A Berlino, una startup di design “assume” solo immigrati clandestini
I rifugiati di Oranienplatz costruiscono mobili di design, un’azienda li vende: nella realtà, nulla di questa storia dovrebbe esistere.
Malik Agachi, 21 anni, un Tuareg del Niger, è un rifugiato passato dal Centro di Accoglienza di Lampedusa. Ha vissuto per lungo tempo al campo di Oranienplatz e oggi non ha il permesso per stare in Germania. Non potrebbe in nessun caso stare in un laboratorio di Treptow a grattare un pezzo di legno di pino con della carta abrasiva per costruire la base di una sedia per bambini. Ma ha deciso di farlo comunque.
Malik Agachi lavora in un’impresa di nome Cucula, “Compagnia di rifugiati per le arti e il design”, ossia una piccola azienda formata da un gruppo rifugiati clandestini e che si occupa di artigianato e design. A Cucula si costruiscono mobili: sedie, tavoli, panche, letti. Quando possibile, per costruire gli oggetti si utilizzano resti dei relitti di Lampedusa. Naturalmente, Malik non lavora, perché non ne ha il permesso. E in realtà Cucula non è nemmeno un’impresa vera e propria, ma un progetto che funziona come se lo fosse: per Cucula, Malik ha un contratto di praticantato formativo, l’unica soluzione burocratica apparentemente accettata dalle istituzioni tedesche.
“Noi ci confrontiamo con la realtà” – afferma Corinna Sy, che fa parte del team del progetto Cucula – “tutti gli altri dovranno dovranno abituarcisi”. I ragazzi di Cucula di strada ne hanno già fatta parecchia: addirittura sono arrivati fino a Milano, a Ventura Lambrate per la precisione, in occasione del Milano Design Week 2014.
L’esperienza del laboratorio di artigianato è iniziata circa un anno fa. I cinque ragazzi di Oranienplatz impegnati nel costruire mobili e oggetti di arredamento sono Malik, Ali Maiga Nouhou, Moussa Usuman, Saidou Moussa e Maiga Chamseddine. Sono tutti rifugiati passati da Lampedusa e oggi frequentano regolarmente un corso di tedesco presso lo Schlesische 27, un centro culturale e giovanile di Kreuzberg da dove è partita l’idea del progetto Cucula.
Quelli costruiti da questi ragazzi non sono dei pezzi di arredamento qualsiasi, i loro disegni traggono infatti spunto da un progetto di Enzo Mari, artista e designer italiano che nel 1974 pubblicò il libro “Autoprogettazione”, un volume che contiene le istruzioni per costruire mobili solo con l’aiuto di tavole e chiodi: un’arte quindi a fonte aperta, accessibile a tutti.
In ogni caso, il progetto Cucula è innanzitutto importante per il concetto di lavoro ed impegno sociale che prova a portare avanti, piuttosto che per i mobili in sé, si tratta infatti di un tentativo di trovare una maniera concreta per garantire ai ragazzi di Oranienplatz impegnati nella costruzione la possibilità di rimanere regolarmente in Germania. A finanziare la start-up è Anneliese Boedecker, figlia del fondatore della Weberbank, una delle più importanti banche di investimento del Paese.
Nella prefazione di “Autoprogettazione”, Enzo Mari scrive questa frase: “L’autore spera che la sua idea verrà estesa nel futuro”. Certo non poteva immaginare cosa sarebbe successo a distanza di così tanti anni. Sulla parete del laboratorio di Cucula oggi è appesa una foto. Si nota un uomo anziano, con la barba bianca. “Il nostro capo”, dice Malik Agachi. È Enzo Mari. “Lo conosci?” “Sì, certo”, risponde Malik. I ragazzi di Cucula sono andati a trovarlo quando sono stati a Milano.