Università tedesca vs università italiana. Ecco dove è meglio studiare secondo una studentessa in arrivo dall’Italia
Università tedesca vs Università Italiana
di Alessandra Malerba*
Sono di nuovo in Germania, per la seconda volta. La prima volta sono venuta come studente Erasmus, questa volta in veste di studente-lavoratrice. Da quando sono venuta a contatto con questa nuova realtà non ho potuto fare a meno di mettere a confronto i due sistemi sociali cui mi sento fortemente legata, quello italiano, da una parte, e quello tedesco, dall’altra. Ora, siamo tutti d’accordo che l’Italia è un paese affascinante, in cui si mangia bene e dove si gode di condizioni climatiche pressoché perfette. Su questi temi, ovviamente, il confronto viene meno: per l’Italia è una vittoria a mani basse.
Conosco bene la miriade di pregiudizi che si hanno sulla Germania e d’altra parte anche i tedeschi hanno molti pregiudizi nei confronti dell’Italia e degli Italiani (che sono tuttavia minori di quanto ci si possa aspettare). Ma qui non voglio andare a sottolineare le differenze culturali “propriamente” dette. Piuttosto mi vorrei soffermare sulle differenze riguardanti il sistema universitario, in particolare vorrei cercare di raccontarvi che cosa significa essere studente qui in Germania.
Vorrei potervi dire in dettaglio tutto quello che so in merito, ma finirebbe per essere troppo lungo e noioso. Pertanto, in estrema sintesi, elenco qui gli aspetti di questo sistema che più mi hanno colpito:
- L’università è gratis: in quanto diritto universale, lo studio è liberamente accessibile a tutti. Il 95% delle università tedesche non prevede tasse universitarie, ma solo un contributo semestrale (a seconda della città e università, tra 150 e 250 euro), il quale dà al contempo diritto all’abbonamento dei mezzi pubblici. Questo abbonamento è quasi sempre valido non solo all’interno della città, ma anche su tutto il territorio della regione in cui si studia. Si può pertanto viaggiare su tutti i treni regionali senza comprare un ulteriore biglietto.
- L’università non dura in eterno: il fuori corso non esiste. Al termine dei 3 anni della triennale l’università finisce. Se hai finito tutti gli esami ti laurei, altrimenti no. Con le adeguate motivazioni sono concessi 1 o 2 semestri extra per terminare il corso, ma non di più. Questo porta necessariamente ad un ridimensionamento dell’importanza del voto di laurea. Dovendo terminare tutti gli esami in tempo, ad ogni costo, si raggiunge il voto finale massimo solo raramente. In effetti, quanti 110 e lode in Italia arrivano al termine di una triennale conseguita perfettamente in tempo? Pochi. In Germania si segue la logica insegnataci dal Prof. Piga: meglio un 105 ottenuto in 3 anni che un 110 e lode ottenuto in 4 o addirittura 5. Qui, avere l’equivalente di un 100 italiano, piuttosto che un 110, non è di certo un problema.
- La maggior parte dei corsi di studio prevede un semestre di stage obbligatorio al fine del conseguimento della laurea. Come conseguenza, la grande maggioranza delle aziende offrono continuamente posizioni di stage, ruoli che possono essere ricoperti esclusivamente dagli studenti (per intenderci, un laureato non potrebbe essere legalmente assunto con un contratto di stage, ma solo con un vero contratto di lavoro). Questo rende lo studente ricco di esperienza pratica al termine del percorso di studi, contrariamente a quanto accade in Italia, dove il laureato accede al mondo del lavoro senza aver avuto alcuna esperienza lavorativa (tantomeno collegata al percorso di studi).
- Molti corsi di studio prevedono un’esperienza di studio o stage all’estero, obbligatoria per quelli con indirizzo internazionale.
- Lo stato sostiene gli studenti con prestiti finalizzati allo studio. Non dovendo pagare l’università questi soldi possono essere spesi per andare via di casa e mantenersi da soli in un’altra città, cosa che accade molto spesso qui. Inoltre gli studenti ricevono mensilmente un aiuto finanziario basato sul reddito dei genitori (ma in merito ho ottenuto solo poche informazioni).
