Turchia, inizia la repressione di Erdogan
Sarebbero 104 i “golpisti” uccisi a seguito del tentato colpo di stato avvenuto in Turchia nella notte fra il 15 e il 16 Luglio messo in atto da una parte delle Forze Armate turche. Questo secondo le stime ufficiali proposte dal Governo. Sale così a 265 il totale dei morti, fra cui 47 civili morti sotto il fuoco degli elicotteri che hanno assaltato gli uffici governativi.
Cosa è successo. Il tentato golpe è iniziato ieri notte verso le 22.15 quando reparti dell’esercito hanno bloccato, ad Istanbul, i ponti sul Bosforo. Nello stesso momento, nella capitale Ankara, si sono uditi colpi di arma da fuoco provenire dallo Stato Maggiore delle Forze Armate seguiti dal passaggio a bassa quota di caccia militari sulla città. Da lì a poco, carri armati sono avanzati verso gli uffici governativi, chiaro simbolo, per il popolo turco, che un ennesimo colpo di stato, il quarto della storia della Turchia moderna, si stava verificando. In poco tempo i golpisti hanno preso controllo dei mezzi di comunicazione e di alcuni uffici governativi entrando in conflitto con i reparti speciali della Polizia turca. Quest’ultimi sono stati la prima linea di difesa del governo: uomini fedeli al Presidente Erdoğan, da lui armati negli ultimi anni anni per contrastare, appunto, le forze armate.
I perchè del golpe. Obiettivo dei militari, come da loro dichiarato nella notte tramite radio e televisioni, sarebbe dovuta essere le restaurazione della Costituzione Turca e ricostruire la laicità dello Stato. Durante questi 15 anni al potere, prima da Premier e ora da Capo dello Stato, Erdoğan, ed il partito AKP, ha progressivamente depotenziato la costituzione voluta dal fondatore della Repubblica, Mustafa Kemal Atatürk, nel 1919 per modernizzare la Turchia. Proprio ai militari fu dato in quella sede il ruolo di custodi e guardiani della costituzione, cosa che ha portato a vari colpi di stato fra gli anni 60 e 80. Una serie innumerevole di forzature della laicità, come la legalizzazione dell’uso del velo negli uffici pubblici, e della democrazia, come l’introduzione dello sbarramento elettorale al 10% per l’entrata in parlamento, ha provocato negli ultimi anni episodi come la rivolta di Gazi Park e messo le basi per quello che, per alcuni analisti politici, era un golpe atteso.
Il ruolo di Erdoğan. Alle prime notizie del colpo di stato, il presidente Erdoğan, in vacanza a Marmaris, è salito sull’aereo presidenziale da dove, usando l’applicazione FaceTime, ha invitato i Turchi a scendere in piazza per la salvaguardia della democrazia. Il richiamo ai civili, e ai suoi sostenitori, è stato vitale per il fallimento del colpo di stato. Molti difatti i soldati, quasi tutti di leva, che si sono rifiutati di fare fuoco sulla folla anche perché, come riporta il quotidiano Hurriyet, molti pensavano che si trattasse di una semplice esercitazione, o almeno così stanno sostenendo negli interrogatori che si stanno svolgendo in queste prime ore post-golpe. Il rallentamento dei “golpisti” ha di fatto portato gli USA e la NATO ad appoggiare Erdoğan e il Governo Turco e impedito che il grosso delle Forze Armate, posizionate al confine con Iraq e Siria, di schierarsi con i propri commilitoni. Verso le 4:00, le forze golpiste si sono arrese ed il Governo si è reinsediato ad Ankara. Mentre torna lentamente la normalità, viene smentita la notizia, circolata durante la notte, di un Erdoğan in fuga verso la Germania con lo scopo di ottenere l’asilo politico: l’aereo presidenziale si sarebbe alzato sì in volo per motivi di sicurezza, ma non avrebbe mai abbandonato lo spazio aereo turco.
