Beate Klarsfeld, ©https://www.youtube.com/watch?v=K3-otnfw1NU

Berlino, 1968: la storia del coraggioso ceffone di giovane tedesca al cancelliere ex nazista

Berlino, 7 novembre 1968: uno schiaffo al nazismo

Sono trascorsi cinquant’anni dal 7 Novembre 1968, quando, a Berlino, una giovane e coraggiosa donna tedesca di nome Beate Klarsfeld, schiaffeggiò pubblicamente il cancelliere della Germania Federale Kurt Georg Kiesinger. L’uomo era appartenuto, infatti, al regime nazista, un’importante pedina di collegamento nel Ministero della propaganda di Goebbels, che con l’Amnistia di Adenauer, permise a centinaia di criminali di tornare liberi e impuniti. Si trattò di un vero e proprio “ceffone” della gioventù tedesca nei confronti della generazione dei loro padri. Il gesto scosse l’opinione pubblica. Senza quel ceffone, forse non vi sarebbe stato il successivo isolamento politico di Kiesinger e l’arrivo di Willy Brandt nella Germania Ovest. Senza quel ceffone, probabilmente la Germania non avrebbe proseguito nel suo cammino di presa di coscienza delle sue responsabilità storiche. Negli anni a seguire Beate, insieme al marito Serge, divenne la maggiore “cacciatrice di nazisti” al mondo, seconda solo a Simon Wiesenthal.

L’urlo e lo schiaffo che hanno segnato la Storia

Berlino. Congresso nazionale della CDU, il Partito Cristiano Democratico della Germania Federale. Sta per prendere la parola il Cancelliere della Germania Occidentale, Kurt Georg Kiesinger. Beate Klarsfeld lo vede avvicinarsi al palco degli oratori. Mente al responsabile della sicurezza, dicendo di essere una giornalista accreditata presso un importante quotidiano locale. Ma non raggiunge gli altri giornalisti, si ferma prima. Proprio dietro al Cancelliere. Urla «nazista!» e dirige un sonoro ceffone a Kiesinger. Una fotografia immortala i suoi occhi infuocati e lo sgomento di Kiesinger. Si alzano tutti meravigliati dinnanzi a una simile avventatezza. Immediatamente intervengono gli uomini della sicurezza, trascinandola fuori, tra l’incredulità e lo stupore. Un evento storico. Uno “schiaffo” entrato nelle cronache della Germania degli anni ’60 e non solo. Col suo gesto Beate travolse l’intero Paese. Beate Künzel, questo il suo nome da nubile, è nata a Berlino, il 13 Febbraio 1939. A pochissimi mesi dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, dall’invasione nazista della Polonia, dall’inizio dell’inferno dei ghetti e delle violenze per milioni di ebrei. I sui genitori non erano nazisti, ma nemmeno anti-nazisti. Avevano accettato ciò che era accaduto attorno a loro. Beate è cresciuta in Germania, ma il clima di un Paese ancorato a vecchi schemi politici, ed educativi, la soffoca. Beate desidera scappare, vedere il mondo e vivere all’estero. A ventun’anni, a Parigi, la mattina dell’11 Maggio 1960, alla fermata del Metro di Porte-Saint-Cloud, incontra Serge Klarsfeld. Serge è figlio di un uomo assassinato nel 1944 nel campo di sterminio di Auschwitz Birkenau. Beate viene così a conoscenza, per la prima volta, dei fatti della Shoah e le pesanti responsabilità del popolo tedesco. Si sposano e conducono una vita normale, fino alla notizia, nel 1968, dell’arrivo di Kurt Georg Kiesinger alla Cancelleria del Reich. Kiesinger non è un politico qualunque, ha goduto dell’amnistia di Adenauer del 1951. L’evento che ha interrotto il processo di de-nazificazione della Germania. Di colpo furono cancellati i provvedimenti contro oltre 792.176 persone, di cui 20 mila nazisti incriminati per “crimini contro la vita”. Nel 1958 solo una piccola parte degli imputati di Norimberga era ancora in prigione. Cosa si poteva fare di fronte ad un Paese che non voleva fare i conti con la propria Storia? Beate, che aveva trovato lavoro come segretaria presso l’Ufficio Franco-Tedesco per la Gioventù della capitale Francese, recuperò i documenti più importanti, e scrisse ben tre articoli per la rivista di sinistra Combat. L’indomani, alla sua scrivania trovò una lettera di reclamo: «ha una settimana per ritirare le accuse al Cancelliere Kiesinger, altrimenti verrà licenziata». Non lo fece, non si sottomise al ricatto.  Kiesinger mantenne il suo posto al governo della Germania post nazista, mentre Beate rimase senza lavoro. Davanti a tale ambiguità, nacque il “metodo Klarsfeld”. La coppia decise di optare per un modo di agire peculiare: generare scandalo. Da qui la decisione dello schiaffo pubblico al Cancelliere. L’azione provocò l’arresto di Beate e un procedimento penale contro di lei. Dopo un anno di carcere, grazie al marito, otterrà di essere assolta in primo grado. Kiesinger non venne rieletto e Beate ottenne il plauso di numerose personalità pubbliche. Lo schiaffo di una sola donna, si trasformò in uno schiaffo della società tedesca alla generazione dei partiti nazisti. L’anno successivo, nel 1969, alla Cancelleria della Germania Ovest fu eletto Willy Brandt, un socialista ed anti-nazista. Con lui la Germania iniziò a prendere coscienza delle sue responsabilità. Ad oggi, a Beate è stato conferito il titolo di Presidente Onoraria della Associazione Memoriale Sardo della Shoah. Una donna che deve essere presa ad esempio in questa attualità in cui la militanza contro le ingiustizie è sempre meno contemplata.

«Vi sono momenti nella vita, in cui tacere diventa una colpa e parlare diventa un obbligo. Un dovere civile, una sfida morale, un imperativo categorico al quale non ci si può sottrarre». (Oriana Fallaci)

Heinrich Böll, premio Nobel per la Letteratura, nel 1972 spedì a Beate un mazzo di rose rosse e le lasciò detto in un messaggio: «Frau Klarsfeld, avrei voluto parlarle volentieri, quello che sta facendo è meraviglioso». Per far adottare in Germania una legge più severa contro gli ex ufficiali nazisti, Beate si fece persino arrestare dentro al campo di concentramento di Dachau. Tre anni dopo tentò di rapire a Colonia l’ex capo della Gestapo di Parigi, Kurt Lischka. L’ex gerarca verrà processato per la deportazione di quarantamila ebrei dalla Francia. Il più stretto collaboratore di Adolf Eichmann, noto anche come “la mano destra del diavolo”, invece le è sempre sfuggito. Accusato dello sterminio di 128.500 ebrei austriaci, greci, francesi e slovacchi. Brunner “l’ingegnere della soluzione finale”, ossessionato dallo sterminio degli ebrei al punto che nel 1985, intervistato dal magazine tedesco Bunte, affermò di «rimpiangere di aver lasciato il lavoro a metà». Beate ha pagato un caro prezzo per questa caccia al passato. Una volta le hanno messo una bomba in casa. Un’altra hanno fatto saltare la sua automobile. Eppure non si è mai arresa.

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Immagine di copertina: Beate Klarsfeld, © screenshot da youtube