Se una ragazza italiana gira un film su Berlino 1989 con le musiche di Teho Teardo

Francesca Mazzoleni, giovane fotografa e regista, classe 1989, è alle prese con un cortometraggio realizzato tra Berlino e Roma. Autrice di cortometraggi e video musciali, ha già molti progetti all’attivo. Il suo ultimo progetto è un corto prodotto dal Centro Sperimentale di cinematografia, in collaborazione con una campagna di crowdfounding di grande successo ed alcune nascenti realtà berlinesi. Il corto, che si intitola 1989, verrà proiettato in anteprima assoluta venerdì 10 Luglio al Centro sperimentale di cinematografia di Roma.

1989 è un anno cruciale per l’Europa e per gli assetti economico e politici del mondo al termine della Guerra Fredda. Un anno di passaggio che ha aperto una nuova fase dell’Europa. Come affrontare la memoria di questa città e viverla in modo contemporaneo? Ne abbiamo parlato in quest’intervista esclusiva con l’autrice.

Come è nata l’idea di questo film?

Da una riflessione attorno a due temi che da sempre mi attraggono molto: da un lato il rapporto con la città di Berlino e dall’altro il tema della memoria e della rimozione. E Berlino è una città colma di vuoti, in cui c’è una rimozione della storia. Mi interessava fare una riflessione riguardo alla rimozione, intesa sia dal punto di vista individuale (il protagonista del film è affetto da morbo di Alzheimer) e sia dal punto collettivo, storico. E per questo Berlino mi è sembrata il luogo ideale, diventando così teatro di questa intensa relazione famigliare dei protagonisti. E’ una città che amo moltissimo; e lì ho cercato di recuperare il senso della memoria.

Dove ha girato?

Alcune scene importanti al Krematorium di Treptow, uno spazio metafisico, un imponente monumento alla memoria che paradossalmente si trova adiacente ad un piccolo cimitero totalmente devastato: un contrasto che di per se mi è sembrato emblematico. Abbiamo girato in alcuni spazi vuoti e postindustriali della città e in luoghi della memoria più canonici come l’East Side Gallery. Ho cercato fra gli spazi del rimosso l’anima della città. Siamo stati con parte della troupe ai festeggiamenti per i 25 anni della caduta del muro.

Cosa rappresenta 1989?

È una data simbolica, un anno di svolta. Un anno in cui nell’aria c’è la ricostruzione del nuovo e allo stesso tempo il dissiparsi di un sogno e di un mondo intero; ho cercato nel film di riprendere la città che cambia, la difficoltà di recuperare i pezzi di memoria. E’ anche l’anno in cui è sono nata io e parte della troupe, oltre al personaggio di Katrin.

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Qual è la storia più nel dettaglio? Il tuo corto ha a che fare con la “Ostalgie”?

Ovviamente non potevo trascurare quest’aspetto; il corto è estremamente nostalgico, perchè parla di un padre che è nato a Berlino Est ma non torna nella sua città da quando il Muro è caduto. Ci ritorna oggi, portato da sua figlia Katrin, in un momento in cui l’Alzheimer che l’ha colpito sta peggiorando sempre di più. Katrin lo riporta nella città dove sono depositati i suoi ricordi più antichi e quindi più intensi, e cerca di far ricordare e allo stesso tempo di acquisire ricordi nuovi, prima che svaniscano per sempre. Berlino si rivelerà conservare delle memorie che neanche lei si aspettava di trovare. L’Ostalgie di “1989” non ha nulla di politico, come spesso accade, tratta di un sentimento molto comune di attaccamento a un luogo e un’età che non esistono più. Ho amato molto film come Goodbye Lenin di Becker e Sonnenallee di Leander Haussman che, non a caso, termina con una voce off emblematica “Un tempo c’era un paese dove vivevo, ho passato lì gli anni migliori della mia vita. Erano gli anni in cui ero giovane, e innamorato”…

Una curiosità… come sei approdata al cinema?

