«Io, vietnamita, vi racconto la mia vita da Gastarbeiter nella DDR»
Non diciamo niente di nuovo affermando che Berlino è una città multiculturale. Ma quanto è facile per un italiano ignorare le realtà degli altri espatriati? Abbiamo intervistato un ex lavoratore vietnamita della DDR, residente in Germania da trent’anni.
«Ho una forte nostalgia della mia terra, il Vietnam. Per me casa è quel posto dove sono stato bambino e dove ho lasciato mia madre. Rimarrò in Germania fino alla pensione. E poi tornerò a Hanoi». Tuan Bac Le ci accoglie nella sua sartoria su Danziger Straße, nel quartiere berlinese di Prenzlauer Berg. Seduto dietro il bancone tra abiti da rammendare, macchine da cucire e rocchetti, ci racconta pacatamente del suo passato e del suo presente: classe 1957, ingegnere di professione, Tuan Bac Le è approdato in Germania nel 1988 in qualità di Vertragsarbeiter (lavoratore a contratto), quando la Repubblica Democratica Tedesca intratteneva accordi di reclutamento con diversi Paesi socialisti, tra cui appunto il Vietnam.
Fino al 1989 circa 60.000 cittadini vietnamiti vivevano stabilmente nella DDR. Dal 1 maggio 2016 Tuan Bac Le ha un permesso di soggiorno a tempo illimitato. A fronte di quasi 30 anni di vita in Germania, parla un tedesco zoppicante, con una marcata inflessione asiatica. Malgrado le difficoltà linguistiche, la calma e la serenità che infonde in ogni parola aiutano a superare gli ostacoli comunicativi: Tuan Bac Le racconta del suo arrivo a Chemnitz (allora Karl-Marx-Stadt), degli stenti della vita da Vertragsarbeiter nella DDR, della caduta del Muro, dell’importanza della famiglia e della comunità vietnamita in Germania.
La vita da Vertragsarbeiter nella DDR
«Decisi di lasciare il Vietnam perché desideravo specializzarmi a livello professionale, ma pensavo sarebbe stato soltanto temporaneamente. Avevo intenzione di rientrare a Hanoi nel giro di poco tempo e invece eccomi ancora qui. Il mio primo approdo sul suolo tedesco fu Chemnitz: vi arrivai nel 1988 in un gruppo di circa 120 Vertragsarbeiter vietnamiti. Le nostre famiglie rimasero a casa perché non era permesso portarle con sé.
Inizialmente lavorai come arrotino nel gruppo industriale IFA (n.d.r. Industrieverband Fahrzeugbau, Associazione industriale per la costruzione di veicoli) e per tre mesi frequentai dei corsi di tedesco obbligatori. I soldi erano pochi: guadagnavo 1200 marchi al mese, che mettevo da parte per i miei familiari in Vietnam, sperando un giorno di tornare o di trasferirmi insieme a loro a ovest. L’accordo tra DDR e Vietnam prevedeva l’impiego dei Vertragsarbeiter nella Germania Est per un periodo di tempo limitato a cinque anni, ma nel mio caso gli anni furono soltanto due perché con la caduta del Muro di Berlino il 9 novembre 1989 iniziò anche il disfacimento della DDR».
La caduta del Muro
«All’epoca della DDR riuscii a trascorrere circa tre ore a Berlino Ovest. Tutto era molto diverso lì. Era evidente che si trattava di un Paese capitalista e c’erano tanti stranieri provenienti da ogni parte del mondo. Fu così che iniziai a desiderare ardentemente che il Muro cadesse e poi improvvisamente capitò davvero e ci fu una sola Germania. Il 9 novembre 1989 mi trovavo nella mia abitazione a Chemnitz e vidi alla televisione quello che stava succedendo a Berlino. Non mi sorprese affatto perché avevo già sentito dire nella fabbrica dove lavoravo che alcuni cittadini della DDR erano fuggiti a Ovest passando per Dresda e per la Cecoslovacchia. Sapevo che prima o poi sarebbe arrivata la svolta.
