Feuerle Collection, il suggestivo museo berlinese in un bunker della II Guerra Mondiale
The Feuerle Collection: il suggestivo museo in un bunker della Seconda Guerra Mondiale per un’esperienza unica al mondo
La Feuerle Collection è il frutto del lavoro di collezione e curatela messo a punto da Désiré Feuerle, storico e conoscitore d’arte, Sara Puig, fondatrice della Sara Puig Institute for the Arts e Daniele Maruca, direttore. Aperto nel 2016, il museo raccoglie una vasta gamma di opere, dalle statue Khmer (VII-XIII secolo) a pezzi d’arredamento cinese (200 a.c-XVII secolo) fino opere d’arte contemporanea di Anish Kapoor, Cristina Iglesias, Zeng Fanzhi, James Lee Byars, Nobuyoshi Araki e Adam Fuss. La collezione è ospitata in un bunker di telecomunicazioni risalente alla seconda guerra mondiale grande 7,350 metri quadrati. All’edificio sono stati apportati degli interventi minimali grazie alla collaborazione fra l’architetto John Pawson e Désiré Feuerle. Pawson è stato l’unico a riuscire a tradurre la sensibilità del collezionista in modo concreto. La mostra si sviluppa su due livelli, a cui si aggiungono anche la sala del lago, quella dell’incenso e quella del suono. Queste stanze ricoprono ciascuna una precisa funzione. Nella prima troviamo un lago naturale, il quale funge anche da fonte di riscaldamento naturale per l’intero museo. La seconda è dedicata ai rituali dell’incenso, mentre la terza consiste in una stanza buia in cui vengono fatti sostare i visitatori prima della visita. Si rimane in questa per due minuti e mezzo circa e si ascolta la “Musica per piano numero 20” di John Cage. Questo processo è molto importante perché prepara gli occhi del visitatore all’oscurità della collezione e purifica i sensi. All’interno del bunker non è permesso scattare foto perché il pensiero che sottende l’intera esibizione è quello di creare una dimensione separata dalla vita reale.
L’esposizione delle opere: un’elegante coreografia diretta in modo sapiente
Nella Feuerle Collection incontrerete un nuovo modo di concepire il museo, come uno spazio accessibile a tutti, inclusivo. La collezione si spoglia dalle etichette e dalle classiche targhette museali e invita lo spettatore a esperire l’arte coi propri sensi. Il linguaggio, infatti, può talvolta rappresentare un ostacolo nel rapporto fra il visitatore e l’opera: a volte può essere un mezzo attraverso cui vengono veicolati dei pregiudizi, o, più banalmente, non si può semplicemente conoscere la lingua. Eliminando questa barriera, lo spettatore può relazionarsi in maniera sensuale alle opere d’arte, le quali, a loro volta sono libere di parlare per se stesse. Per questo stesso motivo i tour non sono guidati, ma accompagnati. É difficile catturare con le parole quello che si prova attraversando questo museo, ma si tratta di un modo visionario di pensare ed esperire l’arte.
L’illuminazione e l’acqua sono gli elementi unificanti, il filo rosso che ci accompagna per tutta l’esibizione. Il tema dell’acqua, infatti, si ritrova in entrambe le sale: al piano interrato le pareti sono realizzate in vetro, garantendo una continuità fra le opere e il lago, mentre al piano superiore lo ritroviamo nell’installazione di Cristina Iglesias. Anche l’illuminazione gioca un ruolo di vitale importanza nell’esperienza. La luce calda dei led abbraccia le opere in modo morbido e proietta dietro di esse dei giochi di ombre, i quali creano un’opera di arte da ammirare per se.
