“Niente di Vero” presentato a Berlino da Veronica Raimo
“Niente di Vero”: il Premio Strega Giovani a Berlino
Veronica Raimo ha presentato il premiato “Niente di vero” allo Strega Giovani 2022, il 16 marzo 2023 al f³ – freiraum für fotografie,.
Nascosto dietro le teste dei suoi lettori, il romanzo fa capolino attraverso le dichiarazioni dell’autrice, che sembra voler inquadrare il libro dentro ad una scelta di mercato.
La dimensione ironica emerge come l’aspetto fondamentale del libro, dato che si evince dalle dichiarazioni della stessa autrice alla presentazione, inizialmente il testo doveva essere un monologo per uno spettacolo comico. Il tono rimbalza tra la comicità ed il cinismo, che dialogano molto bene nella narrazione, ma rischiano di risultare fini a ste stessi e fraintendono il reale valore del libro.
Un testo chiaro che, però, si scontra con le criticità della sua interpretazione. Veronica Raimo ha partorito un ottimo romanzo, vincolato dal mercato al genere del romanzo di formazione, ma che cerca in tutti modi di sgusciare fuori dalla categoria. Una fuga inconsapevole che inquadra la narrazione in un campo molto stretto: guarda il passato, leggendolo nelle proprie incongruenze.
Il libro che sorprende stilisticamente
Il romanzo si legge bene, grazie ad una scrittura asciutta ed efficace. Il racconto fluisce senza ostacoli: né linguistici, né contenutistici. Una serie di suggestioni molto cinematografiche, come il racconto del rapporto con lo spazio intimo, fisico, sociale, culturale e mentale, della protagonista, che non sfocia mai in descrizioni fini a se stesse. Una bambina che cresce in circostanze claustrofobie, che prende coscienza delle forme da adulta quasi per sottrazione rispetto ad i suoi parametri culturali di riferimento e, infine, legittima il suo racconto con la bambina dell’inizio del racconto, che si svela nelle logiche del narratore.
Il rapporto con il nonno è emblematico fin dall’inizio del libro poiché è l’unico personaggio che, dalla protagonista, non pretende niente, neanche una morale dietro le storie che racconta.
“Per me scrivere è essenzialmente questo. Scrivo cose ambigue e frustranti. Anche le poche favole che scrivevo da bambina erano cosí. C’era una spiga che era cresciuta in un bosco.
– E com’è successo? – mi chiedeva mio nonno.
– Non ne ho idea.
La storia finiva lí. A mio nonno stava bene. A me pure.”
L’estratto di “Niente di Vero” chiude letteralmente il racconto e mette un punto a quella ricerca della verità che la protagonista del racconto subisce. Un contesto, come quello familiare, che la interroga, come fosse accusata sempre di qualcosa; oppure arriva al “paradosso” nel confrontarsi con il bisogno di senso che non sta da nessuna parte, perché è lì che deve stare.
Veronica non costringe i suo racconti a contenitori di morali. Accetta il compromesso ambiguo, tra lei ed il contesto, che poi diventa la nota caratterizzante del racconto. Un finto climax quello della narrazione, che si evolve ma ritorna su stesso. Nella costruzione della storia, sembrano apparire categorie psicoanalitiche, che fanno un po’ da riferimento nella lettura degli eventi. Alla lettura, questo aspetto, si pone come un elemento ordinatore di un flusso di coscienza che segue se stesso, i ricordi e tutto ciò che è stato in grado di manipolare.
Romanzo “ironico”: il vizio di forma di “Niente di vero”
L’ironia è il vizio di forma del libro come dell’autrice. L’impianto ironico sottende una forte tragicità, che come un fluido cerca un contenitore, trovando solo ruoli, come la bambina del racconto: sono le forme dell’adulta che introiettano il vuoto della bambina, ed è la tensione dei pesi tra la responsabilità di essere qualcosa, ma non esservi mai riconosciuti, a conferire autorevolezza alla narrazione.
Una serie di tormentoni costellano il racconto, familiari all’immaginario dell’autrice, endemici al racconto. Un’ironia che fraintende un po’ il romanzo, che si ritrova come tra i muri della casa della protagonista. Iniziano a circoscrivere un nucleo e moltiplicarsi, fino a quando il nucleo non sa più a che casa appartiene.
Una colorata, e un po’ abbozzata, identità territoriale che, attraverso la caricatura disegnata dall’autrice, fa tanto ridere i tedeschi e riflettere gli italiani. Una asimmetria semantica tra il Sud Italia e Berlino, che diventano nella narrazione due opposti: il sud come monolitico impianto culturale che si esaurisce nella sua esportazione commerciale, e Berlino come un insieme di possibilità in potenza.
Veronica Raimo conduce il romanzo tra le domande e le risposte dei lettori
Interessanti i passaggi in cui sottolinea che non sa nuotare. Racconta l’episodio della piscina e, nella sua narrazione, le azioni della protagonista sembrano in balia di onde schizofreniche, imprevedibili e paradossali. La famiglia non si sceglie: galleggi tra le forme cercando di non annegarci e, quando impari a nuotarci in mezzo, sono già tutti morti.
La dimensione spaziale è importante, anche se non esplicitata con grandi descrizioni. Non c’è euforia nella narrazione; della cinica ironia e autoironia che, nonostante sia integrata alle forme del racconto con gusto, risulta un po’ fine a se stessa. Posiziona il libro, rivolgendosi solo a chi sa già che lo leggerebbe. Non avrei letto il romanzo di Veronica Raimo se non avessi dovuto scrivere sul premio Strega Giovani. Non sono il suo pubblico “usuale”. Ho riscontrato una forte distanza tra gli intenti delle mie domande con le sue risposte resistenti. Mi sono sentito escluso in quanto lettore, per aver provato a leggere un libro al di fuori di uno schema che fa leva sulle categorie e non sulla letteratura. Non sono un suo lettore “usuale”, ma il romanzo mi è piaciuto.
Conclusioni
Il limite, in “Niente di Vero”, tra narratore e personaggio, demarca esperienze e modi sbagliati, che costruiscono la protagonista e la modellano nella storia. La coscienza infantile si traveste di consapevolezza, sembrando certe volte più anziana di quanto non sia per il tono sarcastico del narratore. I punti di riferimento rispondono a dinamiche con cui il narratore non vuole farci interagire, lasciando sepolta la natura della bambina, nel racconto di formazione, di un’identità in grado di narrare e non solo di agire.
La rivendicazione femminista, nel romanzo, passa dal rifiuto del ruolo, che nuota nell’inconsistenza di una crescita che sembra essere un processo di svuotamento. La narrazione torna alla bambina dell’ inizio del racconto, portando la voce consapevole di una scrittrice che è cresciuta attraverso quel vuoto di senso, che la spinge a dargli diritto di esistenza, cercando di raccontarlo.
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