«Vivere a Berlino ti insegna ad essere cittadino del mondo. La voglia di scappare dall’Italia è comprensibile»
A tu per tu con lo scrittore ed ex chitarrista dei CCCP
È una fredda giornata berlinese quando Massimo Zamboni ci raggiunge in redazione per un’intervista che abbiamo organizzato già da qualche settimana. Non è a Berlino per caso. È una città che ama e dove anche sua figlia, un’alta ragazza riccia con un bellissimo sorriso che lo ha accompagnato (assieme all’ultimo tassello familiare, la mamma), ha deciso di passare alcune settimane di studio estivo. Che la passione per Berlino sia questione di DNA? La ragione della nostra intervista è farci raccontare «Nessuna voce dentro» il libro, pubblicato a maggio 2017, in cui Massimo Zamboni descrive la Berlino del 1981. L’ex chitarrista dei CCCP Fedeli alla Linea, qui nella capitale tedesca ha passato uno dei periodi più importanti della sua vita. «Un’estate decisiva da cui sono tornato a casa con un dono prezioso: la mia voce».
«Volevo capire perché così tanti giovani europei stessero venendo a Berlino»
«Partii dalla provincia emiliana senza sapere nulla, non avevo neanche idea di dove fosse Berlino. Non riuscivo a capire come un Muro potesse dividere una città o cosa volesse dire DDR. Arrivai in autostop. Seguivo la suggestione del movimento delle case occupate. E ricordo tutto. Ricordo dov’era la mia casa, chi ci abitava. Era una cosa strana venendo dall’Emilia dove lo slogan a Bologna era “la città più libera del mondo”. In realtà scoprii quanto le nostre regole ci impedissero di fare praticamente qualunque cosa. Qui era semplicissimo aprire una discoteca, un ristorante, un negozio o una qualsiasi tipo di attività. La protezione del Muro aveva creato una specie di isola faunistica in cui ognuno poteva fare sostanzialmente quello che voleva. Ed era direttamente collegato all’esperienza delle case occupate perché già risolvere il problema dell’abitazione era importantissimo. Si trattava di sopravvivere sostanzialmente. Ma era una facilità di vita che era impensabile da altre parti. Si può dire che Berlino mi rivelò le coordinate storiche e politiche di che cosa volesse dire abitare il mondo. Vivere nel mondo. Mi resi conto che tutti gli studi liceali e universitari erano serviti veramente a poco. L’esperienza diretta è tutto un altro tipo di insegnamento. A Berlino scoprii la possibilità di fare qualunque cosa. Potevo vivere dove volevo e fare il mestiere che preferivo. Berlino mi insegnò a non accontentarmi».
Nessuna voce dentro e la musica tedesca negli anni Ottanta
«Mi piacerebbe che “Nessuna Voce Dentro” fosse letto ascoltando la musica di quegli anni. Era una musica molto forte che credo dia delle indicazioni ancora attuali su come pensarsi. Innanzitutto, era cantata in lingua originale, quindi nessun scimmiottamento angloamericano. C’era l’idea di essere in Germania e cantare per questo luogo. Gruppi come DAF, Fehlfarben, come Ideal, come Malaria. Erano tutti gruppi capaci di trasmetterti subito dove fossero. E questo è importantissimo. Sopratutto venendo dall’Italia dove tutti pensano di essere in qualche provincia americana. Che è una cosa ridicola e non serve a niente. Da Berlino tornai in Italia con questa intuizione. Bisogna cantare in italiano. Bisogna sforzarsi di pensare una musica e un’espressione legata al luogo da cui provieni. Altrimenti non ha senso. Altrimenti sarai sempre un burattino».