In Giappone, esiste un complesso di santuari: quello di Ise. Questo grande santuario viene smantellato e ricostruito ogni vent’anni, processo che è stato compiuto ormai 690 volte. In questo particolarissimo edificio sono così racchiusi duemila anni di storia senza invecchiare mai di venti. Questo esempio è ottimo per entrare nella mentalità del museo: come può un’opera d’arte antica continuare ad aggiornarsi e rimanere moderna? Questa domanda sembra trovare una risposta nella collezione Feuerle. Il criterio d’esposizione non tiene conto delle differenze spazio temporali fra le opere. Questo sono disposte nella sala secondo un preciso ritmo fatto di pieni e vuoti, attraverso la giustapposizione. Il visitatore che vi passeggia attraverso assiste così a una sorta di elaborata danza, fatta di incontri e contrasti, silenzi e musica. “Bisogna tenere a mente che tutte le opere d’arte una volta sono state contemporanee.” ha affermato il signor Feuerle in una sua intervista per Apollo Magazine. “Non faccio distinzioni fra vecchio e nuovo: ciò che importa per me è la qualità.” In un solo colpo d’occhio è possibile ammirare statue risalenti al periodo Khmer, pezzi di arredamento cinesi dal 200 a.C. al XVIII secolo e opere d’arte contemporanea. Quello che potrebbe sembrare un semplice metodo di esposizione si trasforma però in un processo di creazione di una nuova opera d’arte. Personalmente, ho trovato incantevole poter ammirare i soggetti di Nobuyoshi Araki adagiarsi sugli antichi pezzi di arredamento cinesi. Quello che ne emerge è un forte senso di rispetto per l’opera d’arte, la quale ha tutto lo spazio necessario per respirare e inserirsi fluidamente nel complesso intreccio di relazioni.
Feuerle ha iniziato a ragionare su questo metodo da quando ha iniziato a collezionare. “Avevo tutta la storia dell’arte raffigurata in cartoline sul pavimento centinaia, migliaia di esse. Erano tutte opere che ammiravo, da Mondrian, un pezzo di porcellana, un rubino “sangue di piccione”, a lavori di Rothko e Beuys. Li organizzavo per gruppi a secondo della sensazione che mi provocavano e poi li appendevo al muro per verificare se questa permanesse. Infine, provavo a vedere se funzionava comunque se aggiungevo un pezzo d’arte contemporanea.” Questo metodo di classificazione ricorda quello dello storico dell’arte Aby Warburg. Egli, nella sua biblioteca Mnemosyne ha raccolto centinaia di immagini, creando percorsi divisi per sezioni tematiche in cui opere antiche e contemporanee si trovano fianco a fianco.
“La fluidità di un mondo in cui nulla è rigorosamente delimitato, in cui gli esseri stessi, perdendo i loro confini, cambiano in un batter d’occhio, senza provocare altrimenti nessuna obiezione, di forma, di aspetto, di dimensione.”
(Lucien Febvre, “Il problema dell’incredulità nel secolo XVI”, 1978)
Il movimento della Slow Art
Le idee finora illustrate sono in sintonia con il movimento della Slow Art, fondato da Susan Moore. Nathaniel Hawthorne in “The marvle faun”, nel 1860, racconta che le persone poteva stare anche diverse ore ad ammirare le opere d’arte, mentre adesso abbiamo perso questa capacità. Secondo Susan questo non è dovuto a una mancanza di tempo, ma perché, dall’avvento dei social media, siamo costantemente bombardati da immagini. Per questo motivo, trattiamo le opere d’arte come immagini e non come quello che sono: oggetti. Spesso, infatti, ci dimentichiamo che queste possiedono una tridimensionalità, un peso, un’odore, una texture. Siamo più impegnati a leggere le informazioni delle targhette e a fare foto, perché c’è sempre qualcos’altro da vedere, o informazioni da assimilare. In questa frenetica corsa per la conoscenza, ci dimentichiamo però la cosa più importante: il piacere di osservare e farci emozionare da un’opera d’arte, spoglia da tutti gli stimoli esterni. Secondo i sondaggi condotti nei musei, il visitatore medio non dedica più di sette o dieci secondi a ciascuna opera d’arte. La domanda è: cosa vediamo effettivamente in questo breve lasso di tempo? É possibile intessere una relazione in questi miseri secondi? Il movimento Slow Art si è preso a cuore questo problema e ha cercato di ripensare l’arte del guardare. Radicato nel Slow Food Movement, la sua missione è quella di valorizzare l’atto del vedere, preferendo la qualità rispetto alla quantità. Philippe de Montebello, ex-direttore del Metropolitan Museum of Art di New York, afferma “La maggior parte delle opere d’arte rivela i suoi segreti lentamente.” Per fare ciò bisogna non solo essere nel giusto stato mentale, ma anche nel giusto ambiente, senza distrazioni o stimoli esterni. Per questo motivo, nella Feuerle Collection è stata pensata la stanza del suono. Questo movimento non trascura l’importanza di comprendere un’opera d’arte e il suo contesto, ma sostiene che questa dovrebbe avvenire dopo una completa esperienza di essa.
