Shraddha Borawake, intervista con l’artista che vede l’arte nei rifiuti
Garb-Age, la mostra di Shraddha attira l’attenzione sulla “nostra sovranità globale”, attraverso rifiuti tanto tangibili quanto spirituali
Garb-Age è il progetto dell’artista indiana Shraddha Borawake, in mostra al Somos Art House di Berlino, che attraverso una combinazione di elementi fotografici e video riunisce oggetti scartati, dando loro un ordine artistico. Originariamente concettualizzata nel 2016 in Olanda, Garb-Age è una raccolta di materiale raccolto durante vari viaggi interculturali. Gli oggetti sono disposti, secondo l’artista, in “paesaggi rituali”, ognuno dei quali racconta una storia. Nel suo insieme, la collezione di oggetti rappresenta la complessa e frammentata crisi dell’umanità ai tempi della globalizzazione. In questo modo, lo spettatore viene indotto a percepire la presenza anche del più piccolo insetto, in un insieme che include aspetti di coscienza, credenza mistica e conoscenza scientifica. Borawake ci porta con sé nel suo viaggio attraverso detriti di idee, concetti e teorie, che, come gli oggetti, vengono gettati via nel tempo. Si tratta di un atto di reinterpretazione e reinvenzione. Un viaggio simbolico, che intreccia le apparenze e trasforma le qualità dinamiche dei cinque elementi: acqua, aria, legno, terra e metallo. Shraddha spiega il suo percorso artistico nel seguente modo: «i miei approcci evolvono in riflessioni, discorsi accademici e interazioni come opere dialogiche. L’ultimo decennio di esplorazione è stata una ricerca che naviga nella mia visione vernacolare ed estetica, intrinseca nel contesto della fotografia nell’arte contemporanea. L’arte fornisce un linguaggio identitario per rispondere alle esigenze del tempo con creatività. Cerco di esplorare l’ignoto, palinsesto post-coloniale di rappresentazione, lingua, traduzione, trasparenza, condivisione e co-creazione». La mostra offre, inoltre, una piccola serie delle collezioni dell’artista, con un angolo interamente dedicato alla lettura, in cui i visitatori sono invitati e possono approfondire le tematiche messe in discussione.
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Partire dal vuoto per raggiungere la multidimensionalità
«La cornice vuota. Alla fine è la cornice che “incornicia” tutto. Questo mi fa pensare che siamo frammentati, che tutto è frammentato, ma in contatto sinergico con il potere dell’universo. L’energia è ovunque, devi solo percepirla. Il vuoto è il punto di partenza che riflette il tutto. Mettendo in relazione gli oggetti, emergono nuovi messaggi. La cornice vuota rappresenta, in qualche modo, un luogo in cui è possibile osservare l’apparente incoerenza dell’Universo e dei cinque elementi. Quando creo le mie opere sono completamente “vuota”, per lasciarmi così trasportare da una forza dominante esterna, evitando che la mia identità e il mio background culturale inquinino in qualche modo il progetto. Il punto è questo: qual è la realtà? È vera o falsa, esiste o è inventata, la supponiamo o è frutto della fantasia? Tendiamo a considerare le cose solo in una direzione, per poter raggiungere una qualche fine, ma cosa succederebbe se andassimo nell’altra direzione, cioè verso origine? Se potessi, forse, definire la mia arte con una semplice parola, sarebbe “multidimensionale”. Attraverso essa vorrei mostrare l’ignoto, l’inosservato, l’inconscio. Ecco perché non voglio influenzare le persone fornendo troppe spiegazioni riguardo le mie creazioni. Vorrei che le persone potessero giungere a un significato da sole, seppur con diverse prospettive e punti di vista. L’importante è cercare di sfuggire al sistema di valori preimpostato che governa le nostre vite».
La visione dell’artista, approfondisce inoltre il rapporto tra sinapsi e memoria, sperimenta l’energia dell’universo, riflettendola. Non è un vero “collage” di elementi, quanto più uno studio sul tantra e sul karma, e tutti quei concetti fraintesi dalla società. «Ogni volta che tocco qualcosa, ha luogo una profonda conversazione metafisica tra la memoria corporea dell’oggetto e la mia. Al giorno d’oggi, poi, viviamo come all’interno di un “grande supermercato”, in cui è divenuto estremamente semplice trovare oggetti provenienti dall’altra parte del mondo. Parlo di interconnessione, coesione e coesistenza. Per esempio, se osservo una bustina di ketchup di un ristorante turco a Berlino, all’interno troverò zucchero proveniente dal Brasile. Quindi l’energia di quel posto entra nel mio corpo e avviene un miscuglio globale. Pertanto qual è la mia vera identità? Tutto si confonde. Questa è la ragione per cui ho iniziato a pensare al potere degli antichi rituali, perché ogni cosa ha uno spirito segreto al suo interno. L’arte materiale riguarda anche la pratica spirituale. Con le mie opere cerco di esplorare l’energia maestosa ed intelligente dell’universo. Un corpo morto, in fondo, è solo l’altra parte del cerchio del vero significato della vita. È affascinante. Ma la mia arte ha anche un’altra missione e un’altra direzione. Si focalizza, infatti, molto anche sul tema dei rifiuti, nello specifico su quante cose vengono gettate via in ogni singolo momento della giornata da miliardi di persone. Quindi provo in qualche modo a “benedire la spazzatura”, per far riflettere di più sul tema, in modo che le persone inizino a comprendere maggiormente il perché l’insostenibilità del sistema produttivo e consumistico odierno.
Shraddha Borawake, nel suo lavoro poliedrico, esplora le relazioni e gli intrecci tra oggetti, persone e storie
Shraddha Borawake, classe 1983, è un’artista trans-disciplinare originaria di Pune, città dell’India Occidentale. Il suo lavoro si compone di una ricerca esperienziale per certi aspetti mistica. Nello specifico realizza fotografia e arte audiovisiva-immersiva con “impollinazioni” interculturali. Per questo si avvicina alla complessità relazionale tra scienza e spiritualità, sfidandone i confini. Shraddha crea infatti, nelle sue installazioni, assemblaggi simbolici che riportano alla luce ciò che è andato perduto. Ricontestualizza elementi naturali e artificiali, amalgamandoli, per dare origine ad un processo continuo di metamorfosi materiale. La sua formazione professionale inizia prevalentemente nel 2006 presso l’International Center of Photography di New York. I suoi lavori sono stati esposti al DUMBO Arts Festival, alla New Orleans Photo Alliance, alla Union Docs e allo Zimmerli Arts Museum. Nel 2011 ha completato il Bachelor of Arts presso la Gallatin School of Individualized Study della New York University, laureandosi con il Premio Leo Bronstein per l’eccellenza accademica, per quanto concerne l’approccio interdisciplinare. Nel 2016 ha ricevuto il premio Habitat Center Photosphere Award, dimostrando la capacità di un artista di poter essere una guida per la comunità, invece di produrre per interessi commerciali. Un ruolo, inoltre, poliedrico di creazione ed esplorazione. Si tratta, dunque, di una convergenza tra introspezione e ricerca. Alla base di tutto ciò, si trova l’idea dell’emanazione spirituale del sé come un ricercatore critico interno in relazione al regno esterno universale. In tale ricerca, l’esposizione finale degli oggetti trovati, sperimenta un uso semantico del linguaggio, che Shraddha definisce «individualismo metodico cosmico».
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Immagine di copertina: Shraddha Borawake, ©SomoS Art House Copyright