Ho pensato da sempre al cinema come all’unica occupazione che volessi avere nella vita. Per me è un mezzo di conoscenza, di ricerca continua. Ho sempre voluto entrare al Centro Sperimentale di Cinematografia. Mi ha dato la possibilità di imparare moltissimo e di trovare persone con cui condividere un percorso.

Nel tuo cinema la musica è molto importante. E come sei venuta in contatto con Teho Teardo?

Mi concentro moltissimo sulla musica nei miei film. Il corto si avvale anche di una collaborazione con gli Apples in Space, un gruppo giovane di Berlino di cui abbiamo usato un brano come motivo narrativo fondamentale.Con Teho ho un profondo rapporto di stima nei suoi confronti, ascoltavo le sue musiche da sempre ed erano davvero qualcosa di nuovo. E’ una cosa speciale poter lavorare insieme, l’abbiamo già fatto per il videoclip di The Empty Boat di Teho e Blixa Bargeld ma questa è la prima colonna sonora. Gli ambienti sonori che costruisce sono molto vicini alle immagini del mio film. E la musica è nata insieme alle prime idee sul corto. E’ stato uno dei primi che ne ha sentito parlare, quindi con lui è nato anche il corto. Ed è una cosa molto speciale.

E come hai scelto il cast?

Sono molto contenta di aver avuto la possibilità di lavorare con Birol Unel, era un mio idolo dai tempi de La Sposa Turca. E’ un attore imprevedibile, nel bene e nel male, e questo poteva comportare un rischio per un corto con 5 giorni di riprese, ma è stato eccitante vedere cosa sarebbe uscito dalla nostra collaborazione e ne sono contenta. Anche con Maria Chiara Giannetta, la protagonista, e con Olga Helen Bach c’è stato un ottimo rapporto. Maria Chiara è un’attrice del Centro Sperimentale ed è stato bello capire insieme un personaggio così complesso. Diciamo che il lavoro difficile di un film in più lingue è stato cercare un bravo attore tedesco che parlasse italiano e un ottimo attore tedesco che dialogasse in inglese e in tedesco… la scelta dell’attore protagonista è ricaduta su Ecki Hoffmann, era uno dei pochi in circolazione capace di rappresentare l’Alzheimer senza forzature e con un’onestà strabiliante.

Come è andata la lavorazione del film?

Girare all’estero è stata una sfida. Il progetto è stato interamente gestito da noi studenti e grazie anche all’appoggio di alcune realtà berlinesi come la casa di produzione Daring House. Inoltre abbiamo sostenuto un grande supporto dalla fondazione Alzheimer Italia che ha creduto da subito nel progetto. E’ stato un lavoro di 5 mesi di organizzazione meticolosa. Siamo partiti quasi in 20, tutti dal Centro Sperimentale. E’ stata un’operazione un po’ pionieristica, ma sono molto soddisfatta dei risultati. L’esperienza del set è stata fantastica: quattro giorni di riprese a Berlino e 3 giorni a Roma. Abbiamo fatto una lunga preparazione per la sceneggiatura e per le location prima di girare.

Quali sono i registi a cui ti ispiri?

Beh sicuramente se parliamo del cinema italiano non posso non citare Garrone e il “primo” Sorrentino de l’Amico di famiglia. In generale mi ha dato tanto il cinema di Gus Van Sant, Lars Von Trier e la sperimentazione più estrema di Harmony Korine, e il recente Mommy di Dolan è un film meraviglioso.

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Cosa ti sentiresti di consigliare a qualche  nostro lettore che sta pensando di intraprendere la tua strada?

Mettere da parte la pigrizia e le paure e… fare. Fare sempre. Anche se la situazione per i più giovani non è delle migliori per mancanza di fiducia, restare svegli per capire qual’è la strada migliore per raccontare la storia che si vuole raccontare adesso e non tra vent’anni. Perché le storie che puoi raccontare a quest’età non avranno mai nulla a che fare con quelle che potremmo raccontare dopo. Sono pensieri e idee che non tornano più, e non ci si rende conto di che spreco è non aiutare a portarli alla luce.

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