Il rituale dell’incenso
Il rituale dell’incenso è una pratica spirituale che risale a 2000 anni fa, tempo in cui era riservata ai monaci, eruditi, imperatori e dignitari di corte. Durante la dinastia Han (206-220 d.C.) veniva praticata nel tempo libero dagli eruditi e dalla nobiltà e veniva usato per profumare stanze e vestiti, come parte integrale del culto buddhista. Grazie allo sviluppo della via della seta, la cultura dell’incenso si è diffusa, così come il commercio delle oleoresine. Le più ricercate erano quelle del legno di canfora, cespuglio di bucaneve e chiodi garofano. Tuttavia, la più pregiata è quella di agar, prediletta dall’imperatore Yang di Sui. Infatti durante la dinastia Song (960-1279 d.C.) un’oncia di incenso agar valeva quanto un’oncia d’oro, per via della sua rarità: il processo di creazione può impiegare anche centinaia di anni.
La collezione Feuerle è il primo museo a presentare il tema della cultura dell’incenso cinese e l’unico posto al mondo dove la cerimonia è presentata come una performance artistica. Anch’essa avviene in comunicazione con l’allestimento del museo. Infatti, la sala è rivestita da specchi unidirezionali, in modo che chi è fuori non può vederne l’interno, ma chi è dentro può comunque ammirare le opere collocate al di fuori, seguendo sempre il principio della giustapposizione. Questa pratica è basata sulle conoscenze dei maestri dell’incenso cinesi ed è stata voluta dal signor Feuerle in persona. “L’arte dell’incenso in Cina è estremamente complessa e pressoché sconosciuta in Occidente. Volevo condividere una versione contemporanea e autentica di questa bellissima, raffinata e antica cerimonia.”
Il tavolo al centro della stanza è stato disegnato dall’architetto Pawson in collaborazione con gli esperti dell’incenso e i maestri della falegnameria cinese. Inoltre, per la cerimonia sono stati appositamente disegnati dei kimono e delle scarpe da indossare. Sul tavolo troviamo anche degli utensili per svolgere la cerimonia. Si possono osservare le pinze e i piatti Mica in oro puro, su cui appoggiare il legno da bruciare. Sono realizzati in oro, in modo che l’odore dell’incenso rimanga puro, senza contaminazioni di altri materiali. Inoltre, a sinistra, sono collocate delle piume di pappagallo ara, per diffondere delicatamente il profumo d’incenso. Queste si chiamano Fen-fu-liu che significa letteralmente “brezza che tocca il salice” e Jin Feng Yin che significa “colui che provoca il vento aureo”.
The Feuerle Collection
Hallesches Ufer, 70, 10963, Berlin
Per maggiori informazioni sui biglietti vi rimandiamo al sito ufficiale.
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Immagine di copertina: The Feuerle Collection, courtesy of The Feuerle Collection