Wormanwear, il marchio di moda italo-berlinese punk e ribelle

Abbiamo incontrato Antonio Acerbi, italiano emigrato a Berlino e creatore del marchio WORMANWEAR. Amante del lato undeground della città e designer di formazione, Antonio usa le t-shirt come mezzo di espressione della sua arte, dando vita a prodotti unici dal sapore punk.

Ciao Antonio! Presentati ai nostri lettori e racconta come sei arrivato fin qui

Sono Antonio Acerbi, nato a Penne (Pescara) nel 1983 e mi sono spostato a Pisa quando avevo 10 anni. Oggi ne ho quasi 37. Ho studiato Grafica e Web Design tra Verona e Milano, dove ho anche lavorato. Sai, Milano è una tappa obbligata per un designer italiano. Ci sono arrivato nel 2004, eravamo prima della crisi economica ma il lavoro del designer era già precario. Però, Milano rimaneva il posto dove è più facile trovare lavoro in Italia. Lavoravo in uno studio pubblicitario. Poi ho lavorato prima a Barcellona e poi a Firenze per arrivare a Berlino nel 2011.

Come è andata l’esperienza in Spagna?

A Barcellona ho trovato lavoro nei primi 15 giorni e ho passato due bellissimi anni. E’ stato il mio primo contratto importante finché non è arrivata la recessione. La crisi del 2008 ha cambiato la situazione e sono dovuto tornare in Italia. In seguito, sono stato a Firenze dove ho lavorato alla SASCHE, brand simile alla Energy, streetwear primi ’00 che era ancora di moda nel 2009. E’ stata un’esperienza positiva finché i grandi eventi non mi hanno di nuovo ‘travolto’. La SASCH infatti aveva il suo core market nell’Est Europa, soprattutto in Russia ma le sanzioni contro Putin hanno distrutto questo mercato e l’azienda ha fallito. Così, finalmente Berlino.

Com’è stato l’impatto con la capitale tedesca?

Ho amato la città sin dall’inizio. Nel primo anno ho incontrato le differenti realtà lavorative qui presenti tra cui il mondo delle startup che però non mi ha mai convinto. Ero troppo abituato ad esperienze diverse e non mi sono mai trovato in un modello organizzativo del genere. Nei primi mesi comunque non avevo ancora la stabilità lavorativa che cercavo.

Quando è arrivata questa stabilità?

Quando ho deciso di buttarmi su un settore che non conosce crisi cioè l’immobiliare. Affitto appartamenti come privato Questo lavoro mi permette di vivere qui: inoltre, utilizzo le mie competenze da designer per presentare gli apaprtamenti con foto etc. Le mie esperienze precedenti mi sono servite. Però volevo continuare il mio percorso nella comunicazione e da qui la necessità di portare avanti il mio brand: WORMANWEAR.

La nascita del brand

Come nasce WORMANWEAR?

Il marchio nasce nel 2006 quando avevo appena completato i miei studi in Italia. L’idea di base era trasportare le mie grafiche su un supporto fisico per cui ho scelto il media delle t-shirt.

Eri già un appassionato di streetwear?

Io ho sempre seguito il mondo dello streetwear e l’ho visto evolversi tra gli anni ’90 e i 2000. Non sono un sarto, non sono uno stilista ma un’artista che si esprime tramite un media ben specifico. La t-shirt è il cuore di questo mondo.

Raccontaci dei primi tempi del brand

Non c’era ancora Facebook ma utilizzavo già i primi social media come MySpace. Avevo anche creato il mio primo sito internet dove collezionavo le mie grafiche e le magliette. A Milano i miei prodotti giravano ma non ho mai avuto modo di esporre in un negozio come ho potuto poi fare in Spagna.

Vendevi i tuoi prodotti in-store?

Sì, prima delle crisi c’erano molti spazi aperti all’espozione di brand emergenti e di giovani designer. Era comune portare le proprie grafiche in questi spai e poter serigrafare i design sulle magliette.

