Il bello, l’amore, la morte, il tremendo: le Elegie duinesi di Rainer Maria Rilke

Uno dei più grandi capolavori della poesia Novecentesca, Elegie Duinesi rappresenta anche uno delle opere migliori per conoscere la poetica di Rilke.

Rainer Maria Rilke nacque a Praga il 4 dicembre del 1875. Dopo aver interrotto i corsi dell’Accademia militare, intraprese un’incessante attività poetica che lo condusse giovanissimo, già al principio del XX secolo, a pubblicare numerose raccolte (tra le altre, Leben und Lieben, Jetzt und in der Stunde unseres Absterbens). La sua intensità lirica e il suo stile di vita errante ne fecero il simbolo di una generazione, amato da donne fatali come Lou Salomè (un nome che dirà qualcosa ai fan di Friedrich Nietzsche) conosciuto da artisti del calibro di Tolstoj, Rodin, Cézanne e ammirato da filosofi come Ludwig Wittgenstein.

Le Elegie

Cominciate a Duino nel 1912 e terminate di getto in Svizzera nel 1922 dopo una lunga paralisi poetica ed esistenziale, appartengono insieme ai Sonetti a Orfeo alla produzione rilkiana matura (Rilke morì a soli 51 anni di leucemia, nel 1926). Nel proporre un’indagine tormentata sulla caducità delle cose e sulla paura della morte, costituiscono sicuramente uno dei vertici più complessi e oscuri della poesia novecentesca.

Incipit prima elegia duinese

Quello che segue è il celebre incipit della prima elegia duinese. Un grido di dolore, in cui l’articolato corso del ragionamento è a tratti spezzato da improvvisi squarci poetici. L’opera – come notano Michele Ranchetti e Jutta Leskien, i due curatori della traduzione italiana per Feltrinelli (2006) – è stata più spesso interpretata che letta. E sarà allora il caso di tornare alla lettera del testo, per fruirne nella sua aspra purezza.

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Prima elegia

Chi se io gridassi mi udirebbe mai
dalle schiere degli angeli ed anche
se uno di loro al cuore
mi prendesse, io verrei meno per la sua più forte
presenza. Perchè il bello è solo
l’inizio del tremendo, che sopportiamo appena,
e il bello lo ammiriamo così perchè incurante
disdegna di distruggerci. Ogni angelo è tremendo.
E così mi trattengo e il mio grido reprimo
di oscuro singhiozzo. Ah, da chi mai
siamo capaci di aver aiuto? Non d’angeli,
non da uomini, e gli astuti animali s’avvedono
che noi non siamo propriamente di casa
nel mondo interpretato. Rimane a noi forse
un qualche albero là sul versante,
per rivederlo ogni giorno, rimane la strada di ieri
e la viziata fedeltà ad una consuetudine che amava
stare con noi, così rimase e non se ne andò.
Oh, e la notte, la notte, quando il vento
pieno di spazio celeste il viso ci rode -, a chi
non rimarrebbe l’agognata mite delusiva,
che il singolo cuore attende a fatica.
È per gli amanti più lieve? Ah, essi
si coprono solo l’un l’altro la sorte.
Non lo sai
ancora? Getta il vuoto
dalle braccia agli spazi che respiriamo;
ah, forse gli uccelli sentiranno l’aria
slargata con più intimo volo.

Die erste Elegie

Wer, wenn ich schriee, hörte mich denn aus der Engel
Ordnungen? und gesetzt selbst, es nähme
einer mich plötzlich ans Herz: ich verginge von seinem
stärkeren Dasein. Denn das Schöne ist nichts
als des Schrecklichen Anfang, den wir noch grade ertragen,

und wir bewundern es so, weil es gelassen verschmäht,
uns zu zerstören. Ein jeder Engel ist schrecklich.
    Und so verhalt ich mich denn und verschlucke den Lockruf
dunkelen Schluchzens. Ach, wen vermögen
wir denn zu brauchen? Engel nicht, Menschen nicht,
und die findigen Tiere merken es schon,
daß wir nicht sehr verläßlich zu Haus sind
in der gedeuteten Welt. Es bleibt uns vielleicht
irgend ein Baum an dem Abhang, daß wir ihn täglich
wiedersähen; es bleibt uns die Straße von gestern
und das verzogene Treusein einer Gewohnheit,
der es bei uns gefiel, und so blieb sie und ging nicht.
    O und die Nacht, die Nacht, wenn der Wind voller Weltraum
uns am Angesicht zehrt –, wem bliebe sie nicht, die ersehnte,
sanft enttäuschende, welche dem einzelnen Herzen
mühsam bevorsteht. Ist sie den Liebenden leichter?
Ach, sie verdecken sich nur mit einander ihr Los.
    Weißt du’s noch nicht? Wirf aus den Armen die Leere
zu den Räumen hinzu, die wir atmen; vielleicht daß die Vögel
die erweiterte Luft fühlen mit innigerm Flug.

 

In copertina: Paul Cézanne, Mont Sainte-Victoire
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