La caduta del Muro e lo scoglimento dei CCCP
«Senza volerlo, forse era un destino inevitabile, abbiamo sciolto i CCCP Fedeli alla Linea esattamente negli anni della caduta del Muro di Berlino. Una volta compiuto tutto il percorso, veduta la caduta del Muro, ci siamo resi conto che il mondo che esprimevamo non aveva più senso. È chiaro che avrei voluto essere a Berlino quella notte del 1989. Sarebbe stato bellissimo. Una cosa che mi colpì fu venire in città sei, sette mesi dopo. Vederla senza Muro, ma con strade che ancora non avevano senso tra di loro. Non c’era nessuna relazione tra i due lati della stessa strada. Un po’ come succede agli animali tenuti in gabbia che quando vengono liberati non si muovono perché hanno ancora la gabbia in testa. Vedevo tutte queste auto di lusso parcheggiate da un lato della strada e le Trabant parcheggiate dall’altro. C’era una divisione mentale. Nessuno pensava di poter passare quel confine, anche se quel confine non c’era più. Questo era molto forte da vedere».
«Berlino ha un peso storico molto espresso e non negato. E questo mi piace molto»
«Quando conosci una città per tanti anni, sei in grado di vederne i cambiamenti. Di coglierli e inserirli in una prospettiva che ti fa capire come sta andando il mondo. Tornare a Berlino è importante anche per questo. È una città che sa offrire esperienze forti. Ed ha la capacità di non negare la propria storia. Ci sono delle ammissioni di colpa che in Italia non sarebbero mai espresse in nessun modo. Berlino è capace di dirle e questo mi sembra molto forte. Pensiamo al ponte di Warschauer Straße, quella zona con le case occupate, i locali. Con tutti i nuovi centri commerciali che stanno nascendo ti sembra quasi che quell’isola vada ad estinguersi. Ti rendi conto di come il capitale straniero multinazionale stia mangiando la nostra vita e la nostra possibilità di esprimerci. Quindi come gli orsi scappano in montagna, un po’ alla volta bisogna sempre più andare nelle periferie che sembrano rimanere le uniche zone in cui si può vivere in maniera abbastanza decente. A Berlino c’è il centro della Mercedes in mezzo a delle rovine occupate. In altre città non lo vedresti».
«In italia c’è molta tristezza. Ti sembra proprio di non servire a niente»
«La mia generazione è cresciuta in un periodo non facile. La fine degli anni ‘70 in Italia era tutt’altro che facile. Chi non moriva per eroina, stava cominciando a morire per AIDS. Oppure aveva la testa fracassata da qualche manifestazione politica. Anche lì il bisogno di scappare era fortissimo perché altrimenti saresti finito in qualche guaio. Però non c’era la sensazione che la nostra vita fosse inferiore a quella dei nostri genitori come è oggi. L’Italia ora non è un Paese dove si vive bene. Quindi questa voglia di scappare è comprensibile. Se fossi un ragazzo farei molta fatica a pensarmi in Italia. Vedo moltissimi italiani qui. Non so se sono qua soltanto per cercare un lavoro. Credo che Berlino abbia proprio un’intensa forza attrattiva. Perché comunque si vive bene. Qui puoi prendere il sole in mutande in un cimitero. O portare la griglia giù dal quinto piano, metterla sul marciapiede, farti una grigliatina e poi tornare a casa. Sono sciocchezze, però ti fanno capire che si può vivere bene. Noi dovremmo voler vivere bene, anche per queste piccole sciocchezze. L’Italia sarebbe il Paese delle grandi trasgressioni, ma in realtà non puoi fare niente. La Germania, invece, sarebbe un Paese di grandi rigidità e invece ti lascia fare. Qui c’è un livello di coesistenza molto più forte che nelle nostre città. E quindi è bello vedere un progetto come Berlino Magazine o altre realtà berlinesi indipendenti. Rappresentano la capacità personale di reagire. Di noi come italiani. È bello se succede all’estero ed è altrettanto bello se succede in Italia. Oggi, o domani, non importa».
Nessuna voce dentro. Un’estate a Berlino Ovest
di Massimo Zamboni
prezzo 17€
acquistabile in libreria (a Berlino da Mondolibro) o online (qui ibs)
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Tutte le immagini sono: © Ciro “Ceero” Nuzzi (CPROD)