Marburg: una città per le persone cieche
Grazie al suo assetto urbanistico, la città di Marburg è considerata uno dei luoghi più accessibili d’Europa per le persone cieche,
Marburg, situata nel Land dell’Assia, è nota per il suo centro storico medievale e per l’università, ma anche perchè l’identità della città si è modellata attorno all’accessibilità per le persone con disabilità visive, fino al punto di essere fregiata del titolo di Blindenstadt, la “città delle persone cieche”.
La Blista e la cultura dell’accessibilità
Nel cuore di Marburg si trova un’istituzione che da oltre un secolo ha influenzato in profondità l’identità della città. La Blista (Deutsche Blindenstudienanstalt e.V.) è un centro di eccellenza tedesco con sede a Marburg, specializzato nell’educazione, formazione e riabilitazione di persone cieche e ipovedenti. Fondata nel 1916, la struttura ospita la Carl-Strehl-Schule, l’unico liceo tedesco dedicato a studenti con disabilità visive, e promuove un approccio educativo inclusivo.
Oltre all’istruzione scolastica, la blista offre servizi come una biblioteca specializzata, una tipografia Braille e programmi di orientamento e mobilità. Il campus include anche gruppi residenziali e diversi gradi di formazione primaria. L’obiettivo è chiaro: garantire pari opportunità e autonomia, abbattendo le barriere in una società orientata alla vista.
Il valore più potente di questa cultura è forse quello educativo: chi cresce a Marburg, che sia cieco o vedente, interiorizza l’idea che la diversità non richieda concessioni, ma progettazione intelligente e relazioni paritarie.
La presenza del centro è stata il punto di partenza per un processo unico nel suo genere: invece di adattarsi tardivamente alle esigenze delle persone cieche, Marburg ha integrato fin da subito infrastrutture e servizi accessibili.
Una città progettata con tatto, suono e percezione
Passeggiare per Marburg significa incontrare semafori acustici, mappature tattili dei percorsi urbani, codici Braille sui corrimani, pensiline e fermate riconoscibili al tocco. Ma ciò che rende l’esperienza davvero unica, è l’integrazione di queste soluzioni in modo coerente e non intrusivo: non sono “aggiustamenti”, bensì componenti essenziali dell’architettura urbana.
Marburg non è diventata accessibile “per adeguarsi”: è cresciuta così, in simbiosi con questa realtà. La cultura dell’accessibilità non è un concetto astratto o un insieme di buone intenzioni: è un’abitudine radicata, concreta, visibile nella progettazione degli spazi pubblici e nella mentalità della popolazione.
Chi si trasferisce a Marburg per motivi di studio o formazione trova un ambiente in cui l’autonomia non solo è possibile, ma è favorita attivamente. Le persone cieche non devono chiedere se qualcosa è accessibile, ma solo come lo sia. Gli spazi urbani sono pensati per essere intuitivi anche senza l’uso della vista: scale con corrimano tattili, mappe in rilievo, pavimentazioni differenziate, indicazioni sonore e ambienti leggibili attraverso il tatto e il suono.
Tutto questo è il risultato di una convivenza duratura tra la città e chi la abita con disabilità visiva. Marburg ha imparato a progettare partendo dai margini, includendo fin dall’inizio chi solitamente è escluso. Non si tratta solo di infrastrutture, ma anche di abitudini: i commercianti, gli autisti, gli studenti vedenti interagiscono quotidianamente con persone cieche, e questo ha creato un clima sociale di grande naturalezza e rispetto.
Un modello che parla di ordinarietà, non di eccezione
A differenza di molte altre realtà, Marburg non propone un’inclusione “speciale”, ma una normalità diversa: vivere, studiare, orientarsi e lavorare in autonomia è previsto, incoraggiato e supportato. L’accessibilità non è trattata come un plus, ma come un diritto, e questo cambia radicalmente il rapporto tra le persone e lo spazio pubblico.
In molte città europee, le persone cieche sono costrette a negoziare continuamente il proprio passaggio: chiedere indicazioni, evitare ostacoli non segnalati, adattarsi a un mondo che non le considera nella progettazione originaria. A Marburg, invece, lo spazio è condiviso con intelligenza. Non tutto è perfetto, ma la logica è rovesciata: è la città che si adatta, non chi ci vive.
Questo approccio ha generato un impatto che va oltre i confini cittadini. Alcune istituzioni accademiche hanno cominciato a studiare il modello Marburg per definire nuovi standard urbani di inclusione, prendendo spunto dalla combinazione di soluzioni tecniche, presenza istituzionale e cultura civica.
La forza di questo modello risiede proprio nella sua sostenibilità: non richiede interventi spettacolari, ma una progettazione coerente e costante nel tempo. In questo senso, Marburg è qualcosa di più di una città per le persone cieche. È un esempio concreto di come la disabilità possa essere un criterio progettuale universale, e non una categoria da compensare a posteriori. È, forse, il suo lascito più rilevante per chi si occupa di urbanistica, diritti e cittadinanza: dimostrare che una città migliore per una minoranza può diventare, in realtà, una città migliore per tutti.
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