Il Muro in 10 splendidi passaggi di libri che ti faranno amare Berlino
Il Muro di Berlino, uno dei più assurdi prodotti della storia mondiale, ha ispirato moltissimi romanzi e racconti sia da parte di chi l’ha vissuto in prima persona, che di chi negli anni tra il 1961 e il 1989 è passato per la città divisa.
Da una parte la Berlino Est degli agenti Stasi, dove perfino gli orsetti gommosi sono vietati, di Thomas Brussig. Dall’altra la Berlino Ovest isola rinchiusa ed abbandonata in mezzo all’Est dove i giovani non sanno che strade prendere e si abbandonano alle droghe e all’alcol di Sven Regener. Quella che segue è una raccolta degli estratti letterari più belli che raccontano la Berlino divisa selezionati da una nostra lettrice.
Da La mia Berlino di Monika Maron. Traduzione di Maria Anna Massimello. Acquista qui
«Il centro della capitale è il suo quartiere più occidentale. Il centro è il confine, l’invalicabile è il centro, anche dei pensieri. Qui, nel cuore del centro, si apre una porta. Un portone di ferro verniciato di marrone da cui passano quelli che vengono da fuori, dall’altra parte, dall’Ovest, comunque lo si voglia chiamare. La porta ha una sola maniglia, dall’altra parte. Sto parlando della stazione della Friedrichstrasse. La vetrina simbolo della storia della città, della storia nazionale e della storia di innumerevoli famiglie e di infiniti amori. Un luogo denso di composta drammaticità. Di fronte a questa porta, nel corpo centrale della stazione, a volte mi trovo anch’io ad aspettare l’arrivo dei miei ospiti. Me ne sto nella luce abbagliante del neon, che si riverbera ostile dalle pareti di piastrelle giallognole, insieme ad altre persone in attesa. Come loro, tengo lo sguardo fisso sulla porta che ogni due secondi sputa fuori un essere umano. A volte anche parecchi, tutti insieme, poi si richiude, si riapre, ne sputa fuori altri, si chiude di nuovo. Lo so, proprio accanto alla porta è appeso un cartello: “Alt! Vietato proseguire”. Lo so, ma non lo vedo, io vedo solo la porta. Anche il mio sguardo, come quello di tutti i presenti, è magicamente catturato dalla porta. Unico passatempo: indovinare se quelli che arrivano siano dell’Est o dell’Ovest».
Da Le voci di Berlino di Mario Fortunato. Acquista qui
«Il giorno successivo – dopo un sonno durato molte più ore del consueto, forse in ossequio all’assenza generalizzata di rumore, che è un’altra caratteristica di questa metropoli priva di frenesia – mi dedicai al Muro che allora si ergeva minaccioso e bifronte come ogni verità che si rispetti. Gli stranieri simili a me, che volevano passare qualche ora nel doppio semiomonimo della città, dovevano incolonnarsi al Checkpoint Charlie e aspettare il loro turno. Previo il ruvido controllo dei passaporti e ripetute occhiate accusatorie da parte dei Vopo, la polizia di frontiera del settore orientale. La scena era discretamente letteraria non solo perché rinviava ai romanzi spionistici di John Le Carré, ma anche perché cominciò a nevicare, rendendo più silenziosi e stilizzati i gesti di chi si trovava in fila. Era la prima volta che attraversavo la famosa Cortina di Ferro. Il fatto di non essere a bordo di un’automobile, di un treno o di un altro mezzo di locomozione restituiva un brivido di solitudine e forse di maggiore vulnerabilità, oltre che di insensatezza. Tuttavia non sfuggiva l’intrinseca vocazione al commercio che in fondo dominava la Germania comunista. Se è vero che ogni visitatore era obbligato a cambiare una considerevole quantità di preziosi marchi occidentali con l’analogo inservibile dell’Est. Che cosa ne avrei fatto di tante banconote della DDR che, per dimensioni e significato, ricordavano quelle che si usano nel gioco del Monopoli? E perché tutti quei controlli ossessivi, anche dopo avere appurato che nessuno nascondeva armi o, il che era lo stesso, libri, giornali e dischi? Per fortuna, fece buio in fretta e molte questioni poterono essere occultate».
