Micha Bar-Am, il fotografo che fuggì da Berlino e raccontò Israele, da Eichmann ai giorni nostri
La straordinaria vita dell’illustre fotografo Micha Bar-Am, raccontata nel documentario “1341 frames of Love and War” alla Berlinale 2022
Micha Bar-Am è tra i più grandi fotografi viventi. 92 anni, israeliano (ma nato a Berlino, che lasciò con la famiglia per Haifa a 6 anni salvandosi dalle deportazioni), con la sua macchina fotografica ha immortalato le tappe fondamentali di oltre 50 anni di storia del suo Paese sia per l’agenzia Magnum che per il New York Times e alcune delle più prestigiose riviste al mondo. La sua grandezza trova un tributo anche al cinema. Si intitola “1341 frames of love and war” ed è un documentario, presentato alla Berlinale 2022, in cui la sua voce, e quella della moglie, curatrice del suo immenso archivio, raccontano come voce fuori campo una carriera leggendaria. Nessuna immagine in movimento, solo una successione di scatti, 1341 come indica il titolo.
1341 frames of Love and War, la trama
Fin dall’inizio Micha rivela di non avere una buona memoria. Quando esita corre in aiuto sua moglie Orna, ma invece di accettare la correzione, finisce spesso con il battibeccarci. In realtà, come lui stesso confida, non gli dispiace aver perso alcuni ricordi, “certe volte devi dimenticare per potere andare avanti”, vuole lasciare alle fotografie il compito di trasmettere le atrocità di ciò di cui è stato testimone.
Il processo ad Eichamann nel 1961, la Guerra dei sei giorni del 1967, quella dello Yom Kippur nel 1973, il massacro di Sabra e Shatila nel 1982: Micha Bar-Am c’era. Si avvicinò alla fotografia per curiosità, da giovane faceva il tuttofare al porto di Haifa, tutto ciò che imparò lo fece da autodidatta. In un posto, e in un’epoca, in cui la guerra si incrociava spesso con la quotidianità, lui decise di fare dei suoi la finestra da cui il resto del mondo potesse guardare. I suoi densi rullini sono però anche una ricca testimonianza della quotidianità del kibbutz e degli effetti che i lunghi anni di lotta ebbero sulle vite di uomini e donne come lui. È proprio quest’occhio per l’aspetto umano ad avergli garantito fama internazionale: unico nel suo genere, ha saputo rappresentare le contraddizioni della vita in Israele, in un perpetuo altalenare tra la tragedia in azione e la tranquilla vita familiare.
Incurante del pericolo e sempre pronto a lanciarsi in azione, Micha Bar-Am non si è mai considerato un fotografo di guerra. A motivarlo, secondo le sue stesse parole in “1341 frames”, è sempre stato un profondo desiderio di capire le persone. L’obiettivo era semplicemente una scusa per poter osservare più da vicino e vincere la timidezza. La fotocamera, a suo avviso, offre un punto di vista netto. Non è possibile narrare entrambe le parti di un conflitto tramite l’obiettivo. Se si è troppo vicini a qualcosa, si perde la prospettiva d’insieme e il racconto smette di essere neutrale.
Dai suoi racconti si evince quanto fosse in realtà toccato dalle scene che catturava. Provare ad essere sia osservatore che partecipe e a fare davvero la differenza armato solamente della sua Leica, hanno portato anni di profonda frustrazione al fotografo. La sua reazione politica degli ultimi anni è stata quella di dedicare i suoi scatti ai volti e a celebrare unicamente l’amore per la sua famiglia.
Micha Bar-Am, la sua biografia più nel dettaglio
Nato a Berlino nel 1930 da una famiglia ebreo-tedesca, Michael Anguli si trasferì in Israele quando aveva appena sei anni. Lì cambiò il suo nome in Bar-Am (figlio della nazione) per sentirsi ancora più vicino al suo popolo e liberarsi dei lasciti della diaspora. Attivo sionista in gioventù, scattò le sue prime foto tra siti archeologici nel Deserto della Giudea, la zona tra Gerusalemme e il Mar Morto. Dopo aver combattuto nel 1948 e aver provato diversi mestieri, cominciò a lavorare a tempo pieno come fotografo. Nel 1959, a soli 29 anni, ricevette il Premio Robert Capa. Nel 1967, quando documentò la Guerra dei Sei Giorni. Fu allora che conobbe Cornell Capa (fratello di Robert) e cominciò a lavorare sia per l’agenzia Magnum che per il New York Times. Con Capa, diventato suo amico, curò diverse mostre e libri e contribuì ad istituire l’International Center for Photography di New York nel 1974.
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Photo Cover: © Micha Bar-Am, gentilmente concessa dal fotografo.
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