- Gli studenti hanno la possibilità di accedere agli “Studenten-Jobs”, lavori part-time di poche ore settimanali (generalmente concentrate nel weekend), facilmente compatibili con lo studio. Gli Studenten-Jobs sono perfettamente legali, accompagnati rigorosamente da contratti di lavoro.
- L’età non è tutto: mantenendo valido quanto detto sin qui, non è necessario terminare l’università (e con ciò intendo aver finito la specialistica) a 24 anni appena compiuti. Anzi, di rado accade che un ventiquattrenne abbia già conseguito la laurea specialistica. Innanzitutto accade molto spesso che tra la triennale e la specialistica ci sia una pausa di almeno un anno (durante il quale si possono fare stage o altre esperienze, spesso viaggi e si può decidere con calma che tipo di specializzazione si vuole fare); in secondo luogo non sempre l’università si inizia subito dopo la scuola: fino a qualche anno fa era obbligatorio il servizio civile (militare oppure sociale). Ora, pur non essendo obbligatorio, molti giovani decidono di fare un’esperienza alternativa allo studio prima di entrare nel mondo universitario. Di conseguenza lo uno studente che finisce la specialistica non ha praticamente mai meno di 26 anni. Questo aspetto è fondamentale per il mercato del lavoro. Gli studenti vi accedono più esperti, più tardi. Il ricambio generazionale può aspettare e tutto fila liscio.
Ritengo siano questi i punti salienti, anche se, come già detto, ce ne sono molti altri.
Fin qui ho descritto quanto accade generalmente in Germania. Cosa dire dell’Italia? Beh, facile, andando ad analizzare punto per punto:
- L’università, pur non essendo tra le più dispendiose in Europa, ha un prezzo. Un prezzo discutibile, a mio modesto avviso, definito secondo un sistema di tassazione ridicolo, aggiungerei.
- Il fuori corso rimane il grande protagonista delle università italiane. Probabilmente perché il fuori-corso paga più tasse e questo significa maggiori introiti per l’Università.
- Di stage o semestre all’estero obbligatori nei corsi di laurea non ho quasi mai sentito parlare.
- L’aiuto statale come sostegno finanziario allo studio è, in Italia, una vera e propria barzelletta. Totale inesistenza del prestito studentesco, esistenza di poche borse di studio, assegnate con criteri ridicoli (bisogna essere, alternativamente, estremamente poveri o evasori totali).
- Il lavoro part-time (legale) per lo studente non esiste. Esiste solo il lavoro part-time, incompatibile con una buona carriera universitaria.
- L’età non è tutto? Non saprei. Probabilmente no, non è tutto. Se ne vedono di ventottenni freschi di specialistica in Italia. La differenza? Il ventottenne italiano che finisce la specialistica è spesso un fuori corso cronico. In Germania lo stesso ventottenne ha già lavorato quantomeno un anno.
Riassumendo, dal mio punto di vista, essere studenti in Germania equivale ad aver sbancato il superenalotto. È una vita semplice quella dello studente tedesco. Il loro Stato non li abbandona a sé stessi: al contrario, li sostiene e li tutela fino all’ultimo. Perché i giovani sono il futuro.
Ora è tempo di interrogativi. Da quando sono venuta in Germania non faccio altro che domandarmi: perché essere studente in Italia è un incubo? Che cosa abbiamo sbagliato? Se c’è incompatibilità tra i due sistemi, qualcuno sa spiegarmi dove risiede? Cambieranno mai le cose? Non lo so. So solo che, se qualcuno cinque anni fa mi avesse detto quanto vi ho raccontato io ora, non avrei mai messo piede in un’università italiana.
*Alessandra Malerba è una studentessa romana di 25 anni che per ben due volte, prima solo come studentessa Erasmus, e poi come stagista (e studentessa allo stesso tempo) si è trasferita in Germania.
Foto di copertina: Das Hauptgebäude der Humboldt-Universität, Berlin © A.Savin CC BY-SA 3.0