Da Doppia Esposizione. Berlin 1985-2015 di Natascia Ancarani. Acquista qui
«La Bernauer Strasse, è uno dei pochi luoghi rimasti, insieme all’East Side Gallery, dove si può ancora vedere qualcosa del Muro. Un’area difficile da ricomporre, per il lavoro della memoria. Qui sono stati più frequenti i lutti, più radicali le demolizioni. Un passato carico di colpa, soprattutto per il regime comunista. Molti abitanti dell’Est si sono gettati dai tetti per raggiungere l’Ovest, le case sul confine sono state sgomberate e abbattute. Eppure, fu proprio la municipalità di Berlino Est che prese la decisione di salvare e proteggere l’area. Lo fece rapidamente, appena in tempo, mentre dovunque si smantellava il Muro nell’ebbrezza della distruzione. Qualche settimana, forse qualche giorno di esitazione, e oggi non potremmo vedere nulla. L’area non poteva essere restituita interamente al proprio passato, troppe cose erano state modificate. La chiesa era stata demolita nel 1985, un pezzo di cimitero rimasto intrappolato fra i due muri, nella striscia della morte, non esisteva più da decenni, le bare erano state trasferite, le lapidi rimosse. Sembrava impossibile riprodurre il paesaggio così com’era. Con la chiesa, le case che si affacciavano sulla via, le lapidi delle tombe, il muro di mattoni rossi che segnava il confine del cimitero».
Da Salam Berlino di Yadé Kara. Traduzione di Marina Pugliano. Acquista qui
«Il cielo sopra Berlino splendeva. L’aeroporto di Tegel era gremito. La gente correva avanti e indietro e incalzava come allo stand delle salsicce alla Settimana Verde. “Passaporto, prego” disse la voce cortese del funzionario. Lo guardai stupito. Sul suo grugno da bassotto si aprì un largo sorriso. Era raggiante. Prima controllavano il mio numero di passaporto cinque volte, mentre tutti gli altri si erano sbrigati da un pezzo. Adesso, invece, mi aspettavo quasi di ricevere un mazzo di fiori e un motorino perché ero il milionesimo lavoratore emigrato. “Benvenuto nella Berlino riunificata!”. Ricambiai l’espressione raggiante. I buchi nel Muro stavano dando i loro risultati! Persino quei pignoli dei funzionari erano diventati più gentili. Ero elettrizzato».
Da Eroi come noi di Thomas Brussig. Traduzione di Marina Bistolfi. Acquista qui
«Quando sono scappato dall’ospedale, volevo andare innanzi tutto dalla donna salsiccia. Mi aveva deriso a causa della mia Piccola Tromba, per cui avevo un conto in sospeso con lei. Non sapevo bene neanch’io cosa volessi da lei, ma mi sarebbe certo venuta in mente la cosa giusta. Con un uccello così nei calzoni, niente può andare storto…
Non sono mai arrivato da lei. Abitava nella Isländische Strasse, una traversa della Bornholmer Strasse. Esatto, quella Bornholmer Strasse, in fondo alla quale c’era il posto di confine. Davanti si accalcavano le cosiddette masse che, per motivi a me allora ignoti, speravano che i cancelli del paradiso si spalancassero da un momento all’altro per consentire loro di riversarsi in Occidente. Erano migliaia, e stavano di fronte a un paio di guardie confinarie che sorvegliavano il cancello e aprivano solo uno spiraglio quando arrivava un occidentale estraendo il passaporto. Poi le masse hanno cominciato a spingere, peraltro solo simbolicamente, ma cosa ci si può aspettare da un popolo che nei suoi discorsi rivoluzionari vanta di aver richiesto un’autorizzazione ufficiale per le sue proteste?»