Hai mai avuto la possibilità di esporre qui a Berlino?

Sì, grazie ad uno spazio a Friedricschain ho avuto a disposizione una vetrina a partire dal 2016 a basso costo. In questo negozio i pezzi devono essere unici e le maglie non potevano essere semplciemente stampate. Così ho iniziato ad usare stoffe di seconda mano, spray e altri strumenti. Per me questa è stata una novità dal sapore punk. Da l’ ho iniziato ad organizzare in maniera piu sistematica i photoshott e la presentazione del brand online su Facebook. Oggi, WORMANSWEAR è tornato solamente online grazie a Spread Shirt, piattaforma a costa zero dove è possibile caricare le proprie grafiche e vedere i prodottti stampati. Il designer non ha costi aggiuntivi, non ci sono resti di magazzino e la piattaforma guadagna solo su quanto vende.

Come è cambiata la tua arte in questi anni attraverso i tuoi viaggi?

Sicuramente l’idea di do it yourself berlinese ha molto influenzato il marchio. La città è ricca di negozi dove trovare strumenti e materiali e spinge a sviluppare la propria manualità. Berlino mi ha fatto sporcare le mani prendendo in mano i veri ferri del mestiere. Berlino mi ha insegnato il valore della sostenibilità e dell’essere in grado di riparare le cose.

E in che momento sei ora?

Un momento di risistemazione, voglio finire ciò che ho iniziato, cercando di lasciare qualcosa. Non è un momento conclusivo. E’ tutto molto spontaneo e non progettuale. Invece di buttare via le maglie cerco di riciclare, per esempio.  Ovviamente il risultato è influenzato da tutto ciò che mi circonda. C’è un valore documetaristico degli anni in cui viviamo nella mia arte. E’ una traccia di ciò che vivo e degli artisti che mi ispirano come Miguel Angel Martin e Andrea Pazienza.

Parlando dell’influenza della città sul brand, come scegli gli spazi per i tuoi photoshoot?

La mia prima scelta sono gli spazi abbandonati, che purtroppo sono sempre di meno. Ricordo che durante i miei primi giri nel 2011 ero solito vedere locali in disuso anche in centro e lungo la Sprea. Ho anche un canale youtube dove documento queste esplorazioni urbane e ho cercato di sposare la mia curiosità con il brand. Ho girato sette case, partendo da Wedding fino a Marienfielde ma anche Spandau. Nel 2011 frequentavo molto l’area della Sprea, vicino allo YAAM e lì è davvero cambiato tutto negli ultimi dieci anni.

Raccontaci un posto che ti è rimasto nel cuore

Una fabbrica di ghiaccio abbandonata sulla Köpenicker Strasse. Ora è sigillata ma all’epoca c’erano ancora i macchinari di cent’anni fa, vivevano persone, si dormiva sulla terrazza durante la bella stagione. Un luogo unico.

C’è ancora una zona di Berlino dove senti questo spirito?

Renickendorf a Wedding. Vivo vicino a Osloer StrasBe. E’ un quartiere residenziale dove ci sono però anche industrie. Inoltre, risente della vicinanza con l’aereoporto di Tegel. Questa comprensenza lo rende un luogo verde, con una varietà di persone notevole.

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Un’ultima domanda. Dopo tutti questi anni in cui hai un brand, quali cambiamenti hai rilevato in questi dieci anni?

Dal punto di vista economico è invariato, servono grandi finanziamenti per fare profitti. Ma Internet ha abbassato il livello minimo di entrata ed è molto più facile lanciarsi nel mercato. I social hanno anche livellato le differenze sociali, ora persone di estrazione diversa guardano le stesse cose. Rispetto gli influencers ma io sono rimasto sempre sottotraccia, underground. E mi va bene così.


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Immagine di copertina: Foto di Antonio Acerbi