E ora? Di prima mattina, il Premier Yıldırım è apparso davanti alle telecamere per rassicurare la popolazione civile sulla sorte del Presidente e del Governo; in questa sede ha elogiato il coraggio della di chi è sceso in piazza a favore della democrazia e ringraziato per l’ennesima dimostrazione “dell’amore” dei Turchi verso il Presidente Erdoğan. Egli ha inoltre ricordando i 47 “martiri”, i civili uccisi dai militari durante la notte. Nonostante le rassicurazioni del governo, la situazione rimane di allerta anche se non sono arrivati ordini di evacuazione per i cittadini Europei ed Americani e, dopo una breve sospensione, nel pomeriggio sono ripresi i voli dall’aeroporto Atatürk. Nella tarda mattinata Erdoğan è riapparso davanti alle telecamere, ovviamente molto più rilassato della notte precedente, ed ha invitato il “popolo Turco” a rimanere in piazza anche stanotte per evitare ulteriori colpi di mano da parte dei “nemici dello Stato”. Allo stesso scopo ha richiamato ad Ankara dal confine Iracheno i soldati attualmente impegnati contro i Curdi del PKK. Egli inoltre ha dichiarato che i “traditori della nazione Turca pagheranno caro” riferendosi probabilmente alla pena di morte che Yıldırım voleva reintrodurre per punire quelli che definisce “criminali peggiori dei terroristi dei kurdi del PKK”. Quello che molti commentatori temono, ora, è la repressione. La ricerca dei responsabili è stata data a 40 procuratori speciali che, assieme alla forze Anti-Terrorismo, una sorta di “pretoriani” del Presidente, stanno conducendo una campagna di interventi a tappeto sia nei vertici militari sia fra gli oppositori del Governo.
Gli arresti. Appena ripreso il controllo della situazione, la reazione del Governo è stata severa e fulminea. Sono infatti già 2839 i soldati arrestati nel paese, molti di loro arresisi in mutande alla Polizia. Nonostante la copertura dei media, rimane molta confusione su cosa stia veramente accadendo in Turchia e sul destino dei militari coinvolti nel golpe. Un video che gira molto sui social network, e riportato anche dal quotidiano britannico The Indipendent, sembra far vedere una decapitazione di un soldato da parte di militanti dell’AKP, il partito di Erdoğan, su uno dei ponti sul Bosforo ad Istanbul: nessuna agenzia di stampa ha però confermato, finora, la veridicità del video. La repressione non sembra colpire solo i militari, ma anche altri ambienti dello Stato e delle società civile Turca: non a caso, sostengono alcune agenzie di stampa, Erdoğan avrebbe definito il fallito golpe un “dono di Allah” che gli apre la strada per consolidare, ancora di più, il potere proprio e del suo partito. Quello che è certo è che i giornali vicini all’AKP attribuiscono la paternità spirituale del colpo di stato al ricco religioso Fethullah Gulen, da anni in auto-esilio negli USA, e lontanissimo dagli ideali laici ribaditi dai vertici militari durante la notte. Così, mentre il Segretario di Stato Kerr, ribadiva il supporto degli USA alla Turchia, il governo di Ankara apriva il fronte diplomatico contro Washington accusando di connivenza con i nemici della Turchia qualunque stato od organizzazione che protegga Gulen.
Il futuro. Il futuro di una Turchia sempre più divisa fra laici e conservatori e, ricordiamo, presa di mira da attacchi terroristi, diviene ancora più incerto. Realisticamente non ci si può aspettare che Erdoğan, la cui sopravvivenza politica si basa molto sul continuo affermare del suo ruolo di eroe contro i “nemici della Turchia”, modifichi il suo approccio politico allo scopo di pacificare il proprio paese. Considerando quanto la Turchia sia importante sia nell’emergenza profughi, 1,5 milioni di rifugiati sono ospitati in Turchia, sia nel tentativo di portare equilibrio in Siria ed Iraq, questo rimane un peccato e una situazione che il paese e i suoi abitanti non meritano.
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