La caduta del Muro per me significò l’indipendenza, in primo luogo lavorativa. Se fossi tornato in Vietnam la DDR mi avrebbe pagato un indennizzo di 4000 marchi tedeschi, ma decisi di rimanere perché ero convinto che avrei avuto molte più possibilità di crescita professionale qui, anche se devo ammettere che non fu affatto facile: non avevo idea di quali decisioni fosse meglio prendere per emergere in ambito lavorativo, non me la cavavo molto bene con il tedesco e non potevo contare su un rilevante capitale di partenza. Dovetti vendere degli oggetti per racimolare denaro, ma nonostante le difficoltà iniziali, la riunificazione per me fu un avvenimento decisamente positivo.
Sebbene tutto nella DDR fosse più semplice, lì facevo fatica a sopravvivere: nei primi tre mesi da lavoratore autonomo nella Germania unificata guadagnai più di quanto avevo fatto nei due anni precedenti. Per questo decisi di continuare a lavorare sodo per portare qui anche la mia famiglia. Da Chemnitz mi spostai a Dresda, dove aprii un ristorante: preparavamo cibo cinese, perché era difficile reperire i prodotti della cucina vietnamita. Il locale funzionava bene e avevamo tanti clienti».
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La discriminazione
«La caduta del Muro e il fermento che la precedette ebbero anche degli effetti negativi per noi Vertragsarbeiter. Nei tre mesi precedenti e successivi il 9 novembre 1989, gruppi di skinhead vestiti di nero giravano per le strade di Chemnitz, Dresda e Berlino prendendo di mira gli stranieri. Prima di allora si poteva tranquillamente stare fuori, anche di notte, ma poi iniziarono a intensificarsi gli episodi di discriminazione. Per questo rimanevo spesso a casa. Penso che la causa dell’esplosione di questo odio nei confronti degli stranieri fu il fatto che – a differenza di quanto succedeva nella DDR – non si riceveva più un impiego in automatico una volta completati gli studi: nella Germania unificata ognuno diventò a tutti gli effetti artefice del proprio destino, il tasso di disoccupazione crebbe e qualcuno se la prese con gli stranieri».
Il trasferimento a Berlino
«Mia moglie e i miei due figli mi raggiunsero a Dresda nel 1996. Poco dopo ci trasferimmo a Berlino. Nessuno di loro parlava una parola di tedesco. Per questo dovevo accompagnarli ovunque andassero. Tre volte alla settimana andavo a prendere i miei figli a scuola, li portavo al corso di tedesco e tornavo a prenderli un’ora dopo. Fu un periodo molto stressante, perché insieme a mia moglie dovevo anche gestire un negozio di alimentari nel quartiere di Lichtenberg.
Per i primi anni funzionò molto bene, ma dal 2003, quando di fronte al negozio aprì un supermercato Lidl, iniziò a esserci troppa concorrenza e mi spostai a Prenzlauer Berg. Da allora gestisco questa sartoria sempre insieme a mia moglie. Pur trattandosi di un business di portata minore rispetto al negozio di alimentari, oggi come oggi posso dirmi soddisfatto: non sono più giovane e in forze come una volta e ancor meno in grado di lavorare quanto prima. Ad ogni modo abbiamo un numero sufficiente di clienti per andare avanti».
La comunità vietnamita
«La comunità vietnamita a Berlino è molto vasta. Per me è fondamentale coltivare il legame con il mio Paese attraverso di essa: due o tre volte la settimana mi incontro con amici vietnamiti per passare del tempo insieme, a casa oppure al Dong-Xuan-Center. Per lo stesso motivo ho fatto in modo che i miei bambini mantenessero la lingua vietnamita oltre al tedesco.
Quando erano piccoli, per farli esercitare compravo loro il giornale vietnamita per ragazzi, in vendita al Dong-Xuan-Center o nel precedente Ring Center sulla Ringstraße. Dovevano dedicare due ore la settimana alla lettura e poi completare un piccolo test linguistico che preparavo per loro. È stata dura spingerli a studiare anche il vietnamita. Mia figlia in particolare non ne voleva sapere. Ma i miei sforzi hanno dato i loro frutti. Oggi i miei figli sono adulti e hanno sposato altri membri della comunità. Per me era completamente indifferente chi avessero sposato, ma forse questo significa che anche loro sentono un forte legame con il proprio Paese d’origine».
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Nella foto di copertina: Tuan Bac Le insieme al figlio
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