Il mito delle Trümmerfrauen, le “donne delle macerie” che ricostruirono la Germania dopo il 1945
Terminata la Seconda Guerra Mondiale, nel 1945 Berlino si trovò ricoperta dai detriti. Le “donne delle macerie” contribuirono alla sua ricostruzione.
Il secondo conflitto mondiale terminò in Germania nel maggio 1945. Berlino era un cumulo di detriti, calcinacci e macerie. In una città senza uomini (molti erano morti, feriti o traumatizzati), le donne si rimboccarono le maniche e smistarono i detriti verso zone periferiche.
Le Trümmerfrauen: le “donne delle macerie”
Nel 1945 erano 67 milioni i metri cubi di macerie che occupavano le strade di Berlino. Pietre, travi, calcinacci, pezzi di ferro che dovevano essere rimossi per permettere alla città di tornare a vivere. La maggior parte degli uomini (quelli tra i 18 e i 55 anni) erano stati in guerra e, se erano tornati, erano feriti e sconvolti. Le donne erano state testimoni dei bombardamenti, molte di loro erano cadute vittima di casi di violenza da parte degli ufficiali sovietici. Il numero di suicidi femminili era alto. Ciononostante le “donne delle macerie” si rimboccarono le maniche per permettere la ricostruzione. Fazzoletti in testa e pantofole di pezza ai piedi, raccolsero e smistarono i detriti. Li suddivisero per grandezza e tipologia, impiegandoli nella costruzione di nuove case o nella realizzazione di colline artificiali. Una di queste è l’attuale Teufelsberg, il cui nome tradotto significa la “montagna del diavolo”.
Il libro di Leonie Treber racconta un’altra verità sulle “donne delle macerie”
Leonie Treber è una storica tedesca formatasi all’università di Darmstadt. Ha dedicato anni di ricerche alla storia della ricostruzione tedesca dopo la Seconda Guerra Mondiale e al mito delle Trümmerfrauen. Nel 2014 ha pubblicato un saggio intitolato “Mythos Trümmerfrauen” nel quale ha raccontato una verità diversa suscitando numerose polemiche. Le “donne delle macerie”, infatti, sarebbero parte del mito (spesso enfatizzato) della ricostruzione tedesca dopo gli orrori del nazismo. La maggior parte di loro non erano volontarie. Rimaste vedove, lavorarono in cambio di paghe misere per mantenere i loro figli. A Berlino, inoltre, la popolazione femminile coinvolta nella ricostruzione ammonterebbe a poco più del 5%. La Treber svela che gran parte dei lavori di smistamento dei detriti fu affidata a ditte specializzate. Imprese edilizie che attraverso l’uso di macchinari rimossero gli oltre 400 milioni di macerie dell’intera Germania. In un’intervista alla Süddeutsche Zeitung, la Treber ha riconosciuto il ruolo del mito delle “donne delle macerie”. Una storia emozionante che non corrisponde, però, alla realtà dei fatti.
Come le due Germanie hanno raccontato le Trümmerfrauen
Pur essendo frutto di un mito, le “donne delle macerie” sono state raccontate e rappresentate più volte. Vi sono statue a loro dedicate che rendono evidente la diversa iconografia che ne è stata fatta. A Berlino Est (nel quartiere di Mitte, nell’area verde adiacente al Rotes Rathaus), una scultura realizzata da Fritz Cremer ritrae una donna fiera con un badile sulle spalle. La lavoratrice impegnata in attività solitamente maschili evocava, ad Est, l’ideologia marxista fondata sul lavoro e la parità di genere. Al contrario, ad Ovest, il mito ottenne connotazione positiva solo negli anni ’80, grazie al contributo delle lotte femministe. Una scultura di Katharina Singer (nel quartiere di Neukölln, al Volkspark Hasenheide) raffigura una donna seduta che evoca la figura materna e rappresenta il momento in cui la donna ha finito il suo lavoro e può tornare alle mansioni che le appartengono.
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Immagine di copertina: Zweibrücken, Studenten beseitigen Schutt – Vollrath – CC 3.0