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La moda a Berlino Est ai tempi della DDR, tra rigore socialista e ribellione giovanile

Funzionalità e concretezza sono le parole chiave che caratterizzano il cittadino tedesco nell’immaginario comune. La maggior parte delle volte, infatti, questi due fattori influenzano in modo particolare determinati aspetti della sua vita.

E sono stati dei punti fondamentali anche all’interno della Repubblica Democratica Tedesca (DDR) fino alla caduta del Muro. Moda e abbigliamento sotto il regime socialista non si sono sottratti, di regola, a questo modello. Ma il sobrio rigore voluto dalla SED contribuì per reazione a creare, specie tra i giovani insofferenti, le sue eccezioni e uno stile punk e ribelle.

La moda socialista

Il partito regolava tutto. Aveva i suoi stilisti e tutti i disegni subivano un controllo ulteriore prima di essere realizzati. Al fine di raggiungere questo obiettivo era necessario oltrepassare l’egemonia della moda francese e sostenere la creatività puramente tedesco-orientale. La moda era guardata con sospetto dal partito come orpello delle economie capitaliste, quindi bisognava pensare a un abbigliamento epurato dal lusso inutile e dai continui cambiamenti di stile. In accordo con l’ideale di “buon gusto” staliniano, l’abbigliamento socialista doveva essere anonimo, neutro e appropriato. Semplice, senza distinzioni di classe e soprattutto avverso al cambiamento.

Berlino, però, specie negli anni ’70 e ’80, rappresentò il più delle volte un’eccezione. La moda nella capitale della Germania Est era infatti influenzata da un contesto storicamente vivace e pluralista e ciò favorì il proliferare di controculture che non si piegavano ai dettami estetici socialisti e ai suggerimenti di regime sugli stili di vita più appropriati. Nel regime dell’omologazione, la moda giovanile di ispirazione occidentale esprimeva una grande voglia di affermare la propria individualità. Perciò anche i punk, negli anni ’80, fecero faville nella DDR. «Meglio i capelli blu delle camicie blu», si diceva, rinnegando le camicie della gioventù socialista. E proprio i capelli tinti, con colori psichedelici, sono una traccia della moda dell’Est nella Berlino di oggi.

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I materiali e la produzione

I tessuti erano risorsa scarsa nella DDR. Il cotone era troppo caro e i capi in pelle, ma anche i jeans, erano una merce rara e difficile da comprare. Data la mancanza di stoffe, la DDR tentò di creare dei tipi di tessuti sintetici per imitare il jeans e la pelle. A questi se ne accostavano degli altri con motivi floreali, che i giovani dell’epoca non disdegnavano. Il DeDeRon imitava il poliestere, mentre il Lederol sembrava una similpelle. Il risultato estetico non era del tutto negativo, ma andava a scapito della comodità che certe stoffe naturali riuscivano a fornire. Alcuni testimoni, infatti, raccontano di proverbiali sudate all’interno dei vestitini in DeDeRon. La moda di Berlino Est era sempre un passo indietro rispetto alla moda occidentale e, nonostante gli sforzi per progettare una moda socialista indipendente ed innovativa, le collezioni finivano sempre per essere la copia scadente di quello che in Occidente era già sul mercato.

Ciò accadeva perché la lenta macchina dell’economia pianificata rendeva la produzione stagnante. Anche quando i designer orientali erano creativamente al passo col resto d’Europa, la produzione era comunque in ritardo. Il governo preferiva investire sulle fibre sintetiche perché ciò avrebbe aiutato l’industria chimica orientale e la classe lavoratrice. La DDR non aveva sufficienti risorse per importare materiali e quando decideva di farlo si rivolgeva soprattutto al blocco sovietico. Questo non portò a un miglioramento significativo della qualità dei tessuti, alimentando nella popolazione una mitizzazione della moda occidentale. Proprio la qualità dei tessuti, data da fibre sintetiche, cuciture e colori poco resistenti, non ha mai soddisfatto i consumatori. Dopo il crollo del Muro, così, interi guardaroba furono bruciati. Motivo per cui non è facilissimo oggi reperire capi della moda socialista. Non è mai stata apprezzata e i tedeschi orientali se ne sono liberati appena è stato possibile.

Sybille

Nella DDR c’era anche un’importante rivista di moda, Sybille. Portavoce del progetto del Modeinstitut Berlin, tra le più importanti scuole di moda della DDR assieme alla sezione della Kunsthochschule Berlin. In questa sede gli studenti, futuri operatori di moda, erano educati alla missione nazionalista di far diventare l’abbigliamento della Germania orientale il migliore in Europa. Lo stesso Modeinstitut di Berlino Est produceva le Musterkollektionen. Una sorta di campionario-modello a cui si doveva ispirare l’industria della moda della DDR che veniva in seguito pubblicato da Sybille. Questa rivista, però, dava molto spazio ai marchi più costosi in boutique esclusive, dunque inaccessibili alle masse. Motivo per cui tante famiglie medie non la trovavano interessante. La maggior parte della popolazione, infatti, poteva permettersi di acquistare prodotti solo nei grandi magazzini come i Biwa Laden. Negozi specializzati nella vendita di accessori e abbigliamento di scarsa qualità e a basso costo.

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I musei

Attualmente si possono osservare vestiti dell’epoca solo in poche circostanze. Lo Stasi Museum di Berlino ospita un’interessante sezione su mode e stili di vita consigliati dal regime e sulla ribellione estetica giovanile. Il museo della DDR dedica una bella sezione alla moda socialista. Un grande armadio ospita gli abiti che quotidianamente utilizzavano le persone residenti nella parte orientale di Berlino. A confronto si trovano un paio di Levi’s, jeans occidentali per eccellenza, e a fianco i Boxer, l’alternativa orientale. Il Levi’s era un oggetto di culto per i giovani tedeschi orientali. Come d’altronde succedeva in tutto il resto d’Europa. Ma inizialmente per il partito coloro che indossavano i jeans occidentali erano considerati ribelli.

Dall’inizio degli anni Settanta, però, i Levi’s si trovavano anche nelle boutique Exquisit, solo che il prezzo – 275 marchi, un terzo dello stipendio mensile di un operaio – li rendeva un bene di lusso accessibile solo a pochi facoltosi. A partire dalla fine degli anni Sessanta anche nei Paesi del blocco sovietico si era cominciato a produrre i jeans. Questi non rappresentavano più un atto di ribellione, a patto che fossero di produzione socialista. Accanto al marchio Boxer, se ne potevano trovare anche degli altri come Winsent, Shanty, Goldfuchs. Questi pantaloni furono venduti in grandi quantità perché erano gli unici in commercio. Sebbene stilisticamente meno attraenti dei Levi’s.

Vestire come un Ossi oggi

Uno dei più grandi punti vendita vintage di Berlino per la moda DDR è Stiefelkombinat, sulla Oderberger Straße, nel quartiere di Prenzlauer Berg. Qui ci sono abiti e accessori per una datazione che va dagli anni Sessanta ai primi anni Novanta (ma in realtà anche capi di epoche precedenti). Quello che sorprende è la quantità impressionante di calzature, soprattutto stivali neri. Minuziosamente collocati a formare pareti divisorie di un corridoio che sembra non finire mai. Sempre sulla stessa strada si trova Veb Orange. Altro punto vendita vintage che è dichiaratamente tematico e raccoglie tutti i cimeli del periodo della DDR.

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