L’uomo delle favole dalla torretta di Bernauer Straße

Favole al megafono di Claudia Valentini

(dal Workshop di Scrittura Creativa “Scrittori Emigranti”)

Le otto di sera nei pressi del muro a Berlino sono piuttosto scure, anche ad agosto. Quel gigante di ferro e cemento sembra annientare soddisfatto gli ultimi raggi di luce per godersi in pace l’ombra della sua stessa mole. E ogni sera, alle otto in punto, Walther Groff arriva in fondo a Ruppiner Straβe, si imbatte nel muro che lo divide da Bernauer Straβe e lo costeggia con quella riflessione in testa. Si avvicina a passi calmi alla porticina ricavata nel cemento, invisibile a un occhio non curioso. Un bel respiro, l’espressione serena nel volto invecchiato, ma disteso, e toc, toc, toc! La porta si mette in moto, e cigolando malamente sputa fuori due guardie tutt’altro che scortesi. Gli sorridono, lo perquisiscono, ma gentili, facendo a gara a chi scova per primo l’arma segreta di quel signore sempre sorridente: un foglio bianco, scritto a mano su entrambe le facciate. Lo lasciano entrare nella terra di nessuno, richiudono svelti la porta e si preparano alla sorpresa.

Walther si avvicina, ormai non più scortato, alla torretta di guardia e si arrampica su, su, su fino in cima. Ah! Dieci anni fa salivo molto più svelto! E come succede tutte le sere da dieci anni a questa parte, ogni scalino gli riporta alla mente immagini del passato. Il gigante di cemento ha 53 anni ormai, undici meno di lui. Lo aveva separato da tanti affetti, tante persone con cui avrebbe voluto continuare a crescere insieme, eppure Walther non aveva mai odiato né il muro, né il mondo in cui era rimasto intrappolato. Molti erano scappati. Lui no. Ci aveva provato. O meglio, la sua famiglia ci aveva provato. Aveva visto i fratelli e la sorellina scomparire a pochi metri da lui, accompagnati dai gesti convulsi del padre. Ma quando si era sentito il peso della mamma addosso, e si era guardato le mani sporche di sangue, aveva capito che sarebbe rimasto. Non l’avrebbe lasciata lì a morire per strada. Degli altri non seppe più nulla per molti anni. Restò lì, da solo, cresciuto da una vecchia zia. Il dolore all’inizio fu straziante, ma col tempo si fece più morbido. Quello che gli mancò per sempre, però, furono le favole della mamma. Com’erano belle e ricche di fantasia. Ogni sera diverse. Ogni sera avvincenti. Aveva iniziato anche lui a esercitarsi con la sorellina, ma poi il muro aveva cambiato tutto. E allora, quando erano arrivati i figli la gioia per lui era stata ancora più grande.

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Ora che era nonno, però, quel muro si era di nuovo messo in mezzo. I figli avevano deciso di andare di là. I tempi erano cambiati. Il mondo si era fatto più piccolo. E anche il muro si poteva oltrepassare con molta più facilità di un tempo. Ma lui non avrebbe mai tradito sua madre. E, in fondo poi, a lui quel mondo piaceva così com’era. Un po’ lento, un po’ scomodo, un po’ ingrigito, un po’ più indietro rispetto agli altri. Si sentiva come su una poltrona vecchia e fuori moda, ma con la sua forma. E allora, anche se c’erano internet, e le videochiamate e tutte quelle diavolerie, lui aveva deciso che ai suoi nipoti avrebbe regalato un’infanzia come quelle di una volta. Carta, penna, e una favola prima di andare a dormire. Non poteva trascorrere il tempo con loro, vederli crescere e accompagnarli con la sua presenza rassicurante. E allora, ogni mattina immaginava di averceli in casa, sorridenti e chiassosi. E di fare mille cose insieme a loro. Da quelle fantasie, ogni pomeriggio nasceva una favola che Walther riportava scrupoloso su un foglio bianco con una calligrafia bellissima, per poi leggerla la sera con voce da nonno dal megafono della torretta di Bernauer Straβe. Alle otto e un quarto in punto. Col tempo aveva fatto amicizia con i soldati a guardia del muro, stupendoli con i modi gentili e la voglia di non fuggire. Si era guadagnato quella concessione speciale, ormai diventata un appuntamento imperdibile per tutto il quartiere. Nessuno sapeva per chi leggesse, chi fossero questi nipoti, né se esistessero davvero. Ma lui era certo, che ogni sera, cascasse il muro, loro erano lì, dall’altra parte ad aspettare la buonanotte. E così anche oggi, 13 agosto 2014, si ripete la stessa, cadenzata procedura. Ancora un paio di scalini, e poi, il megafono gracchia per un secondo, intorno cala il silenzio, e una nuova storia prende vita: “C’era una volta, tanto tempo fa, una città spaccata in due, divisa da un muro di palloncini bianchi…”

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