello più in basso è capovolto, quello superiore è pieno d’acqua. Essi rappresentano secondo l’artista lo spazio fisico di cui un essere umano ha bisogno per sopravvivere. Le opere esplorano dunque che cosa significa essere umani.

Infine, arriviamo all’opera che Candice M. Hamelin ha definito essere la sua preferita. Si tratta di “Blind date”, un dipinto ovale di Fides Becker. Il dipinto è realizzato con acrilici, tempere, varie stoffe ed uno specchio. Centrale è il disegno di un teschio: l’artista ha ritagliato tre buchi in corrispondenza degli occhi e del naso, in modo che si veda lo specchio che è collocato sotto. Così guardando l’opera si vede anche se stessi e si è coinvolti nel lavoro dell’artista. Candice M. Hamelin lo ha definito «veramente umoristico».

Blind date, 2006 – Fides Becker

I biglietti sono acquistabili cliccando qui.

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