università in Germania

L’università in Germania non è perfetta come sembra

di B. F.

Sono una ragazza di 21 anni. Sono nata a Roma e lì ho compiuto il mio percorso di studi fino al conseguimento della maturità classica. Poi, a poche settimane dalla fine degli esami, ho lasciato l’Italia e mi sono trasferita a Berlino.

Non è stata una cosa improvvisata. Avevo pianificato nel dettaglio il mio trasferimento. Con dei sopralluoghi precedenti per cercarmi quantomeno una casa.Avevo un obiettivo ben preciso. Entrare all’università. Dopo un intero anno speso per passare gli esami di lingua e ottenere il livello di tedesco richiesto, sono stata ammessa alla Humboldt Universität zu Berlin, dove ho frequentato Filosofia.

Perché lasciare l’Italia

Al contrario di quello che in genere si pensa, non sono andata via dall’Italia per disperazione o per totale sfiducia nel mio Paese. Avevo voglia di provare un’esperienza nuova, che mi potesse formare in modo diverso. Che mi potesse far diventare più elastica più critica e più competitiva. Che mi potesse aprire a nuove culture e far diventare fin da subito una vera cittadina del mondo. Ancora oggi, a due anni e poco più dalla mia partenza dall’Italia, non sono pentita di questa scelta. Credo che quello che mi sta dando l’esperienza in questo Paese non abbia eguali, sia da un punto di vista universitario e culturale sia da un punto di vista umano.

Sulle pagine di Berlino Magazine vari studenti italiani hanno portato le lodi del sistema universitario tedesco, decantandone gli innegabili punti di forza. Come il bassissimo costo, l’organizzazione quasi impeccabile, la disponibilità di professori giovani e aperti al dialogo, gli aiuti statali. Il sostegno allo studente, i corsi di formazione per l’ingresso nel mondo del lavoro. Tutto verissimo, sottoscrivo in pieno. Eppure, ho l’impressione che spesso si guardi solo una faccia della medaglia. Quello che a noi Italiani fa più comodo, quello che ci serve per continuare a screditare un Paese già allo stremo delle forze, già alla deriva sotto ogni aspetto. È abbastanza ovvio che qui il sistema universitario funzioni quasi senza intoppi. La Germania è uno dei Paesi più fortt dell’Eurozona, ci mancherebbe che il sistema universitario non funzioni! Ed è altrettanto ovvio che sia un Paese ben organizzato e molto efficiente. È uno dei primi luoghi comuni sulla Bundesrepublik e a nessuno che abbia avuto anche solo un minimo di esperienza teutonica verrebbe in mente di sfatarlo. Ma qui non è l’Eden. A mio avviso ci sono delle gravi mancanze dell’università tedesca, davanti alle quali è impossibile soprassedere e di cui è bene che si sappia.

Il sistema universitario tedesco

Per comprendere completamente queste pecche, occorre però fare una piccola precisazione di come realmente è strutturato il sistema universitario tedesco, poiché forse non tutti ne sono a conoscenza.

Le lezioni come noi italiani generalmente le intendiamo occupano solo una piccola parte di un sistema molto più articolato. La loro rilevanza è piuttosto marginale e la maggior parte delle volte non sono nemmeno oggetto d’esame. Ciò che invece assume un’importanza fondamentale e che è il cardine su cui ruota l’intero percorso accademico sono i seminari. Questi sono tenuti da professori, talvolta da dottorandi, su temi specifici che rimandano ad un più ampio ambito, chiamato Modulo. Per ogni Modulo lo studente può scegliere liberamente uno tra i seminari proposti, della durata di un semestre. La prova d’esame consiste nel consegnare prima dell’inizio del semestre successivo una tesi. Che si aggira tra le 15 e le 20 pagine, per ogni seminario frequentato. In questi seminari si richiede una “partecipazione attiva”. Il professore assegna delle letture settimanali che saranno poi dibattute nell’incontro successivo. Fin qui, niente da obiettare. Il sistema è diverso da quello cui siamo abituati e con cui siamo cresciuti, ma con un po’ di tempo e con molto impegno ci si adatta. E’ un sistema che ha molti pregi. È innovativo, in linea con quello delle più grandi università del Mondo. E stimola in modo mirato l’esercizio del senso critico. Che dovrebbe essere appunto una delle competenze acquisite alla fine di un percorso universitario in una facoltà umanistica. Il punto però è un altro.

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I punti deboli

Assistendo ormai da più di un anno a questi interessanti dibattiti, noto una caratteristica comune, che all’inizio credevo fosse un caso, ma che col passare del tempo si è rivelata una costante. In questo scambio di opinioni si percepisce il più delle volte una mancanza di cognizione di causa da parte di chi parla. Mi si lasci passare la parola: ignoranza. Mancano proprio quelle basi oggettive su cui poi si costruisce sensatamente una propria obiezione critica. La linea che si segue è questa: confutare teorie senza sapere nulla ed essere obbligati a esprimere un’opinione pur non avendo ancora un’idea precisa in merito. Come si può pretendere da studenti spesso poco più che ventenni di difendere tesi complesse e articolate senza fornire loro gli strumenti adatti? Mi sembra una contraddizione, oltre che una grande forma di ipocrisia.

Perché quando uno studente fa un errore (e mi riferisco a errori storici, riguardanti fatti o cronologie) non c’è nessuno, nemmeno il professore, che si azzardi a dire “Lei sta sbagliando”. Al contrario, si ringrazia di aver espresso la propria opinione, assecondando l’ignoranza. Poi se si è fatto del sofismo, beh…questo è secondario. L’importante è dire come la si pensa. Siamo laureandi o opinionisti?

Ora, io non dico che questo sistema sia completamente sbagliato. Credo che però bisognerebbe trovare una giusta via di mezzo tra il culto della nozione (quello delle università italiane) e il culto dell’opinione (quello delle università tedesche). Perché qui si sentono tutti un po’ i nuovi Hegel. Assolutamente senza poterselo permettere.

Quindi, cosa significa questo per uno studente italiano? Nel mio caso, spesso frustrazione.

Doversi sentir dire “Non scriva Cogito ergo Sum perché i suoi colleghi potrebbero non conoscere il latino” è davvero molto imbarazzante per uno studente di filosofia. Da quando sono alla Humboldt, ho rivalutato il sistema scolastico italiano. Senza le basi che la scuola italiana mi ha dato, non sarei in grado di cavarmela qui, né trarrei alcun beneficio dal dibattito accademico tedesco. Spesso guardiamo alla Germania come il Modello. Come la più alta espressione di cultura, come se fosse “senza macchia”. E finiamo per dimenticarci di quelle piccole cose buone che anche l’Italia, con fatica e sofferenze, a suo modo ci ha dato.

Quindi, quando si decide di fare una scelta così importante come quella di lasciare la propria Patria per motivi di studio, si tenga anche conto di queste piccole ma fondamentali divergenze in campo accademico. E non solo le tasse o la mensa a poco prezzo.

Anche se non sono pentita della scelta che ho fatto, invito gli indecisi a non sottovalutare così banalmente lo studio in Italia, anche se è un percorso ad ostacoli.

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Immagine di copertina: Berlin Humboldt-Universität Juristische Fakultät  ©  NoRud   CC BY-SA 4.0