Dall’Italia si scappa: nel 2016 più emigranti che immigrati
Il numero degli italiani all’estero è di nuovo in crescita e quasi raggiunge i livelli del Dopoguerra.
«Ci siamo dimenticati di essere figli di emigrati»: canta così un noto artista italiano dalla folta capigliatura in un suo celebre brano. Una frase che ricorda come già in passato una parte del popolo italiano sia stata costretta a lasciare la propria terra in cerca di un futuro migliore. Di recente il fenomeno ha coinvolto proprio i figli e i nipoti della vecchia generazione di emigrati. Negli ultimi anni il numero dei connazionali che hanno lasciato l’Italia per recarsi all’estero è aumentato. I dati non sono confortanti. Secondo le anticipazioni del Dossier 2017 del centro studi Idos riportate in un articolo del Sole 24 Ore, oltre 250.000 italiani hanno lasciato il Belpaese per l’estero nel 2016, quasi quanti nel Dopoguerra (300.000) e molti di più degli stranieri immigrati in Italia nello stesso anno (181.000).
Un fenomeno ciclico. I dati
L’emigrazione italiana all’estero ha iniziato a manifestarsi in maniera significativa già dagli inizi del secolo scorso. È proseguita negli anni ’50 e ‘60 del Novecento, per poi diminuire tra gli anni ’70 e i 2000. In quel periodo l’Italia ha vissuto momenti di benessere e di stabilità economica. Dal 2008 la situazione ha però iniziato a cambiare. L’ultima crisi economica ha infatti inciso notevolmente sui movimenti degli italiani verso l’estero. In base a quanto illustrato dal comunicato stampa del Dossier Statistico Immigrazione 2017, elaborato dal Centro studi e ricerche Idos e Confronti, oltre 114 mila persone hanno lasciato l’Italia nel 2016. Bisogna tenere però presente che i flussi effettivi sono registrati con più esattezza negli istituti dei Paesi di destinazione. Là i numeri risultano maggiori di circa due terzi rispetto a quelli segnalati dalle anagrafi italiane. In questo caso si raggiungerebbe per il 2016 la cifra di 285.000 trasferimenti all’estero, un livello paragonabile all’immediato dopoguerra o agli ultimi anni dell’Ottocento. In più vi è un’altra considerazione da fare: il numero dei nuovi iscritti all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero) nel 2016 è più alto rispetto a quanto segnalato dalle altre fonti.
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Cervelli in fuga
Gli emigranti italiani degli anni ’50 erano in gran parte persone poco istruite. Nel Paese ospitante andavano a svolgere lavori per cui non era richiesta una specifica qualifica professionale. Nel caso delle recenti emigrazioni si osserva invece un’inversione di tendenza. Secondo le stime contenute nel Dossier Statistico, tra gli italiani con più di 25 anni emigrati nel 2016 i diplomati sono 39.000 e i laureati 34.000. Un tipico caso di fuga dei cervelli. Tuttavia, alcuni giovani ricercatori italiani non si identificano in questa definizione oramai inflazionata. La maggior parte di loro darebbe una risposta diversa. Più che scappati dall’Italia e dalle università italiane, i nostri emigranti sono stati mandati via, non ottenendo rinnovi dei contratti di ricerca o essendo impossibilitati a svolgere la propria funzione. Ciò rappresenta una perdita per lo Stato italiano. Su ogni studente è stato investito del denaro: 90.000€ per ogni diplomato, 170.000€ per ogni laureato e 228.000€ per ogni dottore di ricerca. In poche parole lo Stato italiano spende dei soldi per formare un cittadino, ma questi, nel momento in cui decide di trasferirsi all’estero, non contribuisce più allo sviluppo e alla crescita economica dell’Italia. E i benefici spettano tutti al Paese ospitante.
Le destinazioni principali
La maggior parte di noi ha un amico o un parente che si è trasferito nel Regno Unito. Di solito chi lo fa ha due desideri: imparare bene la lingua inglese e trovare un lavoro meglio retribuito. Londra è ancora oggi una delle mete preferite dagli italiani che vogliono iniziare una nuova vita all’estero. Accanto alla Gran Bretagna, la Germania è l’altra destinazione preferita dagli italiani, forte della grande offerta di lavoro e della congiuntura economica favorevole. In particolar modo Berlino è stata la meta di molti nostri connazionali negli ultimi cinque anni. Chi vive nella capitale tedesca da un po’ di tempo potrà confermare questo aumento esponenziale, in particolar modo nelle zone di Friedrichsain, Kreuzberg e Prenzlauer Berg. In Europa le destinazioni che seguono Germania e Regno Unito sono Austria, Belgio, Francia, Paesi Bassi e Svizzera. Oltreoceano invece si preferiscono Argentina, Brasile, Canada, Stati Uniti e Venezuela.
I dati OCSE sull’Italia
Come descritto nell’articolo del Sole 24 Ore, anche l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico ha segnalato il problema italiano nel suo ultimo report sui migranti. L’OCSE ha fatto presente che l’Italia è tornata a essere tra i Paesi più soggetti al fenomeno dell’emigrazione. Si è meritata infatti un ottavo posto nella graduatoria mondiale. Un “scalata” di cinque posizioni rispetto a dieci anni fa. Al primo posto della classifica si trova la Cina. Seguono Siria, Romania, Polonia e India. L’Italia è subito dopo il Messico e davanti a Vietnam e Afghanistan. Questi dati dimostrano come l’Italia faccia ancora fatica a riprendersi da una situazione economica sfavorevole che dura da quasi dieci anni. In più si sta perdendo di vista una generazione di persone che potrebbero migliorare il futuro del Paese ma, date le attuali condizioni, preferiscono farlo altrove.
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Foto di copertina: The long line © Mike Knell CC BY-SA 2.0