Fatih Akin ha realizzato un film sulle orripilanti gesta di Honka, il celebre serial killer di Amburgo
Fatih Akin torna con un film tratto da uno dei peggiori casi di cronaca nera della storia tedesca
Il protagonista della terza giornata del Festival Internazionale del Cinema di Berlino è stato sicuramente Fatih Akin con il film Der Goldene Handschuh (Il Guanto d’Oro). Il pubblico aspettava con ansia il nuovo lavoro del regista, dopo ottime pellicole come La sposa Turca, Soul Kitchen e Oltre la Notte. Il film è tratto da un libro di Heinz Struck in cui viene narrata la raccapricciante storia vera di Fritz Honka, serial killer che tra il 1970 e il 1975 ad Amburgo ha ucciso e smembrato quattro prostitute. Il film ha letteralmente sconvolto e diviso il pubblico di Berlino, numerosi spettatori hanno abbandonato la sala già dopo i primi minuti del film. Appare naturale il confronto con un altro recente film dalla simile tematica, ci riferiamo a The House that Jack built di Lars Von Trier, in cui l’estrema violenza (spesso gratuita) è la protagonista indiscussa della pellicola. Ma, nella sfida tra i due, entrambi presentati nell’ambito di due prestigiosi festival cinematografici, a trionfare in questo macabro torneo è sicuramente Der Goldene Handschuh.
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Nella nuova pellicola, Akin mette in scena una violenza cruda e, a tratti, difficile da digerire
Già dalle prime scene, Akin mette subito in chiaro una cosa: assistere a Der Goldene Handschuh non sarà di certo una passeggiata. Tutta la pellicola è attraversata da una violenza, verbale e fisica, che, a tratti, diventa insostenibile. Honka non si limita a uccidere e squartare le sue vittime, ma le umilia in modi che riescono difficili anche solo da concepire, torturandole, picchiandole e, addirittura, stuprandole con un cucchiaio di legno. Il killer è un emarginato, un alcolizzato dall’aspetto orribile e grottesco (Lombroso avrebbe potuto scrivere un immenso trattato su di lui) le cui vittime sono donne che vivono anch’esse sole ai margini della società.
Der goldene Handschuh: un bar che sembra un girone dell’inferno
Honka adesca tutte le sue vittime in un unico luogo, un bar chiamato Der goldene Handschuh, il Guanto d’Oro. Si tratta di una squallida kneipe nel quartiere a luci rosse di St. Pauli, ad Amburgo. Appena oltrepassiamo la sua porta, veniamo proiettati in una sorta di girone infernale. Sui suoi tavoli si siedono tutti gli emarginati e i rifiuti della società. Facciamo la conoscenza di alcuni dei suoi avventori, prostitute, vecchi alcolizzati, un ex membro delle SS cieco da un occhio e completamente sordo, criminali di vario genere. Nessuno dei personaggi che vediamo al Guanto d’Oro sembra possa avere una possibilità di redenzione e, infatti, sono le uniche persone con cui Honka riesce a interagire. Il clima surreale che si respira nelle scene ambientate nel deprimente locale è amplificato dalle canzoni pop tedesche degli anni ’70 che risuonano continuamente da un vecchio juke-box. La stessa colonna sonora che fa da sfondo alle insopportabili violenze subite dalle vittime di Honka e che non fa altro che aumentare il disagio dello spettatore di fronte a queste scene. Akin spinge sull’acceleratore del disprezzo che si deve provare nei confronti del killer, lontanissimo da altre figure cinematografiche di celebri assassini come, per esempio, l’Hannibal Lecter de Il silenzio degli innocenti, personaggio magnetico che affascinava lo spettatore. Il naso da alcolista, l’occhio strabico, gli estesi eczemi sul suo corpo, sono tutti elementi che aumentano la ripugnanza che si prova guardando Honka. Akin mette in scena una cruda violenza tanto che, ad un certo punto, viene da chiedersi se tutte le scene siano utili allo svolgimento della trama o siano solo un espediente per far si che il film faccia parlare di sè; questo è un elemento che di certo non aiuta a rendere Der Goldene Handschuh un film completamente riuscito. Da segnalare, invece, la prova d’attore del giovanissimo Jonas Dassler, classe 1996, che offre un’ interpretazione magistrale nei panni di Honka (per fare un debito confronto, andate a cercarvi una sua foto senza il trucco da Fritz Honka) così come colpiscono le interpretazione delle attrici che ricoprono i ruoli delle donne vittime del killer, volti talmente espressivi e perfetti per il loro ruolo che viene da chiedersi se Akin abbia viaggiato nel tempo e le abbia portate direttamente dalle zone più squallide dell’Amburgo degli anni ’70. Un altro elemento riuscitissimo del film è la fotografia e, soprattutto, gli ambienti, sia esterni che interni, ricostruiti seguendo fedelmente, con una precisione quasi filologica, le fotografie dei luoghi originari dove sono avvenuti i sanguinosi omicidi di Honka.
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