Quella mentalità retrograda che alcuni italiani si portano a Berlino. E che fa piangere
di Riccardo Barracu*
Scrivo questa lettera perché ho pianto stanotte e mi sono alzato lacerato. Credevo di essere forte ma evidentemente non abbastanza. Ieri, un’anonima sera di un martedì di agosto, mi invitano ad una festa in un locale per festeggiare un compleanno. Si prospetta una serata tranquilla, non voglio far tardi, giusto brindare alla felicità di una persona che mi è vicina. Sono stanco, sarei rimasto volentieri a casa, ma quando la mia amica (e vicina di casa) Sara mi citofona e, ascoltando le mie titubanze, mi convince con un: “ Passa almeno per fare gli auguri, giusto un saluto”, cedo e scendo.
Passeggiamo. Siamo a Prenzlauer Berg, zona Helmholtzkiez. Il locale non è lontano, nessun bisogno di metro o bicicletta. Siamo diretti ad un ristorante italiano della zona. Arriviamo. La musica mette tutti a proprio agio, si respira subito aria di festa. Saluto l’amico, stappiamo una bottiglia di vino, brindiamo assieme agli altri invitati. Tra i presenti c’è anche il gestore del locale, un italiano di mezza età che, dagli sguardi, mi dimostra un particolare interesse. Prende confidenza abbastanza facilmente. Io sono una persona allegra, ma riservata quando non conosco bene le persone. Il gestore mi dice il suo nome, chiacchiera molto, tra un bicchiere di vino e l’altro si mette a ballare sul bancone, scherza, mi prende in giro chiedendomi se fossi una mamma, io rispondo che un po’ tutti siamo mamma, ma lui replica che io lo sono un po’ di più e ride.. insomma.. si ride, ma non perché la battuta sia particolarmente arguta, è più l’atmosfera generale. Io continuo a rimanere sulle mie, ma questa persona é evidentemente “presa” dalla mia presenza e inizia così una raffica di battute sulla mia vera o presunta omosessualità. Ad un certo punto, senza alcun aggancio con qualcosa detto in precedenza, mi chiede ad alta voce, davanti a tutti, chi mi stessi portando a letto.«Ti piacciono gli uomini eh? Tu sei gay, tu…».
Quando ti capita una situazione del genere, davanti ad un ubriaco, in un luogo pubblico e circondato da conoscenti, sai bene che la cosa migliore in questi casi è evitare di rispondere e focalizzarti su altro: sulla festeggiata, su discorsi che fanno le persone affianco a te, qualsiasi cosa pur di non dare corda alla controparte. E così provo a fare, ma ormai sono diventato il bersaglio del gestore che continua a farmi oggetto di un’infinita serie di considerazioni sulla mia presunta omosessualità. «Sei gay…sei diverso…sei..sei…». È un continuo. Il tutto sempre di fronte agli altri. Le sue domande sono incessanti e attirano l’attenzione di tutti i presenti, gente che in alcuni casi conosco bene, in altri per nulla. Divento l’attrazione della serata. Non sono Riccardo. Sono il gay. Comincio a chiedermi cosa abbia fatto per apparire così gay in questo anonimo martedì, forse la camicia ben piegata, forse I mie capelli biondi lavati sotto la doccia da due ore, forse le mie scarpe da ginnastica. Mi sento osservato. Vorrei tornare indietro di un’ora e non essere mai uscito pur di non trovarmi in una tale situazione, messo alla berlino davanti ad altri da una persona che non sa nulla di me e della mia vita. Nessuno dice nulla. Si fa finta di non capire. Neanche le persone che conosco provano ad intervenire. Sembrano non capire o non voler capire,. Per me non è più festa, ma un’umiliazione. Cerco di evitare sguardi, parole, vorrei andarmene, ma sarebbe peggio. Mangio la torta, faccio gli auguri e i complimenti per il dolce, ma il gestore non molla e mi tormenta gridando a voce alta “ ma allora ce lo dici se sei gay o no?”. Mi sento ribollire il sangue nelle vene, se l avessi vicino gli darei uno schiaffo…. È lì sul bancone del suo locale che si sente potente, sbronzo, in grado di comandare e di prendere in giro le persone per la loro presunta diversità come se nulla fosse. Mi dirigo verso la porta e girandomi gli dico che le il suo divertimento è finito, le sue battute non sono più simpatiche sempre che lo siano mai state. Saluto e vado via. Come metto piede fuori dalla porta mi sento liberato da una tortura. Sono rabbioso, amareggiato, triste. Allungo la strada per la via di casa per prendere aria, ma mi trovo avvolto di una tristezza profonda. Piango. Arrivo a casa. Penso e ripenso a quello che é successo. A quarant’anni mi sento ancora preso in giro per il mio orientamento sessuale, e pubblicamente, ghettizzato. Mi chiedo perché, come possa succedere anche a Berlino, in una città che appare aperta a tutti e dove a nessuno interessa cosa tu faccia nel tuo privato. Abito qui da diversi anni e mai come ora mi sento solo. Nemmeno I miei amici mi hanno difeso, nessuno ha detto una parola per me. Tutto si è svolto tra le risa. Un ristorante italiano, compagnia italiana. La cultura che ti porti dietro del medioevo che io credevo avere lasciato alle spalle per il mondo nuovo, mi ha raggiunto anche qui a Berlino. Oggi non mi sento meglio. Se scrivo è per ricordarmi e ricordare che non basta partire. Ovunque ci sarà qualcuno pronto a cercare di calpestare la tua dignità di uomo.
*Riccardo Barracu: regista, originario di Santu Lussurgiu (Sardegna), ma ormai di base a Berlino, è autore di vari progetti tra cui Resistance presentato alla 65esima mostra del cinema di Venezia
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Photo: ©Pruz CC By SA 2.0