Perché il campo di concentramento di Ravensbrück è così poco conosciuto
La storia di Ravensbrück
Ravensbrück è il campo di detenzione femminile più grande della Germania. Rimasto in funzione dal 1935 al 1945, qui furono deportate dissidenti politiche, socialdemocratiche, comuniste, e tutte le accusate di aver contaminato la razza ariana. Oltre ad essere costrette a massacranti turni di lavoro, molte di loro furono utilizzate come cavie umane per esperimenti medici, sottoposte a innumerevoli torture. La loro divisa veniva contrassegnata da un triangolo di stoffa colorata, spesso accompagnata da una lettera che ne indicava il paese di provenienza. Solo nel 1941 venne aggiunta un’area chiamata Männerlager, destinata alla detenzione di uomini.
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Perché il campo di concentramento di Ravensbrück è così poco conosciuto
In occasione della Giornata della Memoria il Comites, in collaborazione con l’Ambasciata d’Italia a Berlino, aveva organizzato una giornata di commemorazione. Qui erano emerse alcune riflessioni di Insa Eschebach, direttrice del Memoriale di Ravensbrück, e Ambra Laurenzi, presidente del Comitato Internazionale di Ravensbrück. Si stima, infatti, che il campo di concentramento di Ravensbrück abbia raggiunto un totale di 40.000 prigioniere. Tuttavia rimane uno dei meno conosciuti, e le ragioni sono principalmente tre. Solo a partire dagli anni Settanta e Ottanta si è cominciato a parlare di deportazione, anche attraverso la pubblicazione di libri. La letteratura femminile, però, ha avuto un minor riscontro rispetto a quella maschile. La seconda causa è riconducibile alla posizione geografica di Ravensbrück; situato a 90 chilometri da Berlino, nella parte settentrionale della provincia del Brandeburgo, il paese di Ravensbrück non veniva indicato nelle cartine dell’epoca. Inoltre, si trova in una posizione geograficamente scomoda per l’Italia perché difficile da raggiungere. Infine, per una questione di genere, la deportazione femminile è stata sottovalutata e non analizzata a sufficienza.
Il ruolo delle donne italiane durante la resistenza
La storia dimentica spesso che tra i deportati c’erano donne, anche italiane. La loro è stata una battaglia combattuta silenziosamente, senza armi, e per questo a essere messa in dubbio è stata la loro reale collaborazione. La resistenza femminile era meno appariscente, ma comunque indispensabile. Ne hanno rappresentato la spina dorsale: mentre gli uomini erano armati al fronte, loro erano libere di muoversi, consegnando farmaci o agevolando la stampa clandestina. Dopo la liberazione, molte delle sopravvissute hanno deciso di non parlare, quelle che lo facevano non venivano credute. All’epoca la donna aveva l’unico compito di occuparsi di casa e famiglia, non di politica. Il lager era, quindi, una loro colpa. Poiché viste come traditrici dalle SS, le donne della resistenza italiana venivano inserite nelle squadre di lavoro più duro.
I rapporti in proposito tra Italia e Germania oggi
Con la fine della seconda guerra mondiale i rapporti tra Italia e Germania si sono normalizzati. I due Paesi lavorano fianco a fianco da più di 70 anni, coltivando il ricordo di quegli orrori affinché il passato non si ripeta. Il ventunesimo secolo è il periodo della memoria comune. Oggi più che mai l’intenzione è di non dimenticare, soprattutto la voce delle donne che per anni è stata ignorata.
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Immagine di copertina: Campo di concentramento di Ravensbrück, © Bundesarchiv, CC BY-SA 3.0 de