Io, italiana, tornata dall’Erasmus, non vedo l’ora di tornare in Germania e vivere a Berlino
Cinque mesi possono sembrare tanti. Anzi, possono sembrare infiniti quando sei seduto all’aeroporto e stai per salire su un aereo che ti porterà in una città sconosciuta, dove non conosci nessuno, in un paese di cui sai la lingua solo quanto basta per sopravvivere. Sembrano una montagna insormontabile, quando stai imbarcando quel bagaglio più grande di te, dentro cui hai il necessario (magari solo quello…!) per cominciare un nuovo scorcio di vita.
Le domande sono tantissime: come sarà e soprattutto cosa mi darà questa nuova città? Chi saranno gli amici indimenticabili? Come farò a seguire i corsi in tedesco? E davanti c’è un orizzonte senza forma, che non riesce a prendere nessuna sembianza, solo quella della paura, che si mescola all’emozione. Così vedevo il mio Erasmus, quando il 26 settembre 2014 ho preso un volo per Düsseldorf , la città a cui sono stata destinata, e dove avrei passato i prossimi cinque mesi.
Poi, puntualmente, ogni 30 del mese alzavo gli occhi e dicevo: è già passato un altro mese. E quel tempo che prima era solo davanti a me, come se scivolasse lungo il canale di una clessidra, iniziava a passare alle mie spalle. Giorno dopo giorno, mese dopo mese, costruendo amicizie che sarebbero rimaste dentro la mia pelle, la mia testa, dentro la mia risata, e nella nuova persona che stavo diventando, imparando a conoscere quelle strade che fino a ieri erano sconosciute, chiamando casa quella che lo è stata solo per alcuni mesi, avvertendo familiare quell’edificio un po’ tetro che era l’università, i cinque mesi sono passati.
Mi sono ritrovata in fretta e con un nodo alla gola al 27 febbraio, data in cui sono risalita sull’aereo, questa volta con una prova ancora più difficile da superare: trovare la forza di lasciare. Ancora. Lasciare un’incertezza che era diventata certezza, lasciare sconosciuti che sono diventati una famiglia, lasciare una città anonima che è diventata lo sfondo delle mie mille avventure, belle e brutte, in ogni caso indimenticabili.
Io lo dico sempre: l’Erasmus non è tanto la prova che si è forti per partire e andare lontano, da soli, ma il coraggio di ritornare indietro, là dove tutto era cominciato. Ritornare a quel punto in cui, mesi prima, non c’erano contorni al proprio futuro, e dove ora quei contorni ti rincorrono come un’ombra difficile da scrollarsi di dosso.
Tornare è stato difficile, ma non impossibile. La Germania è un paese che mi fa sentire a casa, che mi dà sicurezza e prospettive. Per questo sono ritornata in Italia solo grazie a un nuovo obiettivo: ripartire. L’esperienza dell’Erasmus a Düsseldorf è stata per me l’ennesima conferma di rientrare in quella categoria di italiani in fuga. Espressione che andrebbe corretta con: italiani in esplorazione. Non sento che la mia sia una fuga, perché se ho capito una cosa è che stando lontani, si ritorna ad apprezzare casa propria. Quanto mi è mancato il mare, i sapori, i colori e gli occhi familiari di casa? Tanto. Tanto da dire, per la prima volta, “voglio restare un po’ a casa”.
Ma in fondo è solo un capriccio del tempo, quello che mi concedo. Devo laurearmi ed è questo che mi ha dato il motivo per tornare e per restare, spero per gli ultimi sei, otto mesi, in Italia.
Perché la mia prossima meta si chiama Berlino ed è la mia meta dal 2009, quando a sedici anni sono andata a visitare quella città per la prima volta, capendo che sarebbe stata la città della mia vita.
Di pazienza ne ho dovuta avere tanta, tantissima. Ed è la stessa che mi sta accompagnando durante questi ultimi mesi.
Berlino non è mai stata la prospettiva di un “Erasmus da durata eterna”, né tanto meno ora sarà un “nuovo Erasmus”. Perché l’Erasmus che ho vissuto è stato unico e irripetibile, ha i suoi sfondi e le sue facce precise, che non possono essere sostituite. Perché Berlino non è una città Erasmus, ma un luogo e una scelta di vita, qualcosa in più.
Berlino è la città che mi ha fatto scegliere di non continuare ancora il mio Erasmus, è la città per cui ora credo stia valendo la pena rimanere in Italia, perché è un orizzonte di grandi prospettive. Vielfältig è l’aggettivo più azzeccato per descrivere l’atmosfera della capitale, e significa “di tanti tipi, con tante facce”. Berlino mi è sempre stata cara, perché è come un porto sicuro, dove intravvedi migliaia e migliaia di potenziale. Un luogo che può offrirti qualcosa che va al di là dell’ordinario e perfino oltre lo straordinario, è a un livello intermedio e obliquo dove “fuori dagli schemi” e “fuori dal comune” sono le parole chiave, senza ombra di snobismo o di vanto ostentoso.
E’ un binario che esce dal percorso, ma in sordina, un parco giochi per bambini “diversi”, un campo di prova per chi ha voglia di vivere una tranquillità (o isteria?) creativa. E’ quello spazio dove poter vivere le contraddizioni senza sentirsi sbagliati, dove sono proprio le contraddizioni a lasciare uno spazio alternativo a chi decide di non vivere dentro un cubo, ma respirare le mille e una occasioni.
Che stia sfociando nell’ideale, forse un po’ ve lo concedo. Eppure vorrei poter ancora non sfatare il mito di questa mia città, non cadere nel pessimismo (realismo?) di chi sostiene che Berlino stia cambiando e che presto le sfere concrete della vita (economia, finanza, politica) sciuperanno la magia che sei anni fa mi ha stregata e mai lasciata. Il punto è che Berlino, semplicemente, è grande e piena di stimoli. Un mondo ideale per chi, come me, ancora non ha focalizzato un punto fermo nel proprio futuro, forse perché ha bisogno di bussare a più porte e aspettare sulla soglia di una o più di queste un invito davvero attraente, a cui dire sì senza rimorso. E’ un ambiente che si addice alla mia personalità, a quegli schemi e non schemi che regnano nella mia testa. E’ una libertà abitabile e confortevole per chi cerca un altro modo. Un altro mondo.
Ecco perché l’ho scelta per la mia prossima partenza. Sperando che sia lei una nuova occasione, o forse proprio quell‘occasione che aspettavo per fare tutti i salti tanto attesi verso un nuovo capitolo.
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