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Da L’amico e lo straniero di Uwe Timm. Traduzione di Margherita Carbonaro. Acquista qui
«Nel 1961 andammo in autobus dal collegio fino a Berlino. Uno di quei viaggi di istruzione finanziati dal governo federale per mostrare le ferite della città divisa, e in particolare perché ognuno si facesse un’idea dell’Est, della parte socialista della città. Era uno degli assunti fondamentali della politica tedesca negli anni Cinquanta e nei primi anni Sessanta: c’è un solo Stato. La Repubblica Federale. Lo Stato, quello che non esisteva, si scriveva fra virgolette. “DDR”. Nel 1966 scoppiò uno scandalo politico quando Wehner, in un articolo, omise le virgolette. La politica tedesca aveva qualcosa di irreale Cosa evidente nella trovata linguistica ufficiale per designare il secondo Stato tedesco, che non doveva esistere: lo Stato fantasma».
Da Parigi Berlino. Diario 1963-1965 di Witold Gombrowicz – traduzione di Francesco Cataluccio. Acquista qui
“Dopo un soggiorno di due settimane all’Akademie der Künste fui trasferito in un confortevole appartamentino in Hohenzollerndamm. Disfai le valigie e mi installai. Nel frattempo avevo conosciuto quasi tutti i principali scrittori e pubblicisti (a Berlino risiedeva la crema della letteratura tedesca) con i quali, purtroppo, non sempre riuscivo a intendermi. Günther Grass, Peter Weiss, Uwe Johnson, miei colleghi di penna, padroneggiavano il francese malamente. In generale, dopo un’assenza durata un quarto di secolo, l’Europa mi parve una torre di Babele. Accadeva che a pranzi ai quali partecipava una decina di persone, si parlassero sei lingue diverse. Gli aerei tormentavano la gente: ne ho conosciuti che possedevano tre appartamenti, ciascuno in una capitale diversa – mettiamo Roma, Berlino, Zurigo – ciascuno per dieci giorni al mese. Anche questa Europa nuova, moderna, non si lasciava afferrare, troppo precipitosa, troppo galoppante, la tenevo tra le mani come una bomba, senza saper bene che farne. Ma non è di questo che si tratta, non è di questo che si tratta. Berlino Ovest, separata con il famoso muro dalla parte Est, conta poco più di due milioni di abitanti ma si estende su una superficie proporzionalmente enorme, che ad ogni passo offre parchi, laghi, boschi: alcuni quartieri sono così inseriti nel verde che non si riesce a capire se sono case o bosco. Una città-stazione termale, la più confortevole di tutte le città conosciute, dove le automobili scivolano a un ritmo uguale, senza ingorghi, e la gente cammina con passo uguale, senza fretta, dove si ignora quasi la calca e il senso di soffocamento.”
Da Qui Berlino, edizione del Touring Club Italiano, 1975. Acquista qui
«Molti personaggi illustri riposano nei cimiteri della città, che anch’essi soffrono della suddivisione di Berlino in due tronconi. Centinaia di migliaia di persone, che vivono a Berlino-Ovest, possono soltanto in rare occasioni portare un fiore ai loro cari nei cimiteri di Berlino-Est; e mai gli abitanti di Berlino-Est possono visitare le tombe dei parenti che riposano a Berlino-Ovest.V’è un cimitero, quello degli Invalidi, in cui nessuno mette piede perché si trova nel campo di tiro delle sentinelle di guardia al muro. Vi dormono l’ultimo sonno uomini d’arme come Scharnhorst, von Seekt (il padre del nuovo esercito dopo la sconfitta nella prima guerra mondiale), Richthofen (asso dell’aviazione) e Udet.
A Berlino-Est il cimitero centrale ospita le tombe di Rosa Luxemburg, dei due Liebknecht e dei “grandi” della DDR: Ulbricht, Grotewohl, Pieck. Hanno invece preferito raggiungere Fichte e Hegel, nel cimitero della Chausseestrasse, gli uomini dell’intellighenzia rossa: Bertolt Brecht, Arnold Zweig, Helene Wegel».
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Da “Berlino Ovest. Una prigione molto comoda” intervista a Peter Schneider in Berlino di Sandro Pirovano.
«Nel 1962 incontrai molte persone che conoscevano Berlino senza il Muro, e naturalmente queste persone potevano immaginarsi meglio di me come si potrebbe vivere in questa città senza il muro. Deve essere stata una città molto bella, grandiosa. Per esempio si poteva navigare in barca a vela dal lago Wannsee, lungo canali e laghi, nell’odierna Rdt, fino a raggiungere il Mar Baltico. Ma queste persone potevano comprendere meno di me che il muro ha una necessità storica. Circa due milioni e mezzo di tedeschi della Rdt sono andati in Occidente prima della sua costruzione. Una buona parte di questi apparteneva alle fasce di cittadini meglio istruiti, quelli di cui lo stato dall’altra parte aveva assolutamente bisogno. Bloccare questa emorragia per la Rdt fu una questione di sopravvivenza. La maggior parte degli stranieri considera il muro di Berlino una tipica peculiarità tedesca. Io penso però che, in analoghe condizioni storiche, sarebbe dappertutto possibile costruire un muro simile. Mi posso immaginare un muro come questo anche a Stoccolma, Roma o Parigi, ma con una limitazione importante: probabilmente in queste città non funzionerebbe così bene. Gli italiani farebbero sparire in tre mesi il materiale edile della costruzione; i poliziotti di confine italiani chiuderebbero più spesso un occhio, o sparerebbero a lato, se uno dei loro connazionali se ne andasse. Probabilmente è proprio una caratteristica nazionale, che il muro berlinese funzioni così perfettamente».
Da Piccolo viaggio nell’anima tedesca di Vanna Vannuccini e Francesca Predazzi. Acquista qui
«Berlino Est – l’appuntamento era in albergo. Il Muro era caduto da pochi giorni. “Se mi facessi vedere al centro stampa sarei preso d’assalto” aveva detto al telefono. Puntuale alle undici, Mischa Wolf bussò alla porta. Corrispondeva perfettamente alla descrizione che facevano di lui i servizi segreti occidentali: occhi scuri vivaci, belle mani, maniere perfette, eloquio avvincente. Fino al 1979 era stato l’uomo senza volto, una leggenda. La spia più famosa del mondo, da cui dipendevano almeno ventimila agenti in tutto il pianeta, poteva passeggiare per Helsinki, per Berlino e perfino per new York senza che nessuno sapesse chi era. La sua prima foto, e proprio sulla copertina dello “Spiegel”, fu uno scoop mondiale e gli procurò qualche problema con Mielke, il capo della Stasi. Lo ritraeva elegante e rilassato con sottili occhiali scuri mentre camminava per le vie di Stoccolma accompagnato da una signora. Mielke diffidava di Wolf, anche se non osava contrastarlo apertamente, sapendo che Wolf era molto più abile di lui. I suoi colpi di bravura erano stati innumerevoli. Due volte gli era riuscito di far passare dalla propria parte i capi dei servizi segreti della Germania federale: Otto John nel 1954 e Hans Joachim Tiegte nel 1985. Era stato lui l’inventore degli “agenti dormienti”, quelle persone che per anni conducono una vita normale prima di essere attivati come spie. Ma l’invenzione più brillante era stata quella delle “spie per amore”, le tante funzionarie e segretarie che venivano sedotte dai vari “Romeo” mandati da lui in Occidente e convinte a diventare spie. Secondo i calcoli occidentali dipendevano da lui oltre ventimila agenti».
* Giovanna Barca è una bibliotecaria interessata, per passione personale più che professionale, alla Literatur der Wende. Dopo aver letto molti autori, aver visto i film più importanti, visitato i luoghi della ex-DDR e i musei, è stata una delle traduttrici di Di tutto in mondo – Viaggio nello spazio e nel tempo della Svizzera fino al cielo.
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Immagine di copertina: © Magnum – CC